giovedì 24 marzo 2016

DEL TERRORISMO ISLAMICO

 Foto Ottopagine

Dopo la strage del Bataclan a Parigi, l'attentato islamico in Belgio. Con tutto il susseguirsi di dibattiti televisivi, dove i cosiddetti "imam" sono sempre pronti ad alzare i toni, a rovesciare le accuse di terrorismo dicendo che poi in Italia c'è la mafia, che se ci sono gli attentati è colpa dell'Europa, che l'Islam ha una grande cultura e bla bla bla bla bla. Strano che, poi, nessuno di loro pensi a ritornare nei paesi islamici, di così grande cultura...
Nel giro di pochi mesi è stata messa in atto una strategia della tensione e del terrore che riporta l'Europa a mille anni indietro. A vivere in uno stato di paura perenne, per colpa di attentati dinamitardi nei quali i kamikaze si fanno esplodere in aria.
Un docente di letteratura islamica in una Università straniera ha dichiarato che in Belgio il 40% della popolazione è islamica, cioè composta da gente che è cresciuta numericamente e che non si è mai integrata. Non hanno, questi signori, mai avuto rispetto per la cultura ed il paese ospitante. La disamina continua. L'errore è stato da parte di un' Europa sempre più disposta ad aprire le frontiere e fare concessioni ai paesi arabi in cambio di petrolio e gas. 
Ormai vi sono stati islamici all'interno degli Stati europei. Il sistema si è ramificato e non si può parlare di cani sciolti, di jihaidisti che si muovono in maniera isolata, o di cellule impazzite, ma di un sistema vero e proprio, che è garantito dalla connivenza silenziosa e dall'omertà.
La componente di predominio della religione islamica, anche se gli imam si affannano ad affermare il contrario, e nelle classi i docenti non possono toccare questo tasto con allievi di etnia islamica, è presente sia nel Corano che nel modo di porsi delle guide spirituali. Oltre che di tutti gli islamici intervistati dalle tv nazionali, dalle cui parole trapela il solito fanatismo e l'odio sistematico per l'occidente che li accoglie. "Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici", diceva la Fallaci, che aveva previsto esattamente la deriva dell'occidente nei confronti dell'invasione in atto.
La cosa che più sconvolge è l'assoluta libertà di circolazione degli attentatori in Francia e in Belgio. La mancanza di controlli sui "centri culturali islamici", che nascondono moschee dove si attua l'indottrinamento alla violenza di schiere di adepti. La difficoltà da parte dell'intelligence di fare i riscontri più semplici. 
Di fatto, Schengen consente a orde di terroristi di circolare indisturbati nei paesi occidentali. Con la conseguenza che la sovranità statale è sempre più a rischio. 
La storia insegna che quando gli Stati europei iniziarono a fare concessioni a quel pazzo di Hitler, l'Europa e il mondo furono trascinati nella seconda guerra mondiale. Che facciamo con questi pazzi che si fanno esplodere per aria in nome di Allah? Gli diciamo che hanno fatto bene perché è colpa dell'Occidente se non si sentono accolti?

domenica 20 marzo 2016

CAMILLERI, PIRANDELLO E VERGA E IL MARCIUME DELL'UNITA' D'ITALIA

(Vesuviolive) -“Quando fu fatta l’unità d’Italia noi in Sicilia avevamo 8000 telai, producevamo stoffa. Nel giro di due anni non avevamo più un telaio. Funzionavano solo quelli di Biella. E noi importavamo la stoffa. E ancora oggi è così”.

Andrea Camilleri, scrittore siciliano famoso in principal modo per i romanzi aventi come protagonista il commissario Montalbano, da cui è stata prodotta una serie televisiva, pronunciò le parole sopra riportate in un’intervista concessa a Roberto Cotroneo nel 2008, che prendendo le mosse dalla situazione politica di allora, lo scontro tra l’appena nato Partito Democratico guidato da Veltroni e Silvio Berlusconi, ha toccato le corde della questione meridionale e dell’Unità d’Italia. Senza giri di parole Andrea Camilleri denunciò il fatto che il Mezzogiorno non è altro che una colonia destinata a soccombere sempre di più, poiché rende man mano di meno e non può essere utile alla gestione politica quale è dal 1860:
“Io penso che nel 2008 l’operazione colonialista, iniziata subito dopo l’Unità d’Italia nei riguardi del Sud, sia arrivata al punto finale: questa colonia del Sud rendendo sempre di meno, sempre di più viene abbandonata a se stessa. E la colonia del Sud è come se non facesse parte dell’Italia, come qualche cosa di aggiunto all’Italia. Però se poi vado a vedere chi costituisce la mente direttiva delle industrie del nord, dell’informazione del nord, mi accorgo che sono dei meridionali. E allora mi sento in dovere di chiedere una quantificazione in denaro delle menti meridionali che promuovono il Nord. Voglio metterlo sul piatto della bilancia. Voglio vedere quanto può valere il cervello di un industriale meridionale che lavora e produce ricchezza al Nord”.
Cervelli del Nord che producono ricchezza al Sud non esistono per Camilleri, il quale ha anche la spiegazione di tale circostanza:
La spiegazione risale al 1860. Quando una rivoluzione contadina venne chiamata brigantaggio. Per cui uccisero 17 mila briganti che non esistono da nessuna parte del mondo. Ed erano invece contadini in rivolta, o ex militari borbonici. Tutto già da allora ha preso una piega diversa. Quando fu fatta l’Unità d’Italia noi in Sicilia avevamo 8000 telai, producevamo stoffa. Nel giro di due anni non avevamo più un telaio. Funzionavano solo quelli di Biella. E noi importavamo la stoffa. E ancora oggi è così”.
Andrea Camilleri, il maggiore scrittore italiano in vita, parla insomma di colonia interna, di sfruttamento sistematico del Mezzogiorno sin dal momento dell’Unità, di falso Risorgimento che in realtà è stato una guerra di conquista, di storia nascosta. Col passare del tempo il Sud non poteva che diventare inutile, sfruttato ed inquinato, e allora bisogna trasferire le menti al Nord dopo averle opportunamente programmate affinché dimenticassero le proprie radici, una situazione cui non è esente da colpe la classe dirigente locale:
“Nell’Ottocento, quando cominciò a sorgere la cosiddetta questione meridionale, c’erano parecchi deputati meridionali che si battevano per la questione meridionale. Oggi si battono per altro, non per la questione meridionale”.
Che il neonato Stato Italiano fosse marcio lo avevano rilevato anche altri due grandissimi scrittori siciliani, Luigi Pirandello e Giovanni Verga, i quali, inizialmente entusiasti per quella doveva essere una nuova epoca dorata per la Sicilia cui fu promessa l’autonomia, divennero critici e rinnegarono nei fatti l’Unità d’Italia. Pirandello nacque nel 1867 in una famiglia che aveva partecipato attivamente ai moti risorgimentali, lottando al fianco dei Mille per la liberazione della Sicilia, ma egli manifestò le proprie aspre critiche soprattutto nel romanzo “I vecchi e i giovani”, dove sono a confronto la vecchia generazione, quella protagonista dell’Unità, e la nuova, quella che vive sulle proprie spalle i fatti del 1860. È un’opera il cui fulcro è l’eredità lasciata ai giovani, ma non i giovani del tempo, bensì quelli che sarebbero continuati a nascere nei decenni successivi. Donna Caterina, nel romanzo, afferma:
“Qua c’è la fame, caro signore, nelle campagne e nelle zolfare; i latifondi, la tirannia feudale dei cosìddetti cappelli, le tasse comunali che succhiano l’ultimo sangue a gente che non ha neanche da comperarsi il pane“.
Eccoli qui, ma non solo essi, gli ottomila telai di cui parla Andrea Camilleri. È quella che Pirandello chiama “bancarotta del patriottismo”, l’inganno e il fallimento del Risorgimento, l’amara consapevolezza che dietro i Mille vi era ben altro disegno, ben altri burattinai che della Sicilia e, del resto, di tutto il Mezzogiorno, non se ne curavano se non come territorio attraverso cui accrescere la propria posizione, il proprio potere, la propria ricchezza. La critica di Giovanni Verga si dispiega invece nel cosiddetto “Ideale dell’ostrica”, secondo il quale è impossibile migliorare la condizione nella quale si è nati, una sorta di cu nasci tunnu un po muriri quatratu, nonostante tutti gli sforzi che possano essere fatti: Mastro Gesualdo non diverrà mai Don Gesualdo, al massimo Mastro Don Gesualdo, e la famiglia di Padron ‘Ntoni, appena cercherà di ampliare la propria “attività” perderà la barca – migliorare non si può, si può solo fare peggio, dunque è meglio restare, come un’ostrica, attaccati al proprio scoglio. I lavori di Verga sono tutti incentrati sulla condizione delle classi più povere e disagiate, implacabilmente sfruttate e impossibilitate a raggiungere non solo il benessere, ma neanche una condizione leggermente migliore rispetto a quella di partenza. In maniera un po’ velata, certo, ma evidente a chi vuole andare oltre il racconto e contestualizzare l’opera di uno scrittore, capire le basi sulle quali è stata scritta, sono presenti la sfiducia e la delusione verso qualcosa che sembrava oro, ma era un’illusione, un miraggio, un inganno: era l’oro dei pazzi.

sabato 5 marzo 2016

IL CASO SPOTLIGHT

Uno scandalo che parte dalla città di Boston nel 2002 e si scopre essere di dimesioni planetarie. Gli abusi su minori da parte di prelati della Chiesa Cattolica, sistematicamente insabbiati dalla stessa chiesa, per coprire il marcio di preti pervertiti. Un'inchiesta del Boston Globe, avviata dal nuovo direttore ebreo arrivato quell'anno in redazione, e premiata con il Premio Pulitzer. Grazie all'accesso ad atti secretati, a colloqui con le vittime degli abusi, ad altri colloqui con l'avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian, e grazie ancora agli studi trentennali di un ex prete, quattro giornalisti di una città americana, non grande, e molto cattolica, scoperchiano il marcio che si nasconde tra i prelati, fino a comprendere che tutto ciò fa parte di un sistema.
La sensazione più netta che si prova, alla fine del film, un vero capolavoro, capace di tenere col fiato sospeso dall'inizio alla fine, è il profondo disgusto per la categoria dei preti e per il corrotto sistema che essi hanno creato. Roba da far venire in mente il terzo segreto di Fatima e chiedersi quante volte ancora il Cristo dovrà essere offeso nella persona di tutti i bambini violati dagli uomini di chiesa. Anche perché il cardinale americano Bernard Francis Law, che per anni ha tenuto nascoste tutte queste nefandezze, dopo essersi dimesso dalla sua diocesi di Boston, è stato "promosso" arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma (anche se alcuni sostengono che invece sia stato declassato proprio attraverso questo incarico). 
I protagonisti di questa grande inchiesta giornalistica, attraverso annuari ecclesiastici del Massachussets, scoprono che le decine di sacerdoti spostati ogni due o tre anni di parrocchia in parrocchia, sono in realtà pedofili, che la Chiesa copre con le giustificazioni più varie: "assegnato", "malattia", "aspettativa".
Mentre l'indagine fra le vittime, rivela che questi sacerdoti sono dei predatori seriali, che prediligono vittime fragili, ovvero bambini e bambine figli di famiglie difficili o povere, abitanti di quartieri degradati e bisognosi di attenzioni.
Alla fine, nella sola Boston, vengono scoperti 87 sacerdoti colpevoli: di 70 di loro i crimini sono documentati con puntiglio, e ciò porta, appunto, alle dimissioni di Law. A fine film, vi è una lista chilometrica di città americane in cui tale piaga ha fatto registrare delle vittime. Molte di loro si sono suicidate. Per i sopravvissuti, il ricordo degli abusi subiti è fonte di una sofferenza inenarrabile, destinata a non sparire mai più dalle loro vite. 
Si calcola che il 6% dei prelati commette abusi sui minori e che solo il 50% dei preti sia casto. Nel film, l'ex sacerdote che studia la pedofilia fra i preti (e che nel film parla solo al telefono), afferma che si tratta di una vera e propria casistica psichiatrica.
Come afferma "L'Avvenire", tuttavia, nel film "non si dice nulla della sorte di padre John Geoghan, il sacerdote dai cui crimini l’inchiesta prese avvio. Per la cronaca, fu ucciso in carcere da un compagno di cella nell’agosto del 2003".
Il film è vincitore del premio Oscar come miglior film e migliore sceneggiatura originale.

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