Fonte: www.ilvelino.it/articolo.php?Id=1231983
“Le chiamano gingilli (le medaglie, ndr); ebbene, è proprio con i gingilli che si guidano gli uomini”, scriveva nel suo diario un 33enne Napoleone Bonaparte il 14 maggio 1802, all’epoca ancora Primo console di Francia. Secondo Gramsci era “più facile convincere chi non ha mai partecipato alla vita politica di chi ha già appartenuto a un partito”. Hitler, invece, raccomandava nel suo “Mein Kampf” di non tenere i comizi quando è ancora giorno, perché “di sera sembra che le forze della volontà umana si assoggettano facilmente all’autorità di una volontà superiore”. E certo non è un caso che i raduni di Norimberga si svolgessero di notte, con la sola luce delle fiaccole a illuminare il buio. L’ossessione per la popolarità e il successo della comunicazione politica è un fenomeno recente, ma nel corso dei secoli moltissimi i personaggi pubblici hanno prestato attenzione alle forme del consenso e della persuasione, alle regole da seguire per risultare più efficaci. Una cura che spesso emerge con una lucidità e un’attualità sorprendente dai loro scritti e dalle loro parole. Edoardo Novelli, docente di Teorie e tecnica della comunicazione a Roma Tre, ha effettuato una rassegna di alcuni dei casi più stupefacenti in “Lezioni di propaganda: la voce dei protagonisti da Aristotele a Malcolm X” (Le Monnier università). Due estremi temporali che contemplano nel mezzo politici (Cicerone, Mazzini), uomini di chiesa (Gregorio Magno, Lutero, Ignazio di Loyola), rivoluzionari (Lenin, Mao, il Che), dittatori (Napoleone, Hitler, Mussolini) ma anche artisti come Majakovskij.
Con una lettura volutamente astorica, quel che emerge è la straordinaria conoscenza delle regole della comunicazione e dei meccanismi della psicologia umana, in molti casi ben prima che questa venisse codificata come disciplina.
“Le chiamano gingilli (le medaglie, ndr); ebbene, è proprio con i gingilli che si guidano gli uomini”, scriveva nel suo diario un 33enne Napoleone Bonaparte il 14 maggio 1802, all’epoca ancora Primo console di Francia. Secondo Gramsci era “più facile convincere chi non ha mai partecipato alla vita politica di chi ha già appartenuto a un partito”. Hitler, invece, raccomandava nel suo “Mein Kampf” di non tenere i comizi quando è ancora giorno, perché “di sera sembra che le forze della volontà umana si assoggettano facilmente all’autorità di una volontà superiore”. E certo non è un caso che i raduni di Norimberga si svolgessero di notte, con la sola luce delle fiaccole a illuminare il buio. L’ossessione per la popolarità e il successo della comunicazione politica è un fenomeno recente, ma nel corso dei secoli moltissimi i personaggi pubblici hanno prestato attenzione alle forme del consenso e della persuasione, alle regole da seguire per risultare più efficaci. Una cura che spesso emerge con una lucidità e un’attualità sorprendente dai loro scritti e dalle loro parole. Edoardo Novelli, docente di Teorie e tecnica della comunicazione a Roma Tre, ha effettuato una rassegna di alcuni dei casi più stupefacenti in “Lezioni di propaganda: la voce dei protagonisti da Aristotele a Malcolm X” (Le Monnier università). Due estremi temporali che contemplano nel mezzo politici (Cicerone, Mazzini), uomini di chiesa (Gregorio Magno, Lutero, Ignazio di Loyola), rivoluzionari (Lenin, Mao, il Che), dittatori (Napoleone, Hitler, Mussolini) ma anche artisti come Majakovskij.
Con una lettura volutamente astorica, quel che emerge è la straordinaria conoscenza delle regole della comunicazione e dei meccanismi della psicologia umana, in molti casi ben prima che questa venisse codificata come disciplina.
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