mercoledì 26 settembre 2012

VITA NELLA NOTTE



RACCONTO

(c) Lucia Gangale

Puffola era la volpe più bella e più furba che avessero quelle campagne, in quella curva scendendo verso la vallata. Ed ogni notte riusciva a catturare qualcosa da mangiare. Gli occhi vispi e scurissimi, il musino simpatico, il corpo asciutto ed il lucido pelo rosso, la coda enorme.
Era padrona indiscussa del posto, per la sua conoscenza del territorio, dove, come molti altri, usciva in perlustrazione la notte. Infatti i protagonisti di questa storia notturna sono parecchi: barbagianni, civette, donnole, ricci, gufi e tante altre volpi.
Prima di gettarsi a capofitto nei cespugli, Puffola osservava attentamente chi aveva di fronte. Quanta varia umanità. Il sindaco di ritorno dalla capitale con i suoi collaboratori, dopo aver chiesto finanziamenti pubblici. Commesse e impiegate di ritorno dal cinema o dirette verso il pub o verso qualche festa di piazza. Ladri in azione nel cuore della notte. Carabinieri che facevano controlli sulle strade. Studenti brilli senza un motivo preciso. Prostitute di passaggio nelle loro auto (qui non si batteva lungo il ciglio della strada). Commessi viaggiatori. Agricoltori e operai. Medici ospedalieri e infermieri di ritorno dai turni di lavoro. Panettieri che andavano ad aprire i forni.
Decisi di fare una mezz’oretta di percorso e vedere se la incontravo, lei, la famosa Puffola che tutti conoscevano in quella zona.
Avevo capito a quale altezza in genere si vedeva, inafferrabile come al solito, e così decisi di provarci. Non che ci sperassi.
Il tragitto è fatto in modo che dopo avere attraversato un ponte ed un bivio, si sbuca tra montagne ricoperte di verde. Nella notte diventano nere, ma quella sera la mia fortuna fu che la luna alta nel cielo era piena ed enorme ed illuminava le strade ed i contorni delle montagne.
Le acque argentee del fiume luccicavano sotto il chiarore lunare ed i profili delle montagne erano scolpiti in maniera netta e precisa contro il cielo più chiaro quella sera.
Avvistai dei barbagianni solitari che, enormi, spiccavano il volo e fendevano l’aria di quella sera tranquilla, dove era capitato solo un controllo dei carabinieri, cui avevo detto di far abbassare i fari al signore della macchina dietro di me.
L’automobile scorreva tranquilla, mentre donnole e scoiattoli sparivano di improvviso nell’erba, senza darmi nemmeno il tempo quasi di avvistarli.
A tratti udivo emettere suoni strani, di qualche non identificato animale.
L’aria era pulita ed il cielo perfettamente terso. Qualche rara automobile mi superava nella mia tranquilla passeggiata, mentre vedevo altri animali, tipo lontre e donnole imbucarsi tra i cespugli e sparire nel nulla.
Affioravano pensieri mistico-filosofici: se gli artisti creano le cose avendo come ispirazione la Natura in tutte le sue forme, allora deve esserci un Artefice Divino che ha plasmato la materia in tutte queste forme di vita diverse.
Ed ancora: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Accesi la radio e la tenevo bassa, per godermi al meglio lo spettacolo di quella luna nel pieno splendore che stava sospesa sui profili delle montagne, e di quelle stelle che insieme formano la costellazione di Cassiopea quando… eccola.
Puffola era sul ciglio della strada, davanti a me.
Spensi la radio all’istante.
Mi fermai.
Stranamente, invece di sparire subito come è nella natura delle volpi, Puffola si fermò a guardarmi negli occhi per qualche secondo.
Erano bellissimi quegli occhi nocciola e furbi, inoltre, come al suo solito, Puffola aveva del cibo tra i denti.
Era un periodo faticoso e pieno di domande per me. Ma Puffola, senza saperlo, o forse sì (cosa ne sappiamo noi, della sapienza animale?) mi stava rispondendo.
Con quel suo sguardo intelligente mi stava dicendo: vedi come viviamo noi seguendo la natura? Non ci manca mai nulla: la campagna ci fornisce il letto per dormire, i fiumi acqua che ci disseta, la natura materia prima per sfamarci, il corpo di cui ci ha fornito l’abito per affrontare le stagioni, l’intelligenza che ci ha dato la prontezza per evitare i pericoli e superare le difficoltà. E viviamo così, naturalmente, senza chiederci perché e cosa sarà della nostra sorte.
Puffola mi guardava negli occhi e io la stavo ascoltando. Era così bella, così fiera, che avrei voluto portarla via con me. Ma il suo destino è quello di vivere nella natura come ha sempre fatto.
Mi guardò ancora per qualche secondo ed io la guardavo con stupore e con incanto. Poi sparì di colpo nell’erba e nel bosco ed io provai un senso di riconoscenza.
Non avevo fatto niente di speciale, non avevo frequentato locali, o discoteche, o cene all’aperto, o altro. Eppure sentivo che avevo vissuto una notte speciale. Per la luce che c’era quella sera, per lo sguardo di quell’animale bellissimo, per tutto il mondo di esseri viventi che si era dispiegato a me in quella notte fatata. E sperimentavo una ricchezza mai provata prima.

 7.7.2012

martedì 25 settembre 2012

LAZIOGATE

Dopo il caso Marrazzo la Regione Lazio torna nell'occhio del ciclone per un giro di feste faraoniche in costume, stile basso Impero, e per le spese folli dei suoi politici. Mentre Er Batman vuota il sacco, l'ex presidente Renata Polverini nega recisamente le accuse di una sua collusione con i politici magnoni, i quali hanno suscitato il raccapriccio dei funzionari della Corte dei Conti ed anche l'indignazione di Santa Romana Chiesa per la loro avidità, soprattutto in questi tempi di crisi che attanaglia il nostro Paese, gettando nella disperazione famiglie intere e migliaia di operai sull'orlo del licenziamento. Una vergogna tutta italiana che continua, dopo Tangentopoli e dopo il bunga bunga. Soldi pubblici dilapidati per i vizi di un'intera classe dirigente. Non c'è pace per la Regione Lazio e per la nostra povera Italia. E più che mai sono attuali le parole scritte già diversi anni or sono dal cantautore Franco Battiato: "Questo secolo oramai alla fine/ saturo di parassiti senza dignità/ mi spinge solo ad essere migliore/ con più volontà".

domenica 16 settembre 2012

BOLOGNA DICE ADDIO AL SUO POETA ROBERTO ROVERSI

Scrittore, poeta, letterato, libraio antiquario - per anni ha gestito la Libreria Palmaverde nell'amata città di Bologna - Roberto Roversi è stato anche autore dei testi delle canzoni di Lucio Dalla. Ha composto, tra l'altro, "Chiedi chi erano i Beatles", cantata dagli Stadio, la band che per un certo periodo di tempo suonò con Dalla. L'incontro tra Dalla e Roversi - che scompaiono a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro -, fu, a detta dello stesso Dalla, quasi il prodotto quasi di forze astrochimiche.
Se ne è andato a 89 anni l'ex direttore del giornale Lotta Continua. Roversi si arruolò fra i partigiani, appena ventenne, e combatté nella Resistenza in Piemonte.
Nel 1955, con Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini, fondò la rivista Officina. Nel 1961 diede alla luce una nuova rivista, Rendiconti. Di entrambe è stato anche editore. 
Ha pubblicato con grandi editori e poi, dalla metà degli anni Sessanta, ha smesso con questi per rivolgersi ad artigiani del modo editoriale e spesso si è limitato a distribuire i suoi scritti in ciclostile distribuiti gratuitamente ed a collaborare con piccole riviste autogestite.
Non era amante dell'apparire né dei premi letterari. Rifiutò il Feronia, che viene attribuito agli irregolari, fuori dalle logiche di mercato. Nel 2007 ha subito la perdita del figlio Antonio, ammalato di tumore, che è stato Sociologo e Professore Ordinario all'Università di Bologna. Nel 2010 ha dato alle stampe in cinquanta esemplari fuori commercio la versione integrale del poema "L'Italia sepolta sotto la neve".
Il Presidente Napolitano e tutto il mondo politico italiano hanno espresso cordoglio per la scomparsa di Roberto Roversi.

sabato 15 settembre 2012

UN COMPUTER AL GIORNO LEVA IL DOCENTE DI TORNO?


(Fonte: Il Fatto Quotidiano) -  Ci risiamo. Qualche tempo fa furono distribuite (Dove? Quante? Come sono state usate?) per iniziativa dei ministri Gelmini e Brunetta le lavagne elettroniche nelle scuole italiane. Uno strumento bello a vedersi con un monitor touch che salvava e stampava. 
Oggi si annunciano tablet e computer in ogni classe. Mi piacerebbe che ogni tanto qualche ministro dicesse: “potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravioletti”, ma non lo abbiamo fatto; perché prima gli insegnanti, i libri, la carta, i banchi, la palestra, il teatro… le vecchie cose, insomma.
Intendiamoci, è una cosa positiva avere più strumenti per insegnare e anche per far apprendere. C’è però una retorica della scuola multimediale che mi lascia perplesso.
Io il mio primo computer l’ho visto durante gli anni di università e ho imparato ad usarlo bene per scriverci la tesi. Ho imparato da solo. Come tutti d’altra parte. Siamo la generazione che ha fatto le scuole senza computer, che ha pensato senza computer. O se vogliamo, ha pensato ‘al posto del’ computer. I miei figli hanno conosciuto a due anni l’iPad e ci restano male che la televisione non abbia un touch screen. Hanno imparato a usarlo subito, da soli e il nostro sforzo, a casa, è quello di tenerli il più possibile lontani da computer, tv, tablet, video-giochi. Con scarso successo, devo dire. Ma, osservandoli, ci sembra che ci sia più esercizio di fantasia e creatività, di stimolo a completare le cose con i libri stampati, la carta da ritagliare e dipingere, la matita da tenere in mano. Ci sono più domande e c’è più conversazione quando si gioca alla vecchia maniera. Certo, le due cose non si escludono, ma è davvero difficile proporre carta e penna, quando l’iPad ti permette e promette mille colori, con suoni ed effetti speciali. Penso che il loro processo di apprendimento sia più aperto con entrambe le cose, ma penso anche che una istruzione informatizzata potrebbe far perder qualcosa. Fosse anche la noia. La pausa. Il farsi una domanda senza risposta.
L’Agcom nel suo programma sull’agenda digitale italiana insisteva, tra gli altri punti qualificanti, sull’alfabetizzazione informatica nelle scuole. Ma è facile scoprire che non sono certo i ragazzi a non saper usare i computer. Spesso sono gli insegnanti, qualche genitore e i nonni. L’informatizzazione della scuola non deve essere pensata con il provincialismo di chi vorrebbe che i giovani non abbiano le difficoltà che hanno oggi gli anziani. Perché loro non le avranno.
Il ‘computer a scuola’ non deve esser pensato come mezzo per insegnarne l’uso ai giovani e ai ragazzi. Lo imparano subito e benissimo. Va invece pensato come uno strumento di verifica e ricerca rispetto a ciò che si è insegnato prima, con la lettura e l’ascolto. Il computer in classe serve forse a far capire agli studenti l’importanza del docente che sa utilizzarlo come strumento aggiuntivo. E non a generare l’equivoco che tutto il resto sia vecchio, inutile, ‘cliccabile’ o ‘downloadabile’ da qualche parte. 
Le nuove generazioni sono già in rete o lo saranno presto e per sempre. Forse ciò che bisogna insegnare loro è la capacità di farne a meno. E visto che la rete è dappertutto, forse davvero è rimasta solo la vecchia scuola il luogo privilegiato dove fare questa (rara) esperienza.

lunedì 10 settembre 2012

PROFUMO DI ZAGARA SULLA TERRAZZA DI POSITANO

Certo che Positano è bella e meravigliosa anche quando piove. Anche quando il cielo è plumbeo e la pioggia bagna l'asfalto, e tu magari ti trovi in sandali estivi e calzoncini corti e la pioggia ti sorprende, mentre gusti un cappuccino su una terrazza immensa, strapiena di stranieri venuti ad ammirare le bellezze impareggiabili della costiera amalfitana, che si spostano in autobus tra Positano, Amalfi, Ravello, Maiori e Minori. Eccoci su questa terrazza enorme, seduti comodamente su sedie di vimini, mentre la pioggia gocciola ed il mare di sotto si frange tra gli scogli e la spiaggia. Il titolare del bar ha avuto, anni fa, l'idea di riattare la sua proprietà in centro a Positano e costruirvi questa enorme terrazza, con sul davanti una lunga teoria di zagare e con un angolo piano bar, per le serate canore. Tra gli stranieri, chi consuma il branch, chi beve succhi e chi caffè rigorosamente italiano.
E vanno a farsi benedire tutte le teorie ed i credo politico-filosofico-sessuali-sociali-individuali-familiari-collettivi bla bla bla. 
Tutti, italiani, inglesi, cinesi, francesi, giapponesi eccetera, parte di un'umanità sola. 'Na tazzulell'e cafè e quella vista, unica al mondo, di fronte a noi.

sabato 8 settembre 2012

LA MATITA

Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera. A un certo punto, le domandò: "Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me. "La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: "È vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che... la usassi tu, quando sarai cresciuto."Incuriosito, il bimbo guardò la matita, senza trovarvi alcunché di speciale. "Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!" "Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell'esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo. "Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. 'Dio': ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà. "Seconda qualità: di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura ed usare il temperino. È un'operazione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore. "Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un'azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia. "Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te. "Quinta qualità: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione. "Apprezza ciò che sei perché tu sei amore, quell'amore che cerchi in ogni cosa e in ogni dove. Accogli ciò che tu sei perché tu sei ciò che cerchi di essere, ciò che tu vuoi essere, tu sei la vita che crea la tua vita. Accetta te stesso, amore del tuo amore, perché tu sei ciò che hai tanto bisogno di essere. Sorridi all'amore che tu emani perché tu sei quell'amore che cerchi in ogni luogo, pace dei tuoi sensi.

(Paulo Coelho, Sono come il fiume che scorre. Pensieri e riflessioni 1998-2005)

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