mercoledì 23 novembre 2011

LA NUTELLA COSTRETTA A CAMBIARE ETICHETTA

(Targatocn) - Nutella Ferrero cambierà le etichette sui barattoli entro fine anno 2011 aggiungendo tutti i dati nutrizionali sia per 100 grammi che per porzione.

La decisione arriva dopo la sentenza dell’Alta Corte Regionale di Francoforte in Germania. Secondo il Tribunale tedesco l’etichetta della crema di cioccolata alla nocciola non è chiara, contiene più vitamine e meno grassi e zucchero di quanto non abbia in realtà traendo in inganno il consumatore.

Sotto accusa i valori delle quantità di grassi e carboidrati calcolati su una dose di 15 grammi, mentre i valori sulle vitamine e i sali minerali sono calcolati su una dose da 100 grammi.

Perciò, in Germania, la Ferrero dovrà cambiare le etichette di tutti i barattoli se no rischia una multa di 250mila euro per ogni etichetta non cambiata. La società albese annuncia ricorrerà in appello alla Corte Federale.

Nel frattempo, la stessa ha deciso di aggiungere tutti i dati nutrizionali “perché – dicono dalla Direzione comunicazione e Pubbliche relazioni Ferrero Spa - “la soddisfazione del consumatore ha massima priorità e i valori della Società sono improntati a responsabilità e chiarezza”.

Gisella Divino

domenica 20 novembre 2011

BENEVENTO, LA CURIA LO SFRATTA E IL CHIOSTRO CHIUDE

di Giancristiano Desiderio

(Sanniopress) – Il Chiostro di Luigi Romano chiude dopo trent’anni di attività. Trent’anni di onorata carriera tipografica dal piombo al computer. Luigi Romano ha lavorato nell’antica tipografia De Martini, ha collaborato con Gennaro Ricolo, ha pubblicato delle buone cose di Michele Ruggiano su Leopardi, di Corrado Ramaglia su Napoli ai tempi di Carlo di Borbone, di Antonio Gisondi sulle Terre dei Gambacorta, di Antonio Bianco sul brigante Secola, mentre un libro-inchiesta sul “Regno del Molise” è diventato in poco tempo un piccolo ma significativo caso editoriale. Ora, però, le pubblicazioni del Chiostro di viale dei Rettori si interrompono. Fine. Perché? Voi non ci crederete, ma è così: la curia arcivescovile di Benevento, guidata da monsignor Andrea Mugione, lo ha sfrattato. Così, a neanche un mese dalla chiusura della libreria Fiorentino, ecco che Benevento perde un altro presidio di libri, lettura e stampa.

Conosco Luigi Romano da molto tempo e ne apprezzo la squisita cortesia e la passione che mette nel suo lavoro di “buon artigiano”. Artigiano, certo. Perché anche se le “arti tipografiche” si sono di molto sviluppate, fino al punto da rendere superflua la classica figura del tipografo, l’inventore delle edizioni Il Chiostro ha sempre conservato con gelosia “il mestiere”, quasi per una sorta di piacere nel vivere tra carte e stampe, fogli e copertine e frontespizi, colori e caratteri. Fare l’editore a Benevento è cosa più unica che rara, si rasenta la follia ma Luigi Romano non si è mai dato arie da editore e ci ha sempre tenuto ad essere un “buon tipografo”. Infatti, è stato sempre in grado di stampare tutto: dal biglietto da visita al catalogo d’arte, dal giornalino scolastico alla tesi di laurea, dal libretto di aforismi a tiratura numerata al libro di storia locale. Nel laboratorio di viale dei Rettori, che negli anni Luigi Romano ha curato sempre a sue spese, ho incontrato giornalisti, artisti, appassionati di storia patria e tipografi mancati, quale in fin dei conti sono io stesso. Proprio dal “signor Luigi” ho conosciuto il fotografo Guido Giannini che oltre a lavorare per giornali come L’Unità, il Manifesto e la Repubblica, mosse i primi passi grazie a un “mostro sacro” come Mario Pannunzio: “La mia prima foto fu pubblicata su Documento Sud – mi ha detto l’ultima volta che ci siamo visti proprio al Chiostro per la pubblicazione del suo libro “Fotoreporter per vocazione” -. Poi passai a una Rolleiflex 2.8, con quella scattai le foto che piacquero a Mario Pannunzio che le pubblicò sul Mondo”.

Chissà se alla curia prima di decidere di mettere Luigi Romano sul viale dei Rettori con tutte le macchine e le librerie del suo laboratorio si sono informati sul suo lavoro. Chissà se monsignor Mugione conosce tutta questa storia: mi auguro di no. Con la chiusura de Il Chiostro non sarà più al suo posto di lavoro la gentile Carolina. Forse, cercherà di ereditare il laboratorio di Luigi Romano, proverà a mettersi in proprio ma senz’altro non sarà più la segretaria-operaia del Chiostro. Una stagione si è conclusa anche per lei che quando iniziò a lavorare alle macchine tipografiche era una ragazzina e ora è mamma. Dispiace che in questa storia sia proprio la curia arcivescovile a fare la parte cattiva: credo che con un po’ di accortezza e disponibilità si sarebbe potuto trovare un accordo e non costringere uno dei più esperti laboratori tipografici ed editoriali beneventani a chiudere bottega dopo decenni di lavoro e migliaia di fogli a stampa.

domenica 13 novembre 2011

LA PARABOLA DEI TALENTI

Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30.


Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.
Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

BUONANOTTE

Berlusconi contestato prima delle dimissioni

Oggi è il giorno che chiude un ventennio, uno dei tanti della nostra storia. E il pensiero va al momento in cui tutto cominciò. Era il 26 gennaio 1994, un mercoledì. Quando, alle cinque e mezzo del pomeriggio, il Tg4 di Emilio Fede trasmise in anteprima la videocassetta della Discesa In Campo. La mossa geniale fu di presentarsi alla Nazione non come un candidato agli esordi, ma come un presidente già in carica. La libreria finta, i fogli bianchi fra le mani (in realtà leggeva da un rullo), il collant sopra la cinepresa per scaldare l’immagine, la scrivania con gli argenti lucidati e le foto dei familiari girate a favore di telecamera, nemmeno un centimetro lasciato al caso o al buongusto.
E poi il discorso, limato fino alla nausea per ottenere un senso rassicurante di vuoto:
«Crediamo in un’Italia più prospera e serena, più moderna ed efficiente... Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano». Era la televendita di un sogno a cui molti italiani hanno creduto in buona fede per mancanza di filtri critici o semplicemente di alternative. Allora nessuno poteva sapere che il set era stato allestito in un angolo del parco di Macherio, durante i lavori di ristrutturazione della villa. C’erano ruspe, sacchi di cemento e tanta polvere, intorno a quel sipario di cartone. Se la telecamera avesse allargato il campo, avrebbe inquadrato delle macerie.
Oggi è il giorno in cui il set viene smontato. Restano le macerie. La pausa pubblicitaria è finita. È tempo di costruire davvero.
MASSIMO GRAMELLINI


Finisce così, con l’uomo che tanto ama i bagni di folla costretto a scappare da un’uscita secondaria del Quirinale. Con l’uomo della visibilità e dell’apparire costretto a star nascosto da mattina a sera, sempre chiuso dentro: in auto con la scorta, a Palazzo Chigi, alla Camera, a Palazzo Grazioli, al Quirinale
Così è stato l’ultimo giorno di Berlusconi. Sono le 21,43 quando viene battuto il flash «Berlusconi si è dimesso »: chissà se questi numeri resteranno nei libri di storia. Piazza del Quirinale è una bolgia. La gente che aveva insultato il premier all’arrivo, ora festeggia.

Forse nulla poteva far più male a Berlusconi di quest’epilogo inglorioso, fra gli sputi e le monetine, fra i «buffone» e gli «arrestatelo».
Per ora c’è un uomo sconfitto, che lascia un Paese rissoso e sull’orlo del fallimento. Che ne sarà di lui, da qui a qualche mese, non è dato immaginare. Da un punto di vista politico, economico, giudiziario e forse anche fisico, perché la botta è tremenda.
MICHELE BRAMBILLA

Finalmente! Il cavalier Pompetta era entrato in politica per salvare le sue aziende se ne va per lo stesso motivo. Speriamo che non torni mai più. Per togliere le macerie che ci ha lasciato ci vorranno molti anni. AGA2044

“Oggi è il giorno della liberazione nazionale da parte dei cittadini nei confronti di un governo piduista che ha umiliato le istituzioni e indebolito la democrazia” ANTONIO DI PIETRO


mercoledì 9 novembre 2011

A DANGEROUS METHOD

Un grande film. Ben scritto, girato e montato, con un'ambientazione storica perfetta. "A dangerous method" è l'ultimo film girato dal regista canadese David Cronenberg e racconta la storia della nascita della psicoanalisi. Nell'Europa su cui incombe lo spettro della seconda guerrra mondiale, si intrecciano le storie di Freud e Jung. Carl Jung utilizza il metodo di Sigmund Freud per curare una giovane isterica russa ebrea, Sabina Spielrein (che poi si laureerà in Medicina ed aprirà una celebre scuola psicoanalitica in Russia). Sabina ne diviene l'amante (Jung è sposato con una ricca ereditiera ed ha due figlie) ed alcuni anni dopo si sposa con un altro uomo. La separazione tra i due è lacerante. Sono entrambi molto innamorati e Sabina per Jung (che nel frattempo si è legato sentimentalmente ad un'altra sua paziente) rimarrà sempre il grande amore della propria vita. Nella Vienna del tempo, tra immani difficoltà e diffidenze, si sviluppa la scuola psicoanalitica. In una conversazione con Jung, Freud - che nel frattempo lo nomina proprio successore - afferma: "Io sono come Cristoforo Colombo, che scoprì una nuova terra e morì senza sapere dov'era sbarcato. Anche io ho scoperto un nuovo territorio. Non so ancora bene cos'è, ma c'è". Il legame professionale tra i due si incrina fino alla separazione definitiva, quando Jung sviluppa le proprie personali teorie, slegate dalla mera considerazione degli impulsi sessuali e teso alla rivalutazione di aspetti meno valutati della psiche umana, come le premonizioni, i riti, i miti, e tutta quella dimensione magica e misteriosa che Freud aveva escluso dalla propria ricerca. Il film dall'ottimo ritmo e dall'ottima recitazione, con un buon doppiaggio, fornisce l'affresco di un'epoca e degli intellettuali che l'hanno vissuta, con uno scavo sull'interiorità dei personaggi (vedi le sculacciate che Jung infligge a Sabina, desiderosa di essere "punita") davvero notevole, alla ricerca di quella libertà e di quel percorso di evoluzione cui i protagonisti arrivano dopo prove enormi. Nel film si trova anche una tenerezza ed una dolcezza disarmanti.
“Solo un medico ferito può curare un paziente”, dirà Jung a Sabina. C’è tutto un mondo in una frase del genere.

LA CARICATURA INTERNAZIONALE

Berlusconi è l’Anti Gambero, cioè l’Anti Politico. Un politico, al suo posto, si tirerebbe indietro o di lato e lascerebbe ad altri il compito di scottarsi, scommettendo sulla memoria corta degli italiani per ripresentarsi nel 2013 nei panni di novità candidabile al Quirinale. Ma B. si sente un eroe, un prescelto dal popolo come Napoleone o Gheddafi, fate voi.

MASSIMO GRAMELLINI

Se penso a un’Italia senza B, immagino un brigadiere che si addormenta mentre intercetta le telefonate fra il professor Monti e Mario Draghi. Oh, mica voglio un’Italia di banchieri. Ma un po’ grigia e barbosa, sì. Non moralista, morale. Che per qualche tempo si metta a dieta di barzellette, volgarità, ostentazioni d’ignoranza. Dove l’ottimismo non sia la premessa di una truffa, ma la conseguenza di uno sforzo comune. Un’Italia solare, anche nell’energia. Con meno politici e più politica. Meno discorsi da bar e più coerenza fra parole e gesti. Una democrazia sana e contenta di sé, che la smetta di prendere sbandate per gli uomini della provvidenza e si ricordi di essere viva ogni giorno e non solo una volta ogni cinque anni per mettere una crocetta su una scheda compilata da altri. Un’Italia di politici che non parlano di magistrati, ma coi magistrati (se imputati). E di magistrati che parlano con le sentenze e non nei congressi di partito. Di federalisti che non fanno rima con razzisti. Un Paese allegro e però serio. Capace di esportare non solo prodotti belli, ma belle figure. Vorrei essere governato da persone migliori di me. Che non facciano le corna, non giurino sulle zucche e si sfilino un paio di chili dalla pancia, prima di far tirare la cinghia a noi, ripristinando il principio che chi sta in alto deve dare il buon esempio.
Per giungere a un’Italia così, le dimissioni di B rappresentano un primo passo. Adesso devono dimettersi tutti gli altri. Perché più ancora di Berlusconi temo i berluscloni.

MASSIMO GRAMELLINI

Silvio Berlusconi si è arreso. Dopo che la Camera ha certificato il venir meno della sua maggioranza, è stato costretto ad annunciare le dimissioni al Capo dello Stato. La data è posticipata al giorno in cui verrà approvata la legge di stabilità. E probabilmente in questo rinvio c’è ancora il residuo di un’ostinata resistenza ai danni del Paese, magari persino il retropensiero di qualche compravendita in extremis. Ma la sostanza della crisi stavolta concede ben poco a scenari che somiglino al 14 dicembre.
Le annunciate dimissioni di Berlusconi segnano oggi la fine di un governo, la fine di un ciclo politico e probabilmente anche di quella che abbiamo chiamato Seconda Repubblica.
È stata una fine ingloriosa. Che ha scaricato sull’Italia un discredito, addirittura una derisione, destinati a pesare sul prossimo cammino. Ormai non c’era cancelleria in Occidente, o impresa, o operatore di mercato che non considerasse Berlusconi come la zavorra dell’Italia e come il pericolo numero uno per l’Euro.

CLAUDIO SARDO

Neanche Umberto ce l’ha fatta. Sì, proprio così: neanche Umberto Bossi ce l’ha fatta a dire “caro Silvio, è giunto il momento che tu faccia un passo indietro, al tuo posto mettiamo il tuo Angelino Alfano”. Il capo discusso della Lega ha mandato avanti il Calderoli, come nella più classica delle situazione della commedia da avanspettacolo: “Vai avanti tu che a me scappa da ridere”. E fosse solo il riso. Qui viene da piangere. Infatti, provate solo a ragionare su questo interrogativo: se il governo Berlusconi è molto poco autorevole in Europa e nel mondo, cosa sarà mai un governo Alfano? La risposta ci è stata fornita indirettamente da Gianni Letta. Quando gli hanno proposto, da più parti, di uscire dall’ombra, dove ha sempre vissuto e operato con grande compostezza e competenza, per prendere il posto di Berlusconi, l’ex direttore de Il Tempo – c’è anche questo nella vita del “dottor Letta” - ha risposto così: “Grazie, ma non è il caso: non ho caratura internazionale”. Un gran signore, non c’è dubbio, perché forse chiunque altro al suo posto non ci avrebbe pensato due volte a prendere il posto in offerta, anche se se si tratta di una poltrona non solo molto scomoda ma bollente. Ora, se Gianni Letta non ha “caratura internazionale” vi pare che la stessa caratura possa essere riconosciuta ad Angelino Alfano? Nenche Bossi, che ha avuto questa geniale idea, ci crede e se l’ha avanzata è perché – come dice e ripete da tempo - “tanto Berlusconi non farà mai un passo indietro”. Per uscire dalla crisi in cui ci ha condotti con mano ferma il governo Berlusconi c’è bisogno di un governo solido su base parlamentare e autorevole fin dalla testa del presidente del Consiglio. Il governo Alfano – l’immaginario governo Alfano - sarebbe un governo Berlusconi senza Berlusconi. Così dall’assenza di “caratura internazionale” si passerebbe alla presenza di “caricatura internazionale”. Alfano, infatti, a parte l’altezza fisica, è anche molto somigliante a Berlusconi e se Berlusconi lo ha fatto di suo pugno segretario del Pdl è perché – come disse egli stesso al papà di Angelino - “lo considero un po’ anche figlio mio”. Insomma, avremmo a Palazzo Chigi un “governo del figlio di papà” e non sarebbe una buona cosa per un Paese del quale, purtroppo, ora in Europa si ride. A torto, ma si ride.

C’è nella ex maggioranza di governo c’è una domanda che circola da tempo ma è una domanda sbagliata: come salvare il Pdl senza Berlusconi? La risposta che cercano di dare è proprio questa: il governo Alfano. Ma a far notare che è tutto sbagliato ci vogliono due secondi. Il problema che abbiano davanti – e che dovrebbero avere davanti anche gli esponenti più importanti del Pdl - non è come salvare il Pdl o la maggioranza una volta che Berlusconi è uscito di scena, bensì come salvare l’Italia.

GIANCRISTIANO DESIDERIO

Lettori fissi