giovedì 8 dicembre 2016

LA SOCIETA' CHE NON ASCOLTA

Molti nemici molto onore? Forse: ma troppi nemici sconfitta certa, anche per gli errori di fondo di cui ho già scritto su giovani e riforma della scuola (che considero i vizi capitali), per la difficoltà del paese a incrociare la ripresa economica, e per la questione delle banche, un veleno che ha corroso molto consenso, oltre a gambizzare la figura più forte del renzismo dopo il premier. (ENRICO MENTANA)

Famiglia vuol dire comunità: vuol dire relazione non permeabile dal nesso mercantile, vuol dire solidarietà e gratuità, donatività e altruismo, negazione dell'individualismo oggi imperante. Per questo il capitale mira a distruggere la famiglia: esso non tollera comunità e vuole vedere ovunque sempre e solo atomi consumistici. Nell’odierna “notte del mondo” (Heidegger) del monoteismo del mercato e del fanatismo dell’economia, la famiglia, ove ancora esista, costituisce un’eroica forma di resistenza all’esiziale dialettica di sviluppo del capitalismo. Finché vi è famiglia, vi è comunità: e finché vi è comunità, vi è speranza. (DIEGO FUSARO)


Siamo immersi nella società che non ascolta e pretende di imporre la propria visione del mondo e della vita. Basta vedere un confronto televisivo come quello di ieri sera su LA7: il filosofo torinese Diego Fusaro, nel tentativo di esplicitare un concetto, è stato ripetutamente interrotto dal giornalista David Parenzo.
Viviamo nella società dove, nei luoghi di lavoro, c'è sempre quello che vuole emergere su tutti e racimolare incarichi a destra e a manca.
Nell'era in cui i clandestini reclamano per i tablet ed invadono i parcheggi a pagamento per farsi dare altri soldi (dopo che uno a già pagato). Comoda la scusa di essere razzisti, per mandare avanti questo becero sistema di... "accoglienza".
Viviamo nell'era del capitalismo imperante e dell'unità europea fondata sulla moneta delle banche. Nonché sul disprezzo e il dileggio nei confronti di chi dice NO: "Perché non ha capito niente".
Quando vuoi distruggere il nemico lo devi tacciare di ignoranza e incompetenza. Ma questo giochetto lo fanno solo gli incompetenti. Quelli che non argomentano. Quelli che buttano tutto sul personale. E aggrediscono verbalmente l'altro. Proprio perché sono in difetto.

Al referendum costituzionale ha vinto il NO con il70% delle preferenze. Gran parte delle quali espresse proprio nei luoghi roccaforte del PD.
In questi tristi tempi di  "monoteismo del mercato e fanatismo dell’economia", in cui i lavoratori vengono retribuiti con i voucher e gli studenti devono lavorare gratis per le grosse multinazionali, il popolo, sempre sottovalutato da chi non ascolta e si rinchiude nei proprio autoreferenziali privilegi, dimostra che è stato tolto il futuro, ma non ancora la capacità di pensare. 
Non è poco.
In questi tempi tristi, di strapotere delle banche, di diktat europei, di leggi capitalistiche imposte alla maggiornaza delle persone normali, andrebbe rivalutato il pensiero di una grande filosofa tedesca.
EDITH STEIN diceva che il principale attributo dello Stato è la sua sovranità. Quando questa è tolta o viene a mancare per una serie di ragioni (elencate nel suo libro "Una ricerca sullo Stato"), lo Stato è vittima dello smembramento e della sua fine.
Una riflessione quanto mai attuale oggi, venuta da una pensatrice vissuta ai tempi del totalitarismo nazista e vittima sacrificale nel campo di concentramento di  Auschwitz, il 9 agosto 1942.

martedì 6 dicembre 2016

FUSARO: LA BUONA SCUOLA E' QUELLA DI GIOVANNI GENTILE


Si può certo dire quel che si vuole di Giovanni Gentile, criticarlo a fondo sia politicamente sia filosoficamente: mostrare i suoi errori nelle scelte politiche, evidenziare i suoi limiti nella pur grande e originale “riforma” che egli tentò della dialettica di Hegel. Come tutti i grandi pensatori, anche Gentile, pensando in grande, commise anche grandi errori. Gentile resta un grande, nonostante la sua adesione al fascismo.
Resta, poi, il fatto che, oltre a essere, con Gramsci, il più grande pensatore italiano del Novecento, Gentile ci ha lasciato un dono meraviglioso, per il quale dovremmo essergli eternamente grati: il Liceo classico. Come spesso accade, ci si accorge dell’importanza di una realtà a cui siamo abituati solo allorché essa comincia a venire meno, come accade quando manca l’aria: così è per il Liceo classico, la migliore scuola del mondo, concepita dal Gentile ministro dell’Istruzione, fautore della migliore riforma della scuola di cui il nostro Paese abbia ad oggi beneficiato; riforma, certo, discutibile finché si vuole, se si considera che già Gramsci, non senza buone ragioni, la accusava di classismo. Riforma discutibile finché si vuole, sì, ma pur sempre la migliore di cui questo Paese abbia beneficiato.
Resta, d’altro canto, il fatto che il Liceo classico ha reso possibile la superiorità culturale di intere generazioni di liceali italiani rispetto ai loro coetanei di tutto il mondo (provate ad andare in Germania o in Francia per accorgervene). Con l’insegnamento del latino e del greco, ma poi anche con il nobile progetto di formare uomini in senso pieno, unendo tra loro la paideia greca, la raison illuministica e la Bildung romantica, il liceo classico ideato da Gentile resta un unicum nel panorama mondiale e oggi, possiamo dirlo, una vera e propria forma di resistenza al generalizzato “cretinismo economico” (Gramsci) che la cosiddetta mondializzazione sta esportando in ogni angolo del pianeta: cretinismo in forza del quale sempre meno si pensa e sempre più si calcola, in un desolante paesaggio in cui il greco e il latino, la filosofia e l’arte sono liquidati come “inutili” (sic!) dalla stolida ragione calcolatoria che pretende di essere la sola sorgente di senso. Noto, per inciso, che in Spagna hanno già, nei licei, sostituito la filosofia con la finanza!
Il grande dono che Giovanni Gentile ci ha lasciato è ciò che oggi gli “specialisti senza intelligenza” (Weber) dei nuovi governi di centro-destra e di centro-sinistra stanno distruggendo: il latino e il greco, la storia dell’arte e della letteratura saranno presto sostituiti dall’inglese e dalla finanza, dal management e dall’impresa. La barbarie è alle porte e si presenta, con tono rassicurante, come “Buona Scuola“, proprio come i bombardamenti si chiamano “missioni di pace” e i colpi di stato finanziari si chiamano “governi tecnici”. Orwell era un dilettante: la realtà ha superato la fantasia, facendo apparire normale e plausibile l’inimmaginabile. La barbarie oggi imperante impone di valutare tutto sulla base del solo criterio dell’utilità, alla cui luce la filosofia e l’arte, la teologia e la storia risultano, evidentemente, indegne di essere coltivate e studiate. La stupidità non ha limiti.
Stiamo, in effetti, assistendo alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, smantellando le acquisizioni della riforma della scuola di Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso, della modernizzazione e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti e crediti, presidi managers, informatica e inglese in luogo del latino e del greco, e mille altre amenità coerenti con la ristrutturazione capitalistica della scuola). La situazione è, davvero, tragica ma non seria.
Anche un bambino si può accorgere di come i continui tagli dei finanziamenti destinati alla cultura (o, in forma complementare, il foraggiamento a flusso continuo delle eterogenee forme dell’ “idiotismo specialistico”) rispondono essi stessi a un programma politico opportunamente mascherato dietro le leggi anonime dell’economia.
Il silenziamento di ogni prospettiva critica viene oggi ottenuto non più tramite il ricorso alla violenza nelle sue forme dirette e plateali, dal rogo di Bruno e di Vanini alle torture dei non ortodossi di ogni tempo, bensì tramite la rimozione delle risorse necessarie per sopravvivere: vale a dire secondo un modo che – cifra della violenza come categoria economica immanente del capitalismo – rende in larga parte invisibile tanto l’azione dei carnefici quanto la sofferenza delle vittime. Il potere nichilistico della finanza e del capitale deve tagliare ogni testa pensante, sostituendola con il cretinismo economico delle teste calcolanti: la distruzione del liceo classico è una tappa fondamentale di questo criminale processo oggi in corso.
Il capitale non vuole vedere tese pensanti, esseri umani dotati di identità culturale e di spessore critico, consapevoli delle loro radici e della falsità del tempo presente: vuole vedere ovunque il medesimo, cioè atomi di consumo senza identità e senza cultura, in grado di parlare unicamente l’inglese dei mercati e della finanza.

DIEGO FUSARO

lunedì 17 ottobre 2016

LICEO CLASSICO: NO, IL PROBLEMA NON E' IL LATINO

 di Luca Ricolfi


Quel che vedo è terribile. Ci sono studenti, tantissimi studenti, che non hanno alcun particolare handicap fisico o sociale eppure sono irrimediabilmente non all'altezza dei compiti cognitivi che lo studio universitario ancora richiede in certe materie e in certe aree del Paese. Essi credono di avere delle “lacune”, e quindi di poterle colmare (come si recupera un'informazione mancante cercandola su internet), ma in realtà si sbagliano. Per essi non c'è più (quasi) nulla da fare, perché difettano delle capacità di base, che si acquisiscono lentamente e gradualmente nel tempo: capacità di astrazione e concentrazione, padronanza della lingua e del suo lessico, finezza e sensibilità alle distinzioni, capacità di prendere appunti e organizzare la conoscenza, attitudine a non dimenticare quel che si è appreso. La scuola di oggi, con la sua corsa ad abbassare l'asticella, queste capacità le fornisce sempre più raramente. E, quel che è più grave, questa rinuncia a regalare ai giovani una vera formazione di base non avviene certo in nome di un'istruzione “utile”, ovvero all'insegna di uno sviluppo delle capacità professionali, ad esempio sul modello tedesco dell'alternanza scuola-lavoro. No, il modello verso cui stiamo correndo a fari spenti è quello della liceizzazione totale: la scuola secondaria superiore è oggi un gigantesco liceo che non è più in grado di erogare una preparazione di base decente, e proprio per questo induce l'università a trasformarsi essa stessa in un immenso e tardivo liceo. L'unico baluardo che resta in piedi sono quelle scuole, ma forse sarebbe meglio dire – quegli insegnanti – che non hanno rinunciato a spostare l'asticella sempre più in su, per mettere i loro allievi nelle condizioni di affrontare qualsiasi tipo di studio, umanistico o scientifico che sia. È grazie a queste scuole e a questi insegnanti che all'università, nonostante tutto, arrivano ancora drappelli di studenti in grado di ricevere un'istruzione universitaria, e le materie più complesse non sono ancora state abolite del tutto. Ma si tratta di eccezioni, non di rado provenienti dalla minoranza di studenti (circa il 6%) che ancora scelgono il liceo classico, con la sua aborrita prova di traduzione dal latino e dal greco. La regola, purtroppo, è che chi ha un diploma di maturità non è in grado di frequentare un'università che non abbia drasticamente abbassato gli standard.

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lunedì 3 ottobre 2016

VRENZOLE

La vrenzola è un esemplare di sesso femminile dotato di scarsa raffinatezza ma grande autostima che invade la strade di Napoli.
Esistono due specie di vrenzole:

1. A buatt': corta, chiatta e chien' e nzogna, simile al casatiello

2. A feshon: Di aspetto considerabile anche piacente.. si differenzia dalla prima specie per l' utlizzo eccessivo del leopardato.

La vrenzola, genericamente, non lavora...la sua occupazione è truvà o' nammurato. Per questo motivo cura molto il suo aspetto fisico.

La vrenzola ci tiene molto al colorito del suo viso per questo invece della trousse ha la cardarella e la cucchiara a uso e mast' fravecatore.... Se non è fondotinta so' lampade..

Per apparire di più utilizzano colori sgargianti, partenn' a ri capill'..scagnate! i colori sono tre:

1.nero corvino: per fare la panterona..

2.biondo sciacquato: per fare la barbie...

3.rosso rugine: in principio erano castani poi a furia di fare lo shampoo senza passare l' antiruggine s' hanna arruginite.

La vrenzola cura in particolare il suo look, perchè ha bisogno di apparire.

La vrenzola, inoltre, la si riconosce dal linguaggio, aeeeeeeeeeee! utilizza termini coloriti e soprattutto la sua voce supera la soglia dell' inquinamento acustico.

Le vrenzole iniziano a prepararsi alle due del pomeriggio e mentre si preparano ascoltano canzoni neomelodiche in attesa del principe buzzurro.

Essere vrenzola non è solo un fattore estetico...la vrenzola è un modo di essere! una mentalità! la vrenzola ten' autostima a murì..la vrenzola è quella che se sbatt' sana sana quann' scenn' co pigiam!

venerdì 16 settembre 2016

ADELPERGA, LA PRINCIPESSA CHE CAMBIO' SALERNO

Con Adelperga, sposa del re Arechi, iniziò la svolta. E il centro raggiunse sfarzo e splendore 




(La città di Salerno) - Quanti sono i salernitani, che attraversato il largo di San Pietro a Corte, imboccata la stretta via che lambisce l’antico palazzo Fruscione con le sue splendide polifore intrecciate e sollevato lo sguardo al nome della via, non hanno la stessa reazione di don Abbondio al nome di Carneade? Quanti si chiederanno: “Adelperga, chi era costei?” Eppure la principessa longobarda ha avuto una ruolo fondamentale nella storia della città. Figlia di Desiderio e quindi sorella della manzoniana Ermengarda, nacque a Pavia dove ricevette una educazione molto sofisticata, sotto la guida di Paolo Diacono, uno dei più importanti intellettuali del tempo. Sposò, in giovane età, Arechi II, duca di Benevento e pertanto signore di quasi tutta l’Italia meridionale, Salerno inclusa. Pochi anni dopo, Carlo Magno, divenuto padrone dell’intero regno dei Franchi, lasciato da suo padre, Pipino il breve a lui ed al fratello Carlomanno, ripudiò la sorella di Adelperga e sotto la spinta di papa Adriano I mosse contro la Longobardia maior ed il suo sovrano Desiderio. Lo sconfisse alle Chiuse d’Italia, sembra grazie a un tradimento e ne espugnò Pavia, capitale del regno. A novembre del 774, Arechi e Adelperga, onde affermare più fortemente la loro autonomia, decisero di proclamarsi principi di Benevento, con una grande cerimonia in cui Arechi indossava uno sfarzoso manto di porpora e oro, mentre Adelperga ne sfoggiava uno azzurro orlato d’argento. Arechi si dichiarò Princeps Longobardorum et Dux Sannitorum e aprì le porte per accogliere tutti i profughi del regno del nord. Contemporaneamente, essendo Benevento troppo facilmente accessibile, attraverso la via Appia in caso di attacco dell’esercito franco, decise, d’accordo con Adelperga, di spostare la capitale a Salerno. Essa stretta tra i monti e il mare era facilmente difendibile. Appariva bella come una perla in un’ostrica ruvida e spigolosa. Era un piccolo centro piuttosto squallido, con le case tutte in legno. La vita era essenzialmente rurale e marittima e si svolgeva nelle corti delle sue misere case. Si mise mano al restauro della antica cinta muraria bizantina compresa la turris maior, il castello che ancora vediamo svettare sul monte Bonadies.
La città rifiorì e la principessa, memore dei suoi studi alla corte di Pavia favorì la nascita del culto della Medicina attraverso le ricerche dei primi docti viri e delle doctae mulieres. La corte raggiunse uno splendore e uno sfarzo per cui lo stesso Arechi ebbe ad affermare che la sua reggia era colma di ricchezze, “di gioielli e metalli preziosi, di suppellettili tirie, portate dagli Indi, dai Cretesi, dai molli Arabi ed Etiopi dalla nera pelle e vesti e drappi prodotti dai Seri.” Un alone di gloria circondò la plaga salernitana.
I principi favorirono uno scambio intenso anche con la campagna circostante dove sorsero proprietà laiche e religiose, produttrici delle derrate portate al mercato. L’accesso al mare permise l’incremento dei traffici marittimi. Salerno fu abbellita di edifici pubblici civili e religiosi. Oltre al Palatium sorse la cattedrale dedicata a S. Maria Dei Genitrix ed il monastero di San Benedetto da cui si diffuse una cultura che ebbe vasta risonanza in tutta la penisola. Da quei monaci ebbe impulso la nascita della Scuola medica salernitana. La parabola del Principato sembrava aver raggiunto il suo culmine, ma nel luglio del 787, moriva Romualdo, il primogenito, mentre il secondogenito Grimoaldo era ancora ostaggio di Carlo Magno, già dal 780, quando Arechi per fermare l’aggressione dei Franchi aveva dovuto giurare fedeltà al loro re Carlo. Arechi non riuscì a sopravvivere al figlio e nell’agosto dello stesso anno scese anche lui nella tomba. L’onere del governo cadde sulle spalle di Adelperga. Era prostrata dal dolore, ma con enorme sforzo riuscì a placare il cuore e a dare impulso alla volontà. Il suo carattere forte, la nobiltà della nascita e la fama della sua sapienza le permisero di reggere il Principato in un momento difficilissimo, stretto com’era tra le forze dei Bizantini dei i Franchi e del Papato. Lottò per più di un anno, infine ottenne da Carlo la restituzione di Grimoaldo. Si impose come grande sovrana agli occhi dei suoi sudditi, e a quelli del mondo intero. Tornato a Salerno nel maggio del 788, Grimoaldo dovette mantenere un difficile equilibrio tra l’ossequio a Carlo e la propria autonomia. Adelperga, si concentrò nel dare nuovo impulso allo studio affinché Salerno raggiungesse una posizione eminente nel campo della medicina. Arricchì la città di rari testi acquistati a Costantinopoli, il più importante mercato librario del tempo. Creò nei pressi del Palatium il convento femminile di San Giorgio con una ricca biblioteca e l’armarium pigmentorum. Con le monache avevano frequenti
contatti le mulieres salernitanae. Diede nuovo impulso all’Hortus magnum attraverso i monaci di San Benedetto. Nell’anno 806 morì anche il figlio Grimoaldo, cui Adelperga non sopravvisse a lungo. Il trono andò al tesoriere di Grimoaldo detto Storesayz.

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giovedì 15 settembre 2016

PREPARARE I FIGLI ALLA PROPRIA VOCAZIONE

Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l'amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d'attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?

(Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, pubblicato originariamente su "Nuovi Argomenti" nel 1960)


http://www.interruzioni.com/ginzburgscuola.htm


mercoledì 14 settembre 2016

INVITARE LA FORTUNA

Il metodo segreto per invitare la fortuna
La meravigliosa medicina per ogni malanno
Solo per oggi:

Non ti arrabbiare
Non ti preoccupare
Sii riconoscente
Lavora duro (per migliorare te stesso)
Sii gentile con gli altri


(Preghiera Reiki)

martedì 13 settembre 2016

C'ERA PERO' UNA COSA D'AMMIREVOLE NEL REGNO DEI LONGOBARDI...

C'era però una cosa d'ammirevole nel regno dei Longobardi, e cioè che non si avevano violenze, non si tendevano agguati, non v'era chi ingiustamente angariasse altrui o lo spogliasse, non v'erano furti o rapine, sicché ciascuno andava sicuro e libero ovunque voleva.

PAOLO DIACONO
(Historia Langobardorum, Libro III, 16. Regno di Autari, sotto ilquale fu pace e tranquillità)


 

lunedì 12 settembre 2016

IL GIORNALISTA, LO STORICO DELL'ATTIMO

Un giornalista è chi scrive la storia nello stesso momento in cui accade. Ed è il modo migliore di scrivere la storia, perché non so se è vero quello che mi raccontano a scuola su cose accadute due-trecento anni fa, ma so perfettamente quello che capita nel momento in cui ne scrivo e faccio una foto.


Oriana Fallaci
(Firenze, 29 giugno 1929 – Firenze, 15 settembre 2006) 

domenica 11 settembre 2016

MORTA L'INFERMIERA CHE BACIO' IL MARINAIO DOPO LA GUERRA

 

Fu la foto simbolo della liberazione. Quel bacio, catturato dal fotografo Alfred Eisenstaedt, a Times Square il 14 agosto 1945, divenne il simbolo della fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi la ragazza protagonista di quel bacio, Greta Zimmer Friedman, è morta a 92 anni. Lo ha annunciato il figlio Joshua alla Cbs. Greta era malata da tempo. Le sue spoglie saranno sepolte in Virginia. All'epoca la giovane, nata in Austria ed emigrata negli Stati Uniti con le due sorelle più giovani nel 1938, lavorava come assistente dentale. Il marinaio, George Mendonsa, ora ha 89, ed è un pescatore in pensione che vive nello stato del Rhode Island. 
Il bacio fu pubblicato sulla rivista Life e l'identità dei due rimase sconosciuta per anni, finché nel 1980 la rivista chiese aiuto per identificarli. La Friedman affermò che il bacio fu del tutto casuale e che loro due furono gli unici a baciarsi a Times Square.

15 ANNI DALL'11 SETTEMBRE

11 settembre, Clinton abbandona la cerimonia. “Dovuto al caldo, adesso sta meglio” 

(La Stampa) - Hillary Clinton ha accusato un malore durante la cerimonia per l’anniversario dell’11 settembre a Ground Zero. In alcune immagini diffuse da Fox News si vede la candidata democratica che si allontana dal luogo della cerimonia camminando lentamente e appoggiata a una persona. Non è chiaro se quest’ultima la stesse sorreggendo o meno. Il reporter della Fox presente a Ground Zero citando alcune fonti parla di “medical problems”.  

11 settembre 2001, 15 anni dopo chi ha capito la verità sugli attacchi?

(Il Fatto Quotidiano) - Dei 19 dirottatori dell’11 settembre nessuno era afgano o iracheno, ben 15 erano sauditi eppure gli Usa, legati economicamente all’Arabia Saudita, non fecero alcuna rimostranza verso questo regime a cui anche il nostro Paese vende armi; armi che di recente sono usate nel conflitto in Yemen che ha già ucciso 4000 persone.
Non è mia intenzione avanzare ipotesi su chi sia stato e perché fu effettuato l’attacco dell’11 settembre. Una mia convinzione è che nel mondo non si muove una foglia se non ne sono a conoscenza preventivamente i servizi segreti Usa. A maggior ragione credo che sia impossibile che non ci fosse consapevolezza che fosse in programma un attentato di tale portata sul suolo americano. Sta di fatto che dopo quel terribile attentato in cui morirono 2974 persone il governo di George Bush ebbe un pretesto perfetto per proseguire il piano fissato nel 1990 di destabilizzare e poi controllare le fonti energetiche del Medio Oriente. Dopo il nemico comunista ne serviva subito un altro per giustificare gli ingenti fondi all’ipertrofica macchina bellica. Bin Laden ritenuto responsabile degli attentati era lo stesso combattente che, insieme a tanti jihadisti, fu definito da Ronald Reagan “Combattente per la libertà” allorquando la guerra santa fu armata e finanziata dagli Usa per fermare l’avanzata sovietica in Afghanistan. Bin Laden fu, secondo la versione governativa, ucciso il 2 maggio del 2011 durante un intervento di forze speciali denominato Operation Neptune Spear. Osama Bin Laden si nascondeva in un compound di Abbottabad in Pakistan, nell’assalto fu ucciso lo sceicco saudita suo figlio e altri tre abitanti della casa. Il corpo di Bin Laden fu portato via e gettato nell’oceano. L’uccisione di Bin Laden può essere equiparata a un raid malavitoso, non di certo a un’operazione compiuta da un governo che si reputa il faro della democrazia mondiale. Bin Laden era disarmato e persino i nazisti dopo il secondo conflitto mondiale ebbero diritto a un processo.
Ma oggi a 15 anni di distanza da quel terribile giorno in quanti hanno capito la correlazione con la politica estera Usa? Quanti sono davvero a conoscenza delle atrocità commesse dalla macchina bellica statunitense? In quanti hanno davvero compreso che la democrazia Usa in realtà è un’oligarchia composta da grumi di potere che fissano una politica estera aggressiva che continua a mettere a repentaglio la sicurezza dei più per tutelare i propri interessi?

 

giovedì 1 settembre 2016

QUATTRO MODI PER ESSERE INSEGNANTI

È stata proprio questa la conclusione cui siamo giunti quella mattina io e il mio collega più anziano: l’unico modo per essere veramente un buon insegnante dovrebbe essere quello di tenere come prezioso il proprio essere, per potere essere preziosi per gli altri. La generosità verso noi stessi, la cura verso le nostre capacità, l’amore attraverso lo studio per il nostro sapere, non potrebbero mai lasciare spazio né al basso egoismo, tanto meno all’egolatria, men che meno all’onnipotenza dei salvatori. 

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domenica 28 agosto 2016

L'ARTE DI NON RISPONDERE ALLE PROVOCAZIONI

Vicino a Tokyo viveva un grande samurai, ormai anziano, che si dedicava a insegnare il buddismo zen ai giovani. Malgrado la sua età, correva la leggenda che fosse ancora capace di sconfiggere qualunque avversario.
Un pomeriggio, si presentò un guerriero, conosciuto per la sua totale mancanza di scrupoli. Era famoso perché usava la tecnica della provocazione: aspettava che l’avversario facesse la prima mossa e, dotato com’era di una eccezionale intelligenza che gli permetteva di prevedere gli errori che avrebbe commesso l’avversario, contrattaccava con velocità fulminante.
Il giovane e impaziente guerriero non aveva mai perduto uno scontro.
Conoscendo la reputazione del samurai, egli era lì per sconfiggerlo e accrescere in questo modo la propria fama.
Tutti gli allievi si dichiararono contrari all’idea, ma il vecchio accettò la sfida. Si recarono tutti nella piazza della città e il giovane cominciò a insultare il vecchio maestro.
Lanciò alcuni sassi nella sua direzione, gli sputò in faccia, gli urlò tutti gli insulti che conosceva, offendendo addirittura i suoi antenati.
Per ore fece di tutto per provocarlo, ma il vecchio si mantenne impassibile.
Sul finire del pomeriggio, quando ormai si sentiva esausto e umiliato, l’impetuoso guerriero si ritirò. Delusi dal fatto che il maestro avesse accettato tanti insulti e tante provocazioni, gli allievi gli domandarono: “Come avete potuto sopportare tante indegnità? Perché non avete usato la vostra spada, pur sapendo che avreste potuto perdere la lotta, invece di mostrarvi codardo di fronte a tutti noi?”.
“Se qualcuno vi si avvicina con un dono e voi non lo accettate, a chi appartiene il dono?”, domandò il samurai.

“A chi ha tentato di regalarlo”, rispose uno dei discepoli.

“Lo stesso vale per l’invidia, la rabbia e gli insulti”, disse il maestro: “Quando non sono accettati, continuano ad appartenere a chi li portava con sé”.

(Paulo Coelho)

sabato 20 agosto 2016

TORINO E' UN INCANTO

“Dimenticate Roma e Milano: Torino è un incanto”. Parola degli irlandesi


La prima capitale d’Italia piace all’Independent per stile e sapori. Bocciati i trasporti


Foto tratta dall’articolo sul sito Independent.ie
    
    Fonte: La Stampa
03/07/2016
TORINO
«Dimenticate Roma e Milano. Ecco una gustosa (e meno affollata) pausa italiana: Torino». A consigliare ai suoi lettori un fine settimana sabaudo è l’Irish Independent, il più venduto quotidiano irlandese.  
Torino viene definita dalla giornalista Isabel Conway «un incanto. La prima capitale d’Italia è meno soffocante di Milano, meno affollata di Roma, e più saporita di entrambe». Nell’articolo racconta il suo fine settimana in città, elencando locali e altri consigli pratici.  
A stupirla è in particolare «The apericena», che ha definito «un istituzione di Torino». Racconta la storia della Sindone, «nascosta all’interno di un cofanetto nel magnifico Duomo di Torino. Una copia dettagliata può essere esaminata nella cappella adiacente al Museo della Sindone, in via San Domenico, però».  
Per il capitolo «Guilty Pleasure», i piaceri proibiti, la giornalista ha deciso di fotografare i l mitico Bicerin affianco ad una copia de La Stampa, sul tavolino di un bar del centro. Ma non è mancata la nota negativa: un «glitch», un problema tecnico, nei trasporti. «Il tempo e lo spazio sembrano nozioni relative in Italia - si legge -. Un funzionario dell’aeroporto ci ha guidato ad un treno inesistente, i nostri biglietti erano non trasferibili e abbiamo finito per sborsare di nuovo per salire su uno degli intermittenti autobus per la città del sabato». 

giovedì 11 agosto 2016

CONTRO GLI ESTREMISMI DELLA MODERAZIONE

(FRANCO ARMINIO) - Siamo assediati dai moderati, dagli ipocriti, dagli animali a sangue freddo, coccodrilli mummificati che all’improvviso si sciolgono e spalancano le loro fauci. Siamo in un mondo di fango. Vogliono distruggere la bellezza e chi la ama, hanno ridotto il mondo a un porcile di inganni, ma non sono contenti, vogliono che tu sia come loro. Gli estremisti della moderazione dominano la scena. Se dici una verità, una sola, ecco che diventi estremista parolaio. Il mondo non era mai stato tanto miserabile, perché non era mai stato tanto impregnato di questa ipocrisia, di questa melma di parole senza pensiero, di cuori senza sangue, di anime senza inferno e senza paradiso. Un limbo limaccioso di dementi e presuntuosi, ecco il panorama che ci offrono quelli che stanno sulla scena. Gente che non merita tanti riguardi ma una feroce contestazione. Peccato che adesso la contestazione non sia più di moda. Adesso è chic essere intelligenti e distaccati, col disincanto di chi ha sempre qualcosa di meglio da fare che non posare l’occhio sulla melma che ci circonda. Il bersaglio della mia lotta è l’estremismo moderato che imperversa un po’ ovunque. Non è tempo di fare i sofisticati ed è inutile fingersi impegnati a capire chissà cosa. Il mondo è soffocato dagli invasati del denaro e del quieto vivere. Gente che ama le cresime e le bomboniere, gente che vuole semplicemente consumare il mondo e non sa amare il mistero e la bellezza, ma solo i suoi simulacri. Bisognerebbe aprire un conflitto, bisognerebbe che questa accolita di moderati venga smascherata nella sua vera natura di gente che vuole solo mangiare, organismi ciechi che non sanno niente del vivere e del morire. Siamo di fronte a una vera mutazione genetica dell’umano. Siamo circondati da signori dall’eloquio fluente e intimamente inconsistente. Possono fare teatro, politica, possono essere semplici pensionati o sindaci o ministri, il tratto che li accomuna è il compromesso, è la svendita di ogni principio in base all’unico principio che vale: mangiare, divorare il mondo e le sue merci. Di fronte a questa planetaria fornicazione dei mediocri, di fronte a questa capillare distribuzione della viltà e dell’ipocrisia, non c’è da esitare e bisogna combattere, bisogna spendersi, giocarsi la partita. Non c’è bisogno di essere più precisi. Chi vuole può intendere. Penso agli operai, a quelli che danno cento per prendere dieci. Penso a quei giovani che sono costretti ad affidare l’esile canna della loro vita al vento di padroni ingordi e senza scrupoli. Qui dove io vivo la partita non può che essere giocata anche contro noi stessi, contro quella parte di noi che tende a uniformarsi, a lasciar correre i forsennati dell’imbroglio. Non vi illudete di essere da un’altra parte. I miserabili rendono misera anche la nostra vita. Non possiamo pensare di coltivare un mondicello che sia solo nostro, tutto è mischiato pur essendo tutto implacabilmente separato. Se abbiamo capito qualcosa del mondo in cui ci tocca vivere, allora dobbiamo raccontarle le nostre visioni, dobbiamo farle sentire, senza stancarci, senza farci affliggere più di tanto dagli eroi dei luoghi comuni e della conservazione. Ci sono anime disposte ad accendersi, ci sono cuori che possono riavviarsi. A volte basta poco, basta far capire che questo mondo è impossibile e che bisogna attimo per attimo costruirne un altro. Sentire che lo stiamo già facendo, che forse, senza che se ne accorgono, i nostri nemici già stanno perdendo.

MARTHA NUSSBAUM, LETTERATURA E ARTI PER LA CULTURA D'IMPRESA

I più importanti formatori aziendali hanno capito da tempo che una buona capacità di immaginazione è un pilastro di cultura imprenditoriale veramente prospera. L'innnivazione richiede intelligenze flessibili, aperte e creative; la letteratura e le arti stimolano queste competenze e quando esse mancano la cultura di mercato si indebolisce in fretta. Sempre più spesso, i laureati in materie umanistiche sono preferiti a studenti che hanno avuto un'istruzione più rigidamente tecnica, proprio perché si ritiene che i primi abbiano una mentalità più elastica e creativa per riuscire ad avere successo nell'ambiente dinamico degli affari. Per cui, anche se il nostro unico obiettivo fosse la pura crescita economica aziendale, dovremmo difendere l'istruzione progressista basata sulle materie umanistiche surrealisti, mentre oggi, le materie letterarie e artistiche sono sotto attacco nelle scuole di tutto il mondo.

Non per profitto, Edizioni Il Mulino, pag. 126

venerdì 5 agosto 2016

L'AMARA SCUOLA DI RENZI

L’amara scuola di Renzi scatena l’ira dei prof. E gli agenti si tolgono i caschi

DI GIORGIO SIGONA

Secolo d'Italia 

 
L’amara scuola di Renzi è la peggiore delle riforme e ha creato il caos. Arriva la protesta di piazza. Migliaia di insegnanti di scuola primaria e di scuola media vogliono capire perché, pur avendo un punteggio alto, sono stati spediti a centinaia di chilometri da casa. Mentre colleghi con meno punteggio si ritroveranno in sedi più vantaggiose. Quest’anno, ha spiegato a più riprese il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, si sta svolgendo una mobilità straordinaria che sta coinvolgendo – l’ultimo atto dei trasferimenti sarà il 13 agosto, con gli spostamenti dei prof del superiore – 200mila insegnanti, il doppio degli anni precedenti.

Scuola, a Napoli gli agenti di polizia si sono tolti il casco

Momenti di tensione tra manifestanti e Polizia davanti alla Prefettura di Napoli. Il “contatto” con le forze dell’ordine c’è stato con i docenti che sono scesi in piazza. Secondo quanto denunciato dai manifestanti della scuola, ci sarebbero stati spintoni nei confronti di chi ha cercato di superare la barriera delle forze dell’ordine a protezione del Palazzo della Prefettura. Sul posto è arrivata un’ambulanza per soccorrere un’insegnante colpita da un malore. La tensione si è sciolta – riferiscono i manifestanti – quando gli agenti si sono tolti il casco ed è scattato l’applauso dei presenti.
Protesta anche davanti all’Ufficio scolastico regionale, in via San Lorenzo a Palermo, di circa 250 lavoratori Co.co.co in servizio da vent’anni presso le segreterie della scuola statale, con funzione di assistente amministrativo, coinvolti contrariamente alle attese nei processi di mobilità territoriale. Dal Miur i sindacati avevano avuto di recente rassicurazioni che la “mobilità” per questa tipologia di lavoratori non sarebbe scattata proprio non si tratta di dipendenti ma di collaboratori precari. Invece dal Provveditorato anche quest’anno sono sono arrivati per i Co.co.co. palermitani almeno 60 lettere di trasferimento.

 Wallstreetitalia

“Tra le situazioni più eclatanti – ha spiegato l’assessore all’Istruzione del Comune di Napoli, Annamaria Palmieri – ci sono docenti con punteggi altissimi assegnati ad ambiti territoriali del Nord, mentre restano vacanti o sono assegnate a docenti con punteggi minori sedi più vicine; docenti che hanno maturato esperienze e competenze in alcune classi di concorso assegnati al Centro-Nord su cattedre del tutto diverse, prevalentemente su posti di sostegno; docenti che hanno lavorato su posti vacanti in Campania da anni, illogicamente trasferiti in altra classe di concorso pur avendo richiesto continuità nel proprio ambito e nel territorio. Mentre, molti dirigenti scolastici campani – ha aggiunto – segnalano di avere posti vacanti, che potrebbero essere coperti da questi docenti”. 

giovedì 4 agosto 2016

DAVANTI AL PROVVEDITORATO DI NAPOLI, LA PROTESTA DEI PROF CONTRO LA BUONA SCUOLA

 

Dal sito Orizzontescuola. La protesta dei docenti a Napoli contro la mobilità ''ammazzafamiglie''. Le immagini che sulla Tv pubblica non vedrete mai. 


domenica 31 luglio 2016

CONTRO LA JIHAD SERVE LA CULTURA

La lezione di Elie Wiesel e l’antidoto al jihadismo


31/07/2016
La Stampa
Caro Direttore, i tristi eventi che oramai ci accompagnano quasi quotidianamente mi hanno fatto andare a rileggere un articolo apparso nel 2007 su Physics Today dal titolo «Science and the Islamic world - The quest for reapprochment» (Scienza e mondo islamico - la ricerca per la riconciliazione). L’autore, Pervez Hoodbhoy, professore del dipartimento di Fisica dell’Università di Islamabad, presenta una disamina onesta delle ragioni del declino e dell’enorme ritardo accumulato nel mondo islamico in campo scientifico, riconoscendo che le radici precedono di secoli la dominazione attuale dell’«imperialismo mercantile».  

A un certo punto Hoodbhoy presenta un dato cruciale che mi sembra sia stato ingiustamente trascurato. Citando uno studio del 2002 commissionato dalle Nazioni Unite a un gruppo di intellettuali arabi e pubblicato al Cairo, l’articolo riporta: «Con l’eccezione dell’Iran e della Turchia (Paesi non di lingua araba), il tasso annuale di traduzione da lingue straniere è basso. L’intero mondo arabo traduce circa 330 libri all’anno, un quinto del numero dei libri tradotti in Greco moderno. Nei 1000 anni trascorsi dal regno del califfo Maa’moun, gli arabi hanno tradotto tanti libri quanti se ne traducono in spagnolo in un anno».  
Sta di fatto che con ogni probabilità il mondo arabo, tranne rarissime eccezioni, non ha la possibilità di confrontarsi con il nostro Abc. Quanti hanno mai letto una pagina di Cervantes, di Victor Hugo, di Dostoevskij, di Manzoni, insomma del corpus di letteratura che piaccia o meno «spiega» la nostra civiltà?

Massimo Robberto

*** 

Caro Robberto, quanto lei scrive ricorda la tesi espressa da Bernard Lewis nel suo «What Went Wrong» (Cosa è andato storto) che uscì in America poco dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Lewis spiegava che alla radice del jihadismo c’è un rifiuto della modernità che si alimenta dalla carenza di conoscenza, nel mondo arabo, sulle rivoluzioni francese ed americana.  
Nelle università arabe di studia l’Occidente assai meno di quanto in quelle occidentali si studi l’Islam. Quando si chiedeva a Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace sopravvissuto alla Shoah, quale era il miglior antidoto all’odio la sua risposta era, puntualmente, «lo studio». Ecco perché una delle risposte migliori che il mondo arabo può dare al jihadismo è lo studio delle battaglie per i diritti dell’uomo che, dalla Bastiglia in poi, sono avvenute nei Paesi dell’Emisfero Settentrionale. 

venerdì 29 luglio 2016

FUSARO: LA RIFORMA COSTITUZIONALE E' VOLUTA DALL'UE E DALLE BANCHE

(Il Fatto Quotidiano) - Esprimiamo subito, senza giri di parole, il nostro punto di vista. Proprio perché a chiederci di votare sì al referendum costituzionale sono sire Renzi, il sistema bancario e quell’Unione Europea che di democratico non ha ormai nemmeno più l’apparenza, occorre votare NO, senza dubbi, esitazioni e ripensamenti.
Questa riforma costituzionale “ce la chiede l’Europa”, ossia la stessa entità antidemocratica che ci chiede austerità e spending review, tagli alla spesa pubblica e ai diritti: il sistema neoliberista vincente aspira a destrutturare le costituzioni degli Stati sovrani, per imporre senza limitazioni il proprio regime di mercato assoluto.
L’Unione Europea come trionfo dei capitali e della finanza necessita di istituzioni statali che eseguano cadavericamente e senza possibili obiezioni i diktat voluti dall’alto: l’Unione Europea vuole “riforme” limitative degli spazi di partecipazione democratica; vuole esecutivi forti e parlamenti deboli. Questa riforma costituzionale la vuole, poi, il sistema bancario internazionale, che nella Carta costituzionale italiana vede un fastidioso ostacolo all’instaurazione del proprio dominio assoluto.
Da molti anni, lo sappiamo, le grandi banche internazionali, ma poi anche tutte le autorità non democratiche e connesse agli interessi finanziari (Bruxelles, G7, Fondo monetario internazionale) ci ripetono senza sosta che dobbiamo fare “riforme” volte a migliorare e a rendere maggiormente efficiente la nostra “governance” politica.
La lettera che la Bce mandò all’Italia nel 2011 era solo un “antipasto”: il peggio doveva ancora arrivare, ed è la riforma della costituzione. Una riforma, sia detto per incidens, che il popolo non vuole e che, come ricordato da Zagrebelsky, nasce da un “Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale”.
Ovviamente il blocco egemonico mobiliterà l’intero quadro intellettuale, accademico e giornalistico: il caso di Benigni è il primo e non sarà certo l’ultimo. Il grande difensore della “costituzione più bella del mondo” (cit.) che si fa sostenitore della sua riforma, rinnegando in blocco anni di militanza pro-Costituzione: uno spettacolo tragicomico.
È, certo, il caso più interessante, per ora, giacché rivela apertamente la pervasività del sistema e, insieme, la corruzione del clero intellettuale, che si riconferma – come disse Costanzo Preve – un banco di pesci pronto a seguire sempre compattamente le correnti del politicamente corretto e del potere. Preparatevi. Vedremo intellettuali, giornalisti e accademici che peroreranno la causa della riforma costituzionale, delegittimando, silenziando e ingiuriando chiunque ancora resista e non tradisca la repubblica e la storia del nostro Paese.
L’aveva detto Bourdieu: gli intellettuali sono la parte dominata della classe dominante; appartengono a quest’ultima, giacché hanno anch’essi un capitale, di tipo culturale. Ma sono dominati nella classe dominante, perché devono vendere quel capitale culturale: che dunque non può non coincidere con gli interessi di chi lo “compra”, cioè i dominanti.
Mi ha colpito qualche settimana fa, sul “Corriere della sera”, una vignetta: era raffigurato Zagrebelsky, fermo sostenitore del “no” alla riforma, in veste di fascista, inseguito dalle brigate partigiane piddine a favore del “sì”. L’accusa di fascismo cade ora su chi difende la Carta costituzionale che nacque dalla fine del fascismo e dall’incontro tra la visione comunista del lavoro e quella cattolica della dignità della persona.
La signora Boschi ha dato il via a questa pratica oscena, dicendo che chi vota per il “no” è “come Casa Pound”. La storia non è nuova, in fondo: in nome dell’antifascismo, si può agire con i metodi squadristi che furono propri del fascismo. La profezia di Orwell si è realizzata: “la storia era un palinsesto che poteva essere riscritto tutte le volte che si voleva”. È quello che sta accadendo.
Da quando nacque la nostra Costituzione, nacquero anche – lo sappiamo – i tentativi di distruggerla o, come usa dire ora con la neolingua orwelliana, di “riformarla”. Ciò che non riuscì a Junio Valerio Borghese e a Licio Gelli, potrebbe riuscire ora all’Unione Europea, al sistema bancario internazionale e ai loro agenti senza qualità.

martedì 26 luglio 2016

ALIANO, IL PIU' BEL FESTIVAL CHE CI SIA



(wikipedia) - Aliano è un comune italiano di 1.009 abitanti della provincia di Matera in Basilicata. È noto per essere stato il luogo in cui trascorse parte del suo periodo di confino lo scrittore Carlo Levi. Aliano è inoltre affiliato all'Associazione Nazionale Città dell'Olio ed il suo territorio circostante è caratterizzato dal tipico paesaggio dei calanchi. Arrampicato su un colle argilloso a 555 m s.l.m., domina la Val d'Agri e il torrente Sauro nella parte centro-occidentale della provincia al confine con la parte centro-orientale della provincia di Potenza. Nel suo territorio sono presenti numerosi calanchi. I film girati nel territorio di Aliano, sono: Cristo si è fermato a Eboli, diretto da Francesco Rosi e con Gian Maria Volonté (1979). Basilicata coast to coast, diretto da Rocco Papaleo (2010). 

(Franco Arminio) - Aliano in questi giorni si è candidata come capitale italiana della cultura per il 2018. Questo è un pezzo del dossier che è stato spedito al ministero dei beni culturali.
In tutto il mondo i politici credono molto alle metropoli, vivono nelle metropoli. In tutto il mondo si fanno aeroporti, metropolitane, grandi parcheggi, insomma si pensa ai luoghi dove vivono tante persone tutte assieme. Noi vorremmo che l'Italia diventasse una nazione che dà molto attenzione ai paesi. E questa attenzione dovrebbe cominciare dai paesi del Sud. Meglio ancora, dai paesi del Sud più lontani dai grandi centri. Ecco, un paese ideale su cui l'Italia dovrebbe investire è Aliano. Un luogo che tenta di diventare luogo di accoglienza dopo un passato da luogo di esilio. Di un paese così non hanno bisogno solo i suoi abitanti, ma gli italiani delle città e di altri paesi. Aliano come capitale del margine. L'Italia come nazione in cui il margine riceve grandi attenzioni. Una nazione in cui ogni albero, ogni strada di campagna, ogni piccola masseria, ogni azienda agricola sono considerati come il centro di tutto e di tutti. Il centro per salvarsi deve smettere di rubare linfa ai margini. In questo modo il margine muore e il centro vive male.
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Un piccolo paese viene raccontato dai suoi abitanti partendo sempre da quello che manca. Quando il visitatore chiede: cosa c'è in questo paese? La risposta è molto facile: niente. Aliano è uno dei tanti paesi che a passarci dentro distrattamente puoi pensare che non c'è niente. E invece è un paese pieno di luoghi culturali. E molti di questi luoghi sono legati a Carlo Levi, alla sua scrittura e alla sua pittura. Aliano è un paese fragile dal punto di vista geologico e dal punto di vista demografico. Un paese che cade, un paese da cui si emigra. Sarebbe bellissimo se l'Italia nominasse Aliano come capitale della cultura per il 2018. Un gesto rivoluzionario. Un gesto che sarebbe l'inizio di un nuovo Rinascimento per luoghi dove il Rinascimento non c'è mai stato.
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Ad Aliano è nato il Festival della Paesologia. Non poteva nascere altrove. La paesologia è uno sguardo umorale sui luoghi meno noti. Uno sguardo che intreccia il dentro e il fuori. Nel 2018 sarebbe bellissimo trasformare il festival in un'azione poetica che dura un anno intero. Ogni persona che arriva, ogni dialogo, ogni solitudine, tutto è dentro questo festival che abolisce lo spettacolo, la divisione tra artisti e spettatori. Un anno intero in cui un paese viene attraversato dalle migliori esperienze umane. Aliano accoglie, si lascia attraversare, offre il paesaggio inoperoso dei calanchi, offre le sue debolezze, e tutto questo diventa una sorta di Expo della vita ordinaria, un luogo in cui la poesia e l'impegno civile si intrecciano. Aliano diventa laboratorio dell'Italia interna. Si filano i pensieri, se ne fanno vestiti per il buon umore e per una buona storia. L'Italia non può uscire dal capitalismo, ma può uscire dall'ossessione del Centro. Aliano si dà il coraggio di fare una festa che dura un anno intero, l'Italia dell'arte e l'Italia rurale s'incontrano in una sagra che non esiste: la sagra del futuro.
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I paesi non moriranno. I paesi saranno le capitali del mondo. Aliano può essere un esperimento. La società dell'autismo corale può essere curata solo in luoghi in cui c'è tanto spazio e poche persone. Ci vuole uno spazio che è tutto dentro la modernità, ma che è poco urbanizzato. Uno spazio in cui salutare è un gesto coltissimo, è grande cultura passare il tempo, avvertire quello che accade nei volti, sentire la pioggia, sentire gli animali, sentire i morti. Un paese capitale della vita scampata al genocidio degli affari, alla smania del tempo pieno, al delirio di sfruttare ogni occasione. Aliano non ha avuto fretta, non ha mai fretta. La sua grazia è nel pane, nell'olio. Un paese è bello quando non somiglia a nessun altro, quando ha un'aria solamente sua, un'aria inattuale, un'aria che sembra ignorare quale secolo è in corso. L'Italia deve rialzarsi partendo dai luoghi che ha trascurato. Non bisogna pensare a una cultura che produce economia, ma una cultura che produce emozione, silenzio, dolcezza, lontananza.

(Dalla pagina facebook di Franco Arminio
nel programma sterminato della festa della paesologia
ci sarà posto anche per i monologhi di attori falliti e per le letture di poeti che non riescono a pubblicare neanche a pagamento
scrivete a livarmonio@gmail.com


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