sabato 23 ottobre 2010

150 ANNI DI UNITA'-LA GUARDIA NAZIONALE DI LIBORIO ROMANO


"Si condanni ora il mezzo da me adoperato mi si accusi di aver introdotto nella forza della polizia pochi uomini rotti ad ogni maniera di vizi e di arbitrj. Io dirò a cotesti puritani, i quali misurano con la stregua dei tempi normali i momenti di supremo pericolo, che il mio compito era quello di salvare l'ordine; e lo salvai col plauso di tutto il paese" (Liborio Romano, Memorie XVII).

Liborio Romano, ministro dei Borbone e dei Savoia, personaggio chiave dell'Unità d'Italia. www.donliborioromano.it
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DON LIBORIO ROMANO - IL BOIA DELLE DUE SICILIE

Il ritratto di questo personaggio, l’essenza del traditore tipo, per giunta sembra successivamente anche pentito, è quello di un uomo abbastanza vanesio, inconsapevole di quello che faceva e vagamente idealista. Un personaggio esemplare, dunque, per essere adoperato dagli invasori piemontesi per compiere atti devastanti all’interno dello stesso governo duosiciliano. Da evidenziare che fu proprio lui che consacrò definitivamente l’intreccio politica-delinquenza nel Sud, i cui effetti sono ben visibili ancora ai nostri giorni, come ci mostra la scoperta fatta a Napoli il 20 ottobre scorso di una loggia massonica che cospirava con la camorra per condizionare la vita politica. Il dramma di quei tragici giorni in cui si determinò la fine delle Due Sicilie fu che gli avvenimenti si svolsero in una atmosfera di incredulità da parte della dirigenza delle Due Sicilie. Incredulità abbastanza comprensibile perché i tradimenti erano talmente evidenti da far quasi credere non fossero reali. Del resto la politica estera delle Due Sicilie era sempre stata di stretta neutralità, rivolta soprattutto al benessere interno, per cui la ingiustificata aggressione da parte di uno Stato straniero era, per quella dirigenza, del tutto impensabile e, quindi, nulla era stato preparato per fronteggiare il terribile evento dell‘invasione piemontese.
www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Romano1.htm
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Don Liborio, come usavano chiamarlo, era nato a Patu, in provincia di Lecce, nel 1795. Si era laureato in giurisprudenza a Napoli e giovanissimo aveva ottenuto la cattedra di Diritto Civile e Commerciale in quella stessa Università. Avendo preso parte ai moti rivoluzionari del 1820-21, fu destituito dall'insegnamento e dopo un breve periodo di prigione fu mandato in esilio. Ritornato a Napoli nel 1848 ebbe una parte di rilievo negli avvenienti che portarono alla concessione della Costituzione da parte di Ferdinando II. Dopo alterne vicende nella parte finale del regno di Ferdinando II, ricoprì dapprima la carica di prefetto di polizia e poi, dal 14 luglio 1860, quella di ministro dell'Interno e di Polizia. In quelle poche settimane che precedettero il crollo della dinastia borbonica, pienamente convinto della inevitabilità di tanto, intraprese contatti con Cavour e con lo stesso Garibaldi dal quale fu confermato nella carica di ministro dell'Interno, carica che mantenne fino al 24 settembre 1860 entrando così a far parte del Consiglio di Luogotenenza fino al 12 marzo 1861. Don Liborio fu strenuo assertore della formazione della nuova provincia di Benevento. Lo attesta la sua precisa, puntuale e circostanziata relazione preparata con l'aiuto del suo collaboratore, il direttore Emilio Civita.
da "GAZZETTA DI BENEVENTO" di Mario Boscia, n. 83, 1993
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La Guardia Nazionale Italiana era una forza armata sorta subito dopo l’Unità d'Italia (1861), utilizzata per reprimere il brigantaggio e la resistenza degli ultimi nostalgici del regno borbonico, con vario successo.
Come forza di sicurezza interna i suoi metodi, benché normalmente brutali, illegali e criminosi, gli ufficiali e i gregari, anch'essi normalmente sempre reprensibili come individui, furono generalmente estremamente efficaci nel loro scopo primario di reprimere e poi debellare definitivamente il fenomeno del brigantaggio meridionale. Per altri sei anni la Guardia Nazionale proseguì da sola e completò la "guerra sporca" già condotta per un decennio nel Mezzogiorno dall'esercito regolare, al cui fianco essa aveva operato in ugual misura per tutto il periodo.
Utilizzata sul campo come forza prettamente militare durante la Terza guerra d’Indipendenza italiana (1866) dette pessima prova di sé.
Considerata un “peso” vista la sua scarsa efficienza ed il comportamento non certo impeccabile dei suoi ufficiali, definiti dai carabinieri nei loro rapporti al Re “ex borbonici, falsi liberali e briganti in divisa”, e di molti degli altri membri tra i graduati e la truppa, dopo un tentativo di riorganizzazione nel 1875, venne sciolta definitivamente nel 1876.
Da essa sorsero la Milizia Territoriale e la Milizia Mobile.

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A Napoli Garibaldi arriva in treno da Salerno, il 7 settembre del 1860. Non alla testa di sette camicie rosse, come si è scritto, ma in compagnia del sindaco, del comandante della guardia nazionale e dei suoi tutori inglesi guidati da Evelyn Ashley, segretario di lord Palmerstone. E con la reverente genuflessione del ministro di polizia dei Borboni, sua eccellenza Liborio Romano che così ha scritto: “All’invittissimo generale Garibaldi, dittatore delle Due Sicilie, Liborio Romano, ministro dell’interno e polizia. Con la maggior impazienza Napoli attende il suo arrivo, per salutarla il redentore d’Italia e deporre nelle Sue mani il potere dello Stato e i propri destini. Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono, con illimitato rispetto di Lei, Dittatore infittissimo, suo Liborio Romano”.
Da San Garibaldi guerrigliero in "la Repubblica", 25 maggio 1982

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In un articolo pubblicato nel Radio-Corriere TV del 20/26 Ottobre 1985, intitolato "La battaglia sul Volturno", Liborio Romano, prefetto di polizia nel regno borbonico di Francesco II, viene definito "capo della camorra". L'ingiurioso appellativo è dovuto al fatto che il politico salentino reclutò dei camorristi nella polizia cittadina. Per capire le ragioni di questo reclutamento bisogna tenere presenti le condizioni storiche nelle quali Romano si è trovato costretto ad operare. Scrive, infatti, il fratello Giuseppe, deputato: "Preghiamo il lettore di voler considerare quanto singolare e difficile era la condizione delle cose nei novanta giorni in cui egli ebbe il potere, dal 28 giugno al 22 settembre 1860" (Memorie, pagg. 33). (1) La situazione nel Regno di Napoli nel momento a cui ci riferiamo è disperata, di completo sfacelo, Romano ebbe la nomina durante la notte tra il 27 e il 28 giugno 1860, qualche ora dopo che era stata sedata una rivolta popolare scoppiata a Napoli la sera del 26 giugno, quando soltanto da qualche giorno il giovane Re si era deciso a parlare di Governo Costituzionale, sperando di salvare la monarchia. Nel regno di Francesco Il era la prima esplosione del malcontento generale della città partenopea, la quale era sobillata, fra l'altro, da ambiziosi esponenti della corte reale, che vagheggiavano il colpo di stato. La sommossa era stata preoccupante. "Erano a furia di plebe scomposti da capo a fondo tutti gli ordini dei funzionari di polizia, investiti i commissariati, disarmate e ferite le persone che vi erano addette, manomessi gli archivi, arse le carte ... ; certe notizie, che i "lazzaroni" vagheggiavano l'idea del saccheggio, tenevano in gran trepidazione l'intera cittadinanza; la maggior parte dei negozi erano chiusi, i forestieri fuggivano, i cittadini riparavano alle vicine campagne, niuno sapeva a quali casi era destinato il suo domani" (Memorie XIII). In questo momento la spedizione dei Mille ha conquistato quasi tutta la Sicilia. Garibaldi è già da un mese a Palermo, dove è entrato il 27 Maggio, dopo solo 16 giorni di azione dallo sbarco a Marsala. Se non marcia subito verso Napoli è soltanto perché sta provvedendo a consolidare il suo potere ripartendo le terre demaniali tra i contadini in rivolta. A Napoli intanto arrivano continue notizie di sollevazioni popolari, di sindaci e impiegati comunali uccisi, di terre occupate dai contadini, proprietari e borghesi fucilati, specie nei paesi intorno all'Etna.
http://www.donliborioromano.it/articolo.asp?id=36

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