(🖊️Silvia Morosi @silvia.morosi) IL DIRITTO AL RIPOSO (E ALLA STANCHEZZA) - «Ogni individuo ha diritto al #riposo e allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite», recita l’articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani (adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948). In una società iper-produttiva, che ha fatto dell’avere l’agenda piena uno status e si è dimenticata del tasto “off”, ci sentiamo spesso in colpa se ci prendiamo del tempo per staccare. Del tempo per noi. Il tema mi sta a cuore e ci rifletto da mesi: ma siamo davvero sicuri che il riposo e la #stanchezza non siano due diritti per cui battersi senza vergogna?
domenica 17 marzo 2024
domenica 10 marzo 2024
SCRITTRICI DIMENTICATE
domenica 3 marzo 2024
venerdì 1 marzo 2024
ELOGIO DELLA SPREZZATURA IN BALDASSARRE CASTIGLIONE
Baldesar Castiglione -Il libro del Cortegiano
XXVI.
Chi adunque vorrà esser bon discipulo, oltre al far le cose bene, sempre ha da metter ogni diligenzia per assimigliarsi al maestro e, se possibil fosse, transformarsi in lui. E quando già si sente aver fatto profitto, giova molto veder diversi omini di tal professione e, governandosi con quel bon giudicio che sempre gli ha da esser guida, andar scegliendo or da un or da un altro varie cose. E come la pecchia ne' verdi prati sempre tra l'erbe va carpendo i fiori, cosi il nostro cortegiano averà da rubare questa grazia da que' che a lui parerà che la tenghino e da ciascun quella parte che più sarà laudevole; e non far come un amico nostro, che voi tutti conoscete, che si pensava esser molto simileal reFerrando minored'Aragona, né in altro avea posto cura d'imitarlo, che nel spesso alzare il capo, torzendo una parte della bocca, il qual costume il re avea contratto cosi da infirmità. E di questi molti si ritrovano, che pensan far assai, pur che sian simili a un grand'omo in qualche cosa; e spesso si appigliano a quella che in colui è sola viciosa. M a avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l'hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande
ch'ella si sia. Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l'omo poco estimato. E ricordomi io già aver letto esser stati alcuni antichi oratori eccellentissimi, i quali tra le altre loro industrie sforzavansi di far credere ad ognuno sé non aver notizia alcuna di lettere; e dissimulando il sapere mostravan le loro orazioni esser fatte simplicissimamente, e più tosto secondo che loro porgea la natura e la verità, che 'I studio e l'arte; la qual se fosse stata conosciuta, aria dato dubbio negli animi del populo di non dover esser da quella ingannati. Vedete adunque come il mostrar l'arte ed un cosi intento studio levi la grazia d'ogni cosa. Q ual di voi è che non rida quando 11 nostro messer Pierpaulo danza alla foggia sua, con que' saltetti e gambe stirate in punta di piede, senza mover la testa, come se tutto fosse un legno, con tanta attenzione, che di certo pare che vada numerando i passi?
Qual occhio è cosi cieco, che non vegga in questo la disgrazia della affettazione? e la grazia in molti omini e donne che sono qui presenti, di quella sprezzata desinvoltura (ché nei movimenti del corpo molti cosi la chiamano), con un parlar o ridere o adattarsi, mostrando non estimar e pensar più ad ogni altra cosa che a quello, per far credere a chi vede quasi di non saper né poter errare?
sabato 10 febbraio 2024
GLI STUDI DEL GRUPPO "ISTRIA ITALIANA"
(Daniele De Folchi) - Sabato Febbraio 2024 ,noi del gruppo di ricerca ISTRIA ITALIANA commemoriamo il giorno del ricordo,istituito dal senatore Roberto Menia con Legge n.92 del 30 Marzo 2004.
venerdì 9 febbraio 2024
FAUSTA CIALENTE: L’AVVENTURA DI RADIO CAIRO
Per
quanta indignazione potesse sollevare in noi lo spettacolo d’una seconda guerra
mondiale (a poco più di vent’anni dalla fine della prima) che si sarebbe potuta
evitare, con tutti gli orrori a cui ci fece assistere, se la chiara lezione che
ci aveva dato la guerra in Spagna e il trionfo del franchismo fossero almeno
serviti a far intendere agli stati europei, Francia e Gran Bretagna in prima
linea, che non bisognava, per l’eterna paura del “bolscevismo”, proteggere i
fascismi, non mi sentii sperduta come la prima volta. La grossa esperienza non
era stata inutile. Perciò, quando nell’ottobre del ’40, dagli ufficiali inglesi
della propaganda mi venne offerto d’iniziare una trasmissione antifascista alla
radio del Cairo, accettai subito; non con entusiasmo, perché sarebbe stato
difficile averne nelle condizioni in cui mi sarei trovata, già lo sapevo,
collaborando con quello che avrebbe dovuto essere il “nemico ufficiale” e del
cui sincero antifascismo dubitavo assai; ma lo sentii lo stesso come un preciso
dovere. Era un’arma che la sorte mi poneva in mano e con quell’arma, astuzia
aiutando, sul fascismo avrei finalmente sparato anch’io.
Dovetti
quindi trasferirmi da Alessandria al Cairo e in un primo momento non ritrovai
gli entusiasmi che la bellissima città, superbamente adagiata sulle rive del
Nilo, aveva sempre suscitato in me col suo paesaggio, i suoi colori e i suoi
odori – poiché un paese è fatto anche di questi, sopra tutto in Oriente. Il duro
lavoro che avevo accettato, i problemi che dovevo affrontare, mi fecero,
durante anni, in apparenza una solerte e precisa funzionaria; in realtà
svegliarono una persona che non avrei mai supposto di poter essere, con tutta
la malizia, l’arroganza, la capacità d’intrigo e d’aggressione che richiedevano
la quotidiana difesa dell’indipendenza e dell’efficienza del nostro lavoro;
perché non ero sola, evidentemente, avevo i miei bravi e fedeli collaboratori
che per fortuna m’erano stati imposti. Non ero più la “scrittrice”, avevo
perfino dimenticato d’esserlo stata, mi sembrava che non avrei più potuto
perder tempo a “inventare storielle”, la crudeltà della guerra mi faceva vedere
questo come la cosa più inutile del mondo. Avevo torto, ma così è stato.
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 222-223.
(Alle pp. 232-233 parla della morte di Renato
Cialente)
FAUSTA CIALENTE: EQUIVOCO SU MUSSOLINI
Quella
che io avevo creduto intelligenza non era stata altro. Dunque, se non una buona
cultura musicale e letteraria. Incapace oggi ancora di farle intendere come la
sua città stesse già soccombendo a tutti i punti di vista da quando aveva la “fortuna”
di appartenere al regno d’Italia. Naturalmente, non sollevai nessun problema
del genere, nemmeno quello, vergognoso, del razzismo fascista contro gli
sloveni, tanto non avrebbe capito, o, peggio ancora, non mi avrebbe creduta; e
il mio soggiorno a Malborghetto fu piacevole, il clima di mezza montagna mi
aveva presto guarita e con me la zia era gentile e affettuosa.
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 219-220.