Ho fatto la scuola di giornalismo di Milano e sono convinto che le scuole siano il luogo migliore dove formare le nuove leve del mestiere, ma soprattutto che siano uno strumento di democrazia, perché garantiscono opportunità a tutti e parità di accesso senza raccomandazioni e in base al merito. Resto però dell’idea che la moltiplicazione delle scuole (passate da 6 a 20 in meno di dieci anni e in tempi in cui già si sentiva la crisi) sia stata un’operazione demenziale, molto spesso guidata da criteri molto discutibili.
Mi fa piacere che l’Ordine si sia attivato e abbia sfoltito le scuole e i corsi di laurea, soprattutto in quei luoghi dove poi nessun accesso al lavoro è possibile. Ma se quattro anni fa c’erano più di 600 studenti in uscita e in cerca di lavoro e negli ultimi due bienni se ne sono aggiunti altri 800, allora – visto che negli ultimi tre anni i giornali hanno quasi soltanto ridotto gli organici – la mia sensazione che ci siano in giro circa 1500 giovani giornalisti in cerca di un posto e stanchi della precarietà non è poi tanto sbagliata. Lo si vede dal numero dei curriculum inviati e da quanti fanno richiesta di uno stage: quando arrivai io all’Ansa a Montecitorio eravamo solo in due a fare il tirocinio estivo prima di tornare a scuola, negli ultimi anni nei grandi quotidiani ci sono stati momenti in cui gli stagisti sono arrivati a essere anche venti per testata. Penso sia necessario dire con chiarezza tutto ciò per evitare di creare illusioni e delusioni e per chiedere agli adulti di essere responsabili e onesti con i più giovani quando gli indicano percorsi di studio.
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