Si può certo dire quel che si vuole di Giovanni Gentile,
criticarlo a fondo sia politicamente sia filosoficamente: mostrare i
suoi errori nelle scelte politiche, evidenziare i suoi limiti nella pur
grande e originale “riforma” che egli tentò della dialettica di Hegel.
Come tutti i grandi pensatori, anche Gentile, pensando in grande,
commise anche grandi errori. Gentile resta un grande, nonostante la sua
adesione al fascismo.
Resta, poi, il fatto che, oltre a essere, con Gramsci,
il più grande pensatore italiano del Novecento, Gentile ci ha lasciato
un dono meraviglioso, per il quale dovremmo essergli eternamente grati:
il Liceo classico. Come spesso accade, ci si accorge
dell’importanza di una realtà a cui siamo abituati solo allorché essa
comincia a venire meno, come accade quando manca l’aria: così è per il
Liceo classico, la migliore scuola del mondo, concepita dal Gentile
ministro dell’Istruzione, fautore della migliore
riforma della scuola di cui il nostro Paese abbia ad oggi beneficiato;
riforma, certo, discutibile finché si vuole, se si considera che già
Gramsci, non senza buone ragioni, la accusava di classismo. Riforma
discutibile finché si vuole, sì, ma pur sempre la migliore di cui questo
Paese abbia beneficiato.
Resta, d’altro canto, il fatto che il Liceo classico ha reso
possibile la superiorità culturale di intere generazioni di liceali
italiani rispetto ai loro coetanei di tutto il mondo (provate ad andare
in Germania o in Francia per
accorgervene). Con l’insegnamento del latino e del greco, ma poi anche
con il nobile progetto di formare uomini in senso pieno, unendo tra loro
la paideia greca, la raison illuministica e la Bildung romantica, il liceo classico ideato da Gentile resta un unicum nel panorama mondiale e oggi, possiamo dirlo, una vera e propria forma di resistenza al generalizzato “cretinismo economico”
(Gramsci) che la cosiddetta mondializzazione sta esportando in ogni
angolo del pianeta: cretinismo in forza del quale sempre meno si pensa e
sempre più si calcola, in un desolante paesaggio in cui il greco e il
latino, la filosofia e l’arte sono liquidati come “inutili” (sic!) dalla
stolida ragione calcolatoria che pretende di essere la sola sorgente di
senso. Noto, per inciso, che in Spagna hanno già, nei licei, sostituito la filosofia con la finanza!
Il grande dono che Giovanni Gentile ci ha lasciato è ciò che oggi gli “specialisti senza intelligenza” (Weber)
dei nuovi governi di centro-destra e di centro-sinistra stanno
distruggendo: il latino e il greco, la storia dell’arte e della
letteratura saranno presto sostituiti dall’inglese e dalla finanza, dal
management e dall’impresa. La barbarie è alle porte e si presenta, con tono rassicurante, come “Buona Scuola“, proprio come i bombardamenti si chiamano “missioni di pace” e i colpi di stato finanziari si chiamano “governi tecnici”. Orwell
era un dilettante: la realtà ha superato la fantasia, facendo apparire
normale e plausibile l’inimmaginabile. La barbarie oggi imperante impone
di valutare tutto sulla base del solo criterio dell’utilità, alla cui
luce la filosofia e l’arte, la teologia e la storia risultano,
evidentemente, indegne di essere coltivate e studiate. La stupidità non
ha limiti.
Stiamo, in effetti, assistendo alla distruzione pianificata del liceo
e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi
di destra e di sinistra che, smantellando le acquisizioni della riforma
della scuola di Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del
progresso, della modernizzazione e del superamento delle antiquate forme
borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa
(debiti e crediti, presidi managers, informatica e inglese in luogo del
latino e del greco, e mille altre amenità coerenti con la
ristrutturazione capitalistica della scuola). La situazione è, davvero,
tragica ma non seria.
Anche un bambino si può accorgere di come i continui tagli dei
finanziamenti destinati alla cultura (o, in forma complementare, il
foraggiamento a flusso continuo delle eterogenee forme dell’ “idiotismo
specialistico”) rispondono essi stessi a un programma politico
opportunamente mascherato dietro le leggi anonime dell’economia.
Il silenziamento di ogni prospettiva critica viene oggi ottenuto non
più tramite il ricorso alla violenza nelle sue forme dirette e plateali,
dal rogo di Bruno e di Vanini alle torture dei non ortodossi di ogni
tempo, bensì tramite la rimozione delle risorse necessarie per
sopravvivere: vale a dire secondo un modo che – cifra della violenza
come categoria economica immanente del capitalismo – rende in larga
parte invisibile tanto l’azione dei carnefici quanto la sofferenza delle
vittime. Il potere nichilistico della finanza e del capitale
deve tagliare ogni testa pensante, sostituendola con il cretinismo
economico delle teste calcolanti: la distruzione del liceo classico è
una tappa fondamentale di questo criminale processo oggi in corso.
Il capitale non vuole vedere tese pensanti, esseri umani dotati di
identità culturale e di spessore critico, consapevoli delle loro radici e
della falsità del tempo presente: vuole vedere ovunque il medesimo,
cioè atomi di consumo senza identità e senza cultura, in grado di
parlare unicamente l’inglese dei mercati e della finanza.
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