venerdì 26 dicembre 2014

QUANDO HO COMINCIATO AD AMARMI DAVVERO

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che il dolore e la sofferenza emotiva servivano a ricordarmi che stavo vivendo in contrasto con i miei valori. Oggi so che questa si chiama autenticità.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito quanto fosse offensivo voler imporre a qualcun altro i miei desideri, pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta, anche se quella persona ero io. Oggi so che questo si chiama rispetto.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di desiderare una vita diversa e ho compreso che le sfide che stavo affrontando erano un invito a migliorarmi. Oggi so che questa si chiama maturità.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito che in ogni circostanza ero al posto giusto e al momento giusto e che tutto ciò che mi accadeva aveva un preciso significato. Da allora ho imparato ad essere sereno. Oggi so che questa si chiama fiducia in sé stessi.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, non ho più rinunciato al mio tempo libero e ho smesso di fantasticare troppo su grandiosi progetti futuri. Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e felicità, ciò che mi appassiona e mi rende allegro, e lo faccio a modo mio, rispettando i miei tempi. Oggi so che questa si chiama semplicità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò che metteva a rischio la mia salute: cibi, persone, oggetti, situazioni e qualsiasi cosa che mi trascinasse verso il basso allontanandomi da me stesso. All’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo si chiama amor proprio.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di voler avere sempre ragione. E cosi facendo ho commesso meno errori. Oggi so che questa si chiama umiltà.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono rifiutato di continuare a vivere nel passato o di preoccuparmi del futuro. Oggi ho imparato a vivere nel momento presente, l’unico istante che davvero conta. Oggi so che questo si chiama benessere.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che il mio pensiero può rendermi miserabile e malato. Ma quando ho imparato a farlo dialogare con il mio cuore, l’intelletto è diventato il mio migliore alleato. Oggi so che questa si chiama saggezza.
Non dobbiamo temere i contrasti, i conflitti e i problemi che abbiamo con noi stessi e con gli altri perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi. Oggi so che questa si chiama vita.

Charlie Chaplin

venerdì 19 dicembre 2014

E' MORTA VIRNA LISI, LA SIGNORA DEL CINEMA ITALIANO

roma


Viso d’angelo e carattere energico, Virna Lisi, scomparsa oggi a 78 anni, era un’attrice che, per tutta la vita, ha lavorato con l’obiettivo di smentire lo stereotipo della bionda arrendevole, della diva che si accontenta di essere bella, dell’interprete docile, pronta a frasi forgiare dai registi, senza discutere, senza chiedere. Il mantra pubblicitario che ne aveva segnato gli esordi, «con quella bocca può dire ciò che vuole», con lei ha funzionato al meglio. Dalle labbra perfette, nel viso di luminosa bellezza, dominato dallo sguardo azzurro trasparente degli occhi mai liftati, mai ritoccati, un esempio originale di fascino mediterraneo racchiuso in tratti nordici, vennero fuori celebri dinieghi. 

Soprattutto quello a Hollywood, la meta agognata di tutte le attrici del mondo, dove lei arrivò senza sforzo, nel ‘64, per girare con Jack Lemmon «Come uccidere vostra moglie». Un gran successo, cui seguirono due film, con Tony Curtis e Frank Sinatra, e una carriera ormai avviatissima, lontano da casa. Mancavano sette anni di contratto quando la signora Lisi decise di fare dietrofront, affrontando battaglie legali e perdite economiche: «Mi proposero di interpretare Barbarella, dissi di no, spiegai che io con quelle ali
d’oro proprio non mi ci vedevo». 
Molto meglio si vide, anni dopo, nei film di Germi, Lattuada, Comencini, Amelio. Ma soprattutto, pur amando moltissimo il suo lavoro, si vedeva bene nel ruolo di moglie, madre, nonna. E questo forse le ha dato la forza di essere l’unica diva che, al di là delle solite dichiarazioni di facciata, ha vissuto come una liberazione l’apparire delle prime rughe, come se quei segni le dessero finalmente la possibilità di mettere bene in luce le sue vere qualità: «Sì, a volte la bellezza mi ha dato fastidio, mi ha precluso dei ruoli e questo mi ha addolorata. Essere belle non è sempre facile, soprattutto se si vuol fare cinema serio». 
   

Addio a Virna Lisi, signora del cinema italiano, la bocca che "può dire ciò che vuole", attrice senza compromessi. Nella sua carriera, oltre cento film con Cavani, Amelio, Comencini (Luigi e Cristina), Zampa, Samperi, Festa Campanile, Lattuada, Risi, Loy, Monicelli. Aveva conquistato anche Hollywood, rifiutando Playboy e Frank Sinatra. Nella sua carriera ha ricevuto sei Nastri d'argento, un premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes e quattro David di Donatello, di cui due alla carriera. Nata ad Ancona l'8 novembre del 1936, nel 1960 ha sposato l'architetto romano Franco Pesci (allora presidente della Roma, morto nel 2013) da cui ha avuto un figlio, Corrado, che l'ha resa nonna di tre nipoti.

giovedì 11 dicembre 2014

OTTANTADUEMILA

Altro che Belpaese. In Italia non vuole venirci più nessuno e chi ci vive scappa via. Gli italiani tornano a emigrare. Regno Unito, Svizzera e Germania le nuove mete
 
L’Italia non attrae più. Né gli italiani né gli stranieri. Perché da una parte viene fuori il volto degli italiani che si sono riscoperti nuovamente migranti, mentre gli stranieri lasciano l’Italia per tornare a casa loro. I dati che emergono dall’Istat parlano chiaro: il 14% degli stranieri se ne vanno dall’Italia. Sono, invece, 82 mila unità (+20,7% rispetto al 2012) gli italiani che lasciano il Belpaese. Regno Unito, Svizzera, Germania e Francia queste le nuove terre promesse per i nostri connazionali che decidono di puntare all’estero per cercare nuove fortune. Si tratta di cittadini che hanno un’età superiore ai 24 anni. Per quanto riguarda le immigrazioni dall’estero nel 2013 sono state, nel 2013, 307mila, 43mila in meno rispetto al 2012. L’immigrazione dall’estero verso l’Italia è la metà preferita dei cittadini romeni, anche se pure loro stanno strizzando l’occhio altrove. Ci sono poi i marocchini, cinesi e ucraini.

La Notizia giornale.it

Un'intera generazione che mancherà all'Italia. Non solo cervelli, ma anche manovalanza bassa. Quella generazione mortificata dalla politica, dalla società, dall'economia. Ognuno di noi ha più di un amico o conoscente che ha fatto questa scelta. Spesso partono da soli, col timore di non farcela, perseguitati dai dubbi, dagli incubi, dall'ansia per via di un cambiamento di vita tanto radicale.
Le generazioni precedenti hanno pensato bene di tutelare i propri interessi. Chi dimentica la stagione delle 'pensioni baby', 19 anni ed a riposo? Ora, i risultati di quelle scelte, le stanno pagando le generazioni successive. L'Italia degli scandali, delle mafie, delle tangentopoli di ritorno, dei paesi e paesini a desertificazione permanente, l'Italia disunita delude e non innamora più nessuno. E' la sconfitta di un intero sistema mangereccio e privo di scrupoli.

DALL'ALTRA PARTE - PEDOFILIA ONLINE


martedì 9 dicembre 2014

E I BICCHIERI ERANO VUOTI

E i bicchieri erano vuoti
e la bottiglia in pezzi
E il letto spalancato
e la porta sprangata
E tutte le stelle di vetro
della bellezza e della gioia
risplendevano nella polvere
della camera spazzata male
Ed io ubriaco morto
ero un fuoco di gioia
e tu ubriaca viva
nuda nelle mie braccia.


JACQUES PRÉVERT

domenica 30 novembre 2014

A TORINO GRANDI MUSICISTI SOTTO I PORTICI


WOMEN OF VISION


Dal 25 ottobre 2014 all' 11 gennaio 2015, Palazzo Madama a Torino ospita la mostra 'Women of Vision', i grandi scatti del National Geographic. Undici grandi fotografe per 99 fotografie. "Ci sono veterane come Lynn Johnson, Jodi Cobb e Maggie Steber, e talenti emergenti come Erika Larsen e Kitra Cahana. Ci sono artiste che hanno dedicato la loro carriera a raccontare la società e la condizione femminile, altre che hanno immortalato paesaggi onirici, altre ancora che hanno scelto per missione la conservazione della natura e la tutela dell’ambiente" (dal sito di Palazzo Madama).

Le fotografe in mostra: Lynsey Addario; Jodi Cobb; Kitra Cahana; Diane Cook; Carolyn Drake; Lynn Johnson; Beverly Joubert; Erika Larsen; Stephanie Sinclair; Maggie Steber; Amy Toensing

martedì 25 novembre 2014

L'UOMO CHE SALVO' LA GIOCONDA

La Stampa, martedì 25 novembre 2014
 
Il 25 agosto 1939, sei giorni prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, un eroe dimenticato che si chiamava Jacques Jaujard fece appendere un cartello all’ingresso del Louvre, avvisando i visitatori che il museo sarebbe rimasto chiuso per alcuni giorni a causa di lavori urgenti. Subito dopo avere sbarrato i portoni, decine di uscieri, guide, impiegati, e professori e studenti dell’Accademia diedero inizio in segreto alla più grande operazione di salvataggio dei maggiori capolavori dell’arte, minacciati dal sicuro arrivo dei nazisti e dalle bombe che presto sarebbero cadute su Parigi. In pochi giorni, 3.690 dipinti furono staccati dai muri e imballati in 1.862 casse bianche. Le statue vennero imbottiture prima di essere caricate sui camion. Dal Louvre partirono 203 veicoli, in 37 convogli diretti verso i castelli della Loira o anonimi paesi di campagna, lontani dagli obiettivi di Hitler.

Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi. 
Vittorio Sabadin

BERRETTE E BOLLETTE


Ogni cosa in natura esiste finché ha un senso e soddisfa un bisogno. In caso contrario scompare. Che senso hanno oggi i partiti? Che bisogno soddisfano? Ho letto dotte analisi dell’astensionismo alle elezioni regionali nella rossa Emilia. Alcune faziose, come quella che attribuisce all’ultimo arrivato Renzi la responsabilità di un fenomeno in corso da decenni, ma altre ineccepibili: la crisi economica, gli scandali, il disprezzo per la classe politica e l’istituzione regionale, l’assenza di un avversario in grado di mobilitare gli elettori sotto la spinta della paura. Però mi sembrano tutte cause di secondo livello. La ragione primaria, e più prosaica, della decadenza dei partiti (e dei sindacati) è che hanno rinunciato a svolgere il loro mestiere di assistenza dei cittadini. 

Nel quartiere di Torino dove sono cresciuto abitavano due vecchiette. Una votava Pci e l’altra Dc. Se aveste chiesto loro perché, non credo che avrebbero saputo darvi una risposta «politica». La prima bazzicava la sezione del Pci per farsi compilare gratuitamente la dichiarazione dei redditi e ricevere utili dritte su medici curanti e impiegati comunali a cui rivolgersi per dilazionare il pagamento di una bolletta. La seconda frequentava gli oratori e cuciva berrette di lana per i poveri che venivano vendute nelle sagre paesane della Dc. Quei partiti di massa, di cui ignoravano le basi ideologiche, facevano parte della loro vita. Podemos, il movimento che promette o minaccia di vincere le prossime elezioni spagnole, è ripartito da lì: dalle berrette e dalle bollette. Che non bastano a fare un partito. Ma senza le quali qualsiasi partito cessa di esistere. 

sabato 8 novembre 2014

CATERINUCCIA MIA, CERCAMO A VIVE

Caterinuccia mia, cercamo a vive',
E amasse sempre quanto se po' amà;
E tutte le linguaccie più cattive
Mezzo bajocco l'êmo da contà.
'R sole, lo sai, se va a corcà la notte,
Ma er giorno doppo pole arivenì:
Noi, 'na vorta ch'annamo a fasse fotte,
Se svejamo cor c.... Caterì!
Mille baci, poi cento, poi artre mille,
Poi doppo cento baci m'hai da dà;
Poi ciarifamo e annamo fino ar mille,
Poi doppo cento, e po' un'infinità.
Allora, quanno se ne semo fatte
Una brava magnata da crepà;
Pe' nun potelli più manco aribbatte,
'Na bona smuscinata je se dà:
Che gnuno possa prennese l'impiccio
De facce i conti addosso, e doppo po'
Ce vienghi a ffà magara l'occhiaticcio,
Quanno sapesse quanti baci so'

(G. Martellotti, Roma, 1892)

mercoledì 5 novembre 2014

LA PITTURA DI FELICE CASORATI IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE FERRERO DI ALBA

Fino al 25 febbraio 2015 la pittura di Felice Casorati è  in mostra alla Fondazione Ferrero di Alba. Felice Casorati. Collezioni e mostre tra Europa e Americhe − curata da Giorgina Bertolino, coautrice del Catalogo Generale dei dipinti dell’artista - è una personale dedicata alla ricerca, alla storia pubblica e alla ricezione internazionale della pittura casoratiana, dagli anni Dieci agli anni Cinquanta del Novecento. Molti dei soggetti esposti sono degli inediti espositivi per le centinaia di visitatori che in questi giorni stanno affollando le sale della Fondazione. L'essenzialità della pittura casoratiana attirò anche l'interesse di una fine critica d'arte come Margherita Sarfatti, nota, tra l'altro, per essere stata una delle amanti del Duce. Nel video, Casorati si racconta.


I SEGRETI DELLA RECEPTION

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giovedì 23 ottobre 2014

LA TEORIA DELLA RELATIVITA' E L'AMORE

 
Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono,
e anche quello che rivelerò a te ora,
perché tu lo trasmetta all’umanità,
si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per
tutto il tempo necessario, anni, decenni,
fino a quando la società sarà progredita abbastanza
per accettare quel che ti spiego qui di seguito.
Vi è una forza estremamente potente per la quale
la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.
È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno
che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile
e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo
che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica
il meglio che è in noi, e permette che l’umanità
non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore.
Questa forza spiega il tutto e
dà un senso maiuscolo alla vita.
Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo
non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice
sostituzione nella mia più celebre equazione.
Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo
può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato,
giungeremo alla conclusione che l’amore è
la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo
delle altre forze dell’universo,
che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento
di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva,
se vogliamo trovare un significato alla vita,
se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita,
l’amore è l’unica e l’ultima risposta.
Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore,
un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio,
l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.
Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,
vedremo come l’amore vince tutto,
trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere
ciò che contiene il mio cuore,
che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo,
ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.


Tuo padre Albert Einstein

domenica 5 ottobre 2014

RICORRE IL BIMILLENARIO DELLA MORTE DELL'IMPERATORE AUGUSTO

Il 19 Agosto del 14 d. C. l'imperatore Augusto, fondatore dell'Impero Romano, spira tra le braccia di sua moglie Livia. Nelle città italiane dove egli ha lasciato un segno del suo passaggio - ben quattro archi augustei si trovano ad Aosta, Fano, Rimini e Susa - si sono svolte o sono in corso manifestazioni per ricordare questo sovrano pacifico e magnanimo.
Augusto nasce a Roma nel quartiere Palatino il 23 Settembre del 63 a. C. da Azia, figlia minore di Giulia e sorella di Cesare, alla morte del quale (Idi di marzo del 44 a. C.) intraprende la sua carriera politica. Nel 43 a. C. si costituisce il triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Lepido, ma nel 31 a. C. il sodalizio si sfascia e ne scaturisce una guerra civile, che si conclude con la battaglia di Anzio, da cui Ottaviano esce vincitore. Nel 27 a. C. Ottaviano diventa Augusto e dà di fatto inizio all'età imperiale. Attraverso delle campagne militari allarga i confini dell'impero ed inizia anche una serie di riforme politiche, sociali, militari, economiche. Durante il suo governo il Senato decreta per ben tre volte la chiusura del tempio di Giano, a significare che la pace regnava in tutto il suo impero. La morte lo coglie a Nola. Il suo corpo sarà trasportato a Roma ed esposto nella sua dimora sul Palatino, da cui, l'indomani, in un baldacchino d'avorio e d'oro e con una sua effige di cera in abiti trionfali, viene condotto nel foro imperiale, dove è pronunciato il discorso funebre. Una lunga processione lo accompagna fino al Campo Marzio, dove il corpo è bruciato su una pira. Si racconta che durante il rito un senatore abbia visto spiccare dalle fiamme un'aquila in volo, trasportando con sé l'anima di Augusto.

LA RADIO IN ITALIA COMPIE 90 ANNI

La prima trasmissione radiofonica in Italia andava in onda la sera del 6 ottobre 1924, alle ore 21. La speaker era Ines Viviana Donatelli, che annunciò: «Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7 primo e secondo tempo». 


L’Uri (Unione radiofonica italiana) era sorta il 27 agosto 1924. Era costituita dalla fusione tra Radiofono (Società italiana per le radiocomunicazioni circolari) e Sirac (Società italiana radio audizioni circolari). Nel 1927 la Uri diventa Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche), la quale nel 1944 si trasformerà in Rai (Radio audizioni Italia).

mercoledì 1 ottobre 2014

SE SEI CARINA CON ME... PASSI L'ESAME

<!--title='Le iene - puntata del 24 settembre 2014 - golia-se-sei-carina-con-me…-passi-l’esame' Le iene - puntata del 24 settembre 2014 - golia-se-sei-carina-con-me…-passi-l’esame
http://www.iene.mediaset.it/puntate/2014/09/24/golia-se-sei-carina-con-me%E2%80%A6-passi-l%E2%80%99esame_8734.shtml

sabato 27 settembre 2014

IL MISSIONARIO

Ho conosciuto un medico stile San Giuseppe Moscati, in questo paese di frontiera. E' il marito di uno dei sindaci donna più famosi d'Italia. Per rispetto alla privacy non faccio nomi, ma vi dico solo che personaggio ho conosciuto.
Dopo quattro ore e mezza di attesa, finalmente è il mio turno. Lui è brizzolato, con i capelli di media lunghezza che gli scendono lungo il collo. Porta un grosso crocefisso in oro sul petto. Indosso, il camice bianco. Tanta dignità nell'aspetto di quest'uomo, plurispecializzato, che trasmette al paziente una calma serafica. Tanta professionalità, tanto spirito di abnegazione, che lo porta a fare visite fino alle tre, alle quattro del mattino, dopo avere fatto passare tutti, ma proprio tutti tutti i pazienti della mutua. Le sue visite sono accurate, senza distinzione tra mutuati e paganti. La sua intuizione medica lo porta ad individuare subito il problema ed a suggerire la cura più appropriata. 
Nella sua stanza, ed anche nel salottino di attesa, per ore si diffonde la musica che proviene da un impianto stereo. Nella stanza delle visite, per la verità, il volume è più alto. Ma il medico è concentratissimo. Chiedere quanto prende per la visita gli procura una sorta di imbarazzo. Il compenso richiesto - quindici euro -, è più simbolico che effettivo. Come a dire che lui cura per missione, appunto, non per vivere.
E' stato un onore ed un piacere conoscere quest'uomo e sapere che esistono persone così.
Certo, sui giornali ed in tv non fa notizia, perché le copie vendono e l'audience sale solo quando si parla di ladri, corrotti e magnaccia, come direbbe Di Pietro. Ma persone così, per fortuna, esistono. E sono quelle che lasciano un segno nella storia dell'umanità.
Secondo me lo faranno santo. Chi vivrà vedrà.

lunedì 15 settembre 2014

GLI ANNIVERSARI DEI MEDIA

Dunque: nel 2014 ricorrono i 90 anni dalla nascita della radio, i 60 della televisione ed i 25 anni di Internet.

domenica 31 agosto 2014

STAGIONI: 2014-1984

Cosa resterà di questa estate che non è stata? Il 2014 ci ha portato un luglio piovoso ed una stagione estiva senza gossip, né tormentoni, né code sulle autostrade, né star. E senza azzurri. Di loro si ricorderà la figuraccia brasiliana. Nell'aria nessuna canzone allegra, frivola e scema da canticchiare, la spensieratezza e la leggerezza sembrano volate via, come i soldi dalle tasche degli italiani. Nessun esodo sulle strade, il grande scoop dei telegiornali circa il fatto che il pienone è stato registrato nelle sole città d'arte, prese d'assalto da turisti stranieri (ma va'?), ed infine, l'unico gossip, nemmeno tanto degno di questo nome, è il matrimonio tra Angelina Jolie e Brad Pitt, che ormai fanno coppia fissa da una vita ed hanno sei figli. Non sono mancate, però, le guerre: in Ucraina, a Gaza, in Siria, nel Mediterraneo. E sbarchi di centinaia di profughi sulle coste della Sicilia. La novità è che la Concordia è stata rimossa dalle acque dell'Isola del Giglio e poi, più niente.
Forse trent'anni fa eravamo più avanti. La crisi non mordeva. Nasceva il primo Mac della storia ed il mouse portava nel vocabolario la parola 'cliccare'. I primi esemplari, a metà strada tra un televisore vecchio modello ed uno scatolone, costavano circa 2500 dollari, non avevano una ventola per evitarne il surriscaldamento, ma si vendevano eccome. Non a caso Steve Wozniak, inventore del personal computer, ebbe a dire un giorno: "Il Macintosh è più di un computer: è uno stile di vita". La designer statunitense Susan Kare inventava le icone del desktop, che rendevano facile l'approccio al mezzo, lanciava le font Geneva e Chicago ed il famoso Mac felice, il computer sorridente che sarà soppiantato dopo un ventennio dalla mela di Steve Jobs.
Sempre nel 1984, il 18 febbraio, il presidente del Consiglio Bettino Craxi ed il cardinal Agostino Casaroli a Villa Madama firmavano l'accordo tra Italia e Santa Sede, per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia e per rendere l'ora di religione cattolica facoltativa nelle scuole. E sempre in quell'anno Albano e Romina vincevano Sanremo con la canzone Ci sarà. Oddio: non era tutto rose e fiori. In Canada moriva la prima vittima dell'Aids ed a Milano nasceva la Lega Nord. Moriva Enrico Berlinguer. Finivano in carcere Mamma Ebe e Michele Sindona. Si verificava la strage del rapido 904.
Ed ancora: Craxi con apposito decreto consentiva alle reti di Berlusconi di riprendere le trasmissioni.
Ah, sempre nell'84 l'Italia usciva vincitrice dalle Olimpiadi di Los Angeles. E l'anno prima, il 1983, si verificava l'estate più torrida dopo decenni nella storia mondiale. Così torrida, appunto, da passare alla storia.

TORINO, A FUOCO LA CAVALLERIZZA

Secondo alcuni osservatori, si tratta di uno dei siti Unesco più bistrattati, forse il principale. Le vecchie scuderie del re, fatte costruire nel 1647 da Carlo Emanuele II di Savoia, da sole vale un quinto della Torino barocca. Venerdì 29 agosto 2014 sono state gravemente danneggiate da un incendio doloso. Secondo la ricostruzione dei fatti, alle 22.30 tre sconosciuti entrano all'interno del Circolo dei beni demaniali all'interno del complesso della Cavallerizza Reale, a cento metri dalla centralissima Piazza Castello. All'1.25 alcuni passanti notano una colonna di fumo che si leva dalle finestre del primo piano. I Vigili del fuoco intervengono pochi minuti dopo. Alle 3.30 di notte viene spento il primo focolaio, ma i danni sono ingenti. Le pareti hanno retto, ma il tetto dei magazzini ed alcuni locali interni sono distrutti. I danni ammontano a 500mila euro. Per l'attentato incendiario sono state trovate cinque bottiglie incendiarie sul luogo del misfatto. La Cavallerizza è di proprietà del Comune, che ha sempre cercato di venderla ai privati, senza successo. In effetti, il costo esorbitante, 12 milioni di euro, cui si aggiungono quelli di ristrutturazione, ed i mille vincoli imposti dalla Soprintendenza, ha spaventato anche i più coraggiosi investitori. Così, nel corso del tempo, la Cavallerizza è stata conquistata dai centri sociali, da collettivi di artisti, docenti universitari e paesaggisti.

martedì 26 agosto 2014

IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO AI VALDESI E' GIA' STORIA

"Dal 24 al 29 agosto si tiene a Torre Pellice (TO) la sessione europea del sinodo delle chiese valdesi e metodiste, assemblea cui spettano le decisioni di carattere teologico, pastorale, disciplinare riguardanti le chiese stesse" (dal sito www.chiesavaldese.org). Il tema di quest'anno è stato "la crisi", sul quale potete leggere l'intervento integrale di Claudio Pasquet, il pastore che lo ha presieduto. Tra l'altro Pasquet afferma: "Gesù avrebbe molte umane possibilità per uscire dalla crisi. Quella di non darle peso: “con tutto quello che c'è da fare! Bisogna andare a Gerusalemme e vi perdete in queste sciocchezze?”Oppure ancora, Gesù potrebbe ergersi al di sopra della sua comunità e rimproverarli di non capire ancora nulla, chiedendo loro di seguire Lui, il capo, in modo cieco e assoluto.
Sottostimare, schierarsi o giudicare dall'alto in basso.
Tutte tentazioni nelle quali noi esseri umani finiamo facilmente intrappolati di fronte a una crisi. Si tratti di una crisi comunitaria nelle nostre piccole chiese, come le crisi economiche, sociali e politiche che travagliano il nostro mondo.
Ma non Gesù! Lui utilizza un'altra strategia: Chiamatili a sé, ci dice il testo. Il Signore, consapevole del ruolo della comunità dei discepoli, sa che bisogna innanzi tutto rinsaldare i nodi che la tengono insieme. Non sottovaluta la crisi, anche se agli occhi del mondo secolarizzato e nevrotico di oggi, sembra che decida di perdere tempo. Ma in quel Chiamatili a sé, c'è tutta la forza della proposta che il Signore fa ai suoi, ieri e oggi! C'è la formulazione di una prassi di fede che non può e non deve prescindere dalla comunità riunita".
A Papa Bergoglio non è mai sfuggita la finezza teologica dei Valdesi, da lui stesso definiti dei "religiosi di prim'ordine" e stavolta ha volut indirizzare ai 180 delegati delle chiese metodiste e valdesi il suo "saluto fraterno" e la sua "vicinanza spirituale". Per la prima volta nella storia.
La comunità valdese è in crescita. Basti pensare che nel 2013 la destinazione dell'8 per milla degli italiani alla loro chiesa è cresciuta del 7%: in 613mila hanno destinato il loro contributo ai valdesi, che ha ottenuto un numero di firme pari a 30 volte la loro consistenza. I 41 milioni che hanno intercettato saranno da loro destinati non al sostentamento del clero, ma per progetti di natura assistenziale, sociale e culturale, tutti documentati su Internet. Quest'anno il 30% dell'importo sarà devoluto a progetti nei paesi in via di sviluppo.

ADDIO AD ADELAIDE RONCALLI, LA VEGGENTE OSTEGGIATA DALLA CHIESA

Se ne è andata a 77 anni, discretamente e in silenzio, senza che la Chiesa abbia mai riconosciuto la veridicità delle apparizioni avvenute alle Ghiaie di Bonate, nel bergamasco. Adelaide Roncalli che diceva di aver visto la Madonna fu costretta a ritrattare subendo una notevole pressione psicologica dal sacerdote Luigi Cortesi, giovane professore del seminario di Bergamo, che di sua iniziativa si mise ad indagare sull'accaduto e che nel 1945 riuscì ad ottenere con l'inganno una ritrattazione scritta. Adelaide disse di avere avuto apparizioni mistiche dal 13 maggio al 31 luglio 1944 e nel paesino iniziò iniziarono a riversarsi masse di pellegrini. Adelaide era solo una bambina  e la Madonna le preannunciò una vita di sofferenze, inoltre le parlò delle minacce che in quel momento incombevano su Pio XII - difatti Hitler aveva progettato di rapire il Papa, ma la piccola non poteva saperlo, ed inoltre indicò l'importanza della famiglia.
Alla morte di don Cortesi, nel 1946, la veggente dichiarò che la ritrattazione era falsa. Tuttavia il vescovo di Bergamo nel 1948 affermò "non consta la soprannaturalità", proibendo ogni forma di devozione in quel luogo.
Nel 1949 la piccola Roncalli fu ricevuta da Papa Pio XII, al quale rivelò il segreto che lo riguardava. Il Papa Bergamasco Giovanni XXIII in una lettera al vescovo di Faenza del luglio 1960 scriveva: "Ciò che vale è la testimonianza della veggente: e la fondatezza di quanto ancora asserisce a 21 anni e in conformità alla sua prima asserzione a 7 anni: e ritirata in seguito alle minacce, alle paure dell'inferno fattele da qualcuno".
Adelaide avrebbe voluto farsi suora sacramentina ed a 15 anni ottenne dal vescovo il permesso. Ma dopo la morte dell'alto prelato qualcuno riuscì a strappare l'ordine di farla uscire dal convento. Dopo di questo Adelaide per il dispiacere si ammalò. Oggi si spera in un'indagine seria ed approfondita del suo caso.

sabato 23 agosto 2014

COSI' TI COLTIVO L'ORTO IN CITTA'

In Inghilterra e negli Stati Uniti li chiamano i "victory gardens" e sono realtà da decenni. Già nel 1945 in questi Stati venivano coltivati qualcosa come un milione e mezzo di aree verdi sopperendo al 10% delle richieste di cibo.
Durante il Ventennio, in Italia il Duce raccomandava: "Non un lembo di terreno incolto".
Oggi gli orti sono una realtà diffusa a livello esponenziale lungo tutta la penisola. C'è la crisi che morde, certo, ma c'è anche la voglia di mangiare genuino, di stare insieme e, non da ultimo, di restituire dignità ad aree altrimenti destinate al degrado. Gli orti urbani proliferano su balcone e terrazze urbane, su lembi di terra tra i palazzi delle metropoli. E la gente fa la fila al comune per richiedere la coltivazione di queste aree (con la formula del comodato d'uso). Quindi: city farmer individuali e spazi di proprietà comunale, questi ultimi ad uso collettivo Secondo la Coldiretti nelle sole città capoluogo gli orti urbani coprono una superficie di 3,3 milioni quadrati, ed il fenomeno è in costante crescita. Nelle grandi città le aree verdi sono più di quanto si pensi. Nella sola Torino, come riportato da La Stampa, sono 2 milioni di mq. Le aree verdi sono più estese nelle città del Nord. Nel Mezzogiorno il fenomeno interessa solo Napoli, Andria, Barletta, Palermo e Nuoro.

mercoledì 13 agosto 2014

HA 70 ANNI L'ECCIDIO DI SANT'ANNA DI STAZZEMA

Sant'Anna di Stazzema, paesino della provincia di Lucca, è il luogo dove il 12 agosto 1944 i soldati tedeschi delle SS consumarono uno dei più efferati crimini contro l'umanità, massacrando 560 civili, in gran parte bambini, donne e anziani. Li chiusero nelle stalle, li relegarono nelle cucine delle case ed in tre ore li uccisero con colpi di mitra e bombe a mano. Tra di esse una bambina di soli 20 giorni, Anna Pardini. Alla strage contribuirono dei fascisti collaborazionisti che condussero le truppe tedesche sul posto. Le SS, comandate dal generale Max Simon, avevano già commesso l'eccidio della Romagna. Queste, come le stragi in Toscana, sempre del 1944, furono azioni di vero e proprio terrorismo, non rappresaglia, seguite all'armistizio dell'8 settembre 1943 tra il Regno d'Italia e le forze anglo-americane. Dopo quell'episodio il re Vittorio Emanuele III fuggì a Brindisi con la famiglia, lasciando l'esercito alla sbando. L'Italia fu così rapidamente invasa dai tedeschi, trasformandosi in un immenso teatro di guerra. Tutte le stragi del '44 perpetrate a danno dei civili inermi non furono estemporanee, bensì frutto di una sistematica premeditazione.
Nel 2004 a La Spezia è stato celebrato un processo per i crimini di guerra di Sant'Anna di Stazzema, che ha dichiarato colpevoli gli ufficiali responsabili dell'eccidio, tutti ultraottantenni.

domenica 3 agosto 2014

LA FRANCIA LETTERARIA

"La Francia è il paese letterario per eccellenza. Credo sia l'unico paese in cui la gente si interessa di problemi letterari. Non si tratta di una questione di cenacoli o di una divergenza di scuole. Può darsi che si debba al senso storico dei francesi, all'atteggiamento di vedere ogni cosa in funzione della storia, il che non succede altrove".

                                                                  Jorge Luis Borges

 

giovedì 31 luglio 2014

NAPOLETANI AI VERTICI

Dopo Giorgio Napolitano - presidente della Repubblica - e Ignazio Visco - attuale governatore della Banca d'Italia, ancora un napoletano raggiunge i vertici delle carriere statali ed amministrative. Si tratta di Giuseppe Tesauro, divenuto presidente della Corte Costituzionale lo scorso 30 luglio 2014.

ANTOINE DE SAINT-EXUPERY, LETTERA-TESTAMENTO

Il 31 luglio 1944, a soli 44 anni, moriva lo scrittore ed aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry. Poche ore prima della sua scomparsa, egli lasciava la sua ultima, lucidissima lettera, specchio dei tempi nei quali viviamo.

"Ho compiuto ora un volo sul P.38. E' un bell' apparecchio. Sarei stato felice di riceverlo in dono per i miei vent' anni. Oggi, riconosco con malin­conia che a quarantatre anni, dopo 6.500 ore di volo sotto tutti i cieli del mondo, non so più pro­vare molto piacere in questo gioco.
E' solo, ormai, uno strumento di spo­stamento, e in questo caso, di guerra. Se mi sottopongo alla velocità e alle alte quote ad una età patriarcale per questo me­stiere, è più per adeguarmi alle maledizioni della mia gene­razione che non alla speranza di ritrovare le soddisfazioni di un tempo. Forse è un pensiero malinconico, o forse no. Sbagliavo certo quando avevo vent' anni. Nell'autunno del 1940, di ritorno dall'Africa settentrionale dove ero emigrato col gruppo 2/33, riposta in qualche polverosa rimessa la mia macchina esangue, venni a scoprire il bi­roccino e il cavallo. E con essi l'erba dei sentieri, le greggi e gli oliveti. Quegli oliveti avevano un al­tro compito che quello di battere il tempo dietro i vetri a 130 chilometri all'ora. Si mostravano nel loro ritmo vero, che consiste nel fabbricare lenta­mente le olive. Le pecore non avevano per fine esclusivo di abbassare la media. Ridiventavano vi­ve. Facevano pallottole di sterco genuino e fabbri­cavano lana genuina. Ed anche l'erba aveva un senso, poiché la brucavano.
Mi sono sentito rinascere in quell'angolo unico al mondo dove la polvere è profumata (sono in­giusto, lo è in Grecia come in Provenza). E ho avuto l'impressione di essere stato, tutta la vita, un imbecille.
Tutto questo per spiegarle che questa esi­stenza da gregario nel pieno di una base ameri­cana, l'an­dirivieni tra i monoposto da 600 CV, i pa­sti in piedi, frettolosi, in una costruzione isolata dove ci si ammucchia in tre per camera, questo terribile deserto umano insomma, non ha nulla che mi ac­carezzi il cuore.
Lo so. Come le missioni senza profitto né spe­ranze di ritorno del giugno del 1940, anche questa è una malattia da superare. Io sono ammalato per un tempo sconosciuto. Ma non mi riconosco il di­ritto di non subire questa malattia. Ecco tutto. Oggi sono profondamente triste e in profondità. Sono triste per la mia generazione, che è vuota di qualunque sostanza umana; che non avendo cono­sciuto altra forma spirituale di vita oltre il bar, la matematica e le Bugatti, si trova ora impegnata in una azione strettamente gregaria, senza più colore alcuno.
Prendiamo il fenomeno militare di cent'anni fa. Quanti sforzi compiva per dare una risposta alla vita spirituale, poetica o semplicemente umana dell'uomo. Oggi essiccati come siamo più che mattoni, sorridiamo di tali scempiaggini. Costumi, bandiere, canti, musiche, vittorie. Non ci sono più vittorie al giorno d'oggi, nulla che abbia la densità pratica di una Austerlitz. Non vi sono che feno­meni di lenta o rapida digestione. Ogni lirismo suona ridicolo, e gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una vita spirituale qualsiasi. Compiono onestamente una specie di lavoro a catena. Come dice la gioventù americana: noi accettiamo questo job ingrato onestamente, e la propaganda nel mondo intero si batte i fianchi con disperazione. La sua malattia non proviene da assenza di doti particolari, bensì dal divieto di appoggiarsi, sotto pena di apparire pomposa, sui grandi miti refrige­ranti. Dalla tragedia greca l'umanità è precipitata fino al teatro di Louis Verneuil. Secolo della pub­blicità del sistema Bedau, dei regimi totalitari e degli eserciti senza bandiere, né trombe né messe in suffragio dei loro morti. Odio la mia epoca con tutte le mie forze. L'uomo vi muore di sete. Ah generale, c' è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qual­cosa che rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata quest'epoca di "mestiere necessario e ingrato", non potrei più tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di pa­ro­le incrociate, mi creda. Non più. Non si può vi­vere senza poesia, senza colore né amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV secolo per mi­surare la china percorsa. Nulla resta, se non la vo­ce della propaganda. Due miliardi di uomini sen­tono il robot, capiscono solo il robot, diventano robot. Tutti gli sconquassi degli ultimi anni non hanno che due fonti: i guasti del sistema econo­mico del XIX secolo e la disperazione spirituale.
C'è un problema, uno solo: tornare a scoprire che esiste una vita dello spirito più alta ancora di quella dell'intelligenza, l'unica in grado di soddi­sfare l' uomo. Questo supera il problema della vita religiosa, che ne è solamente una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere "unico" è concepito al di sopra dei materiali che lo compon­gono. L'amore per la casa è già vita dello spirito. E la festa del villaggio, e il culto dei morti...
Ah! che strana sera questa, che strano clima. Dalla mia camera vedo accendersi le finestre di questa costruzione senza volto. Sento le diverse stazioni radio sciorinare la loro musica balorda a questa folla di sfaccendati venuti d'oltremare e che non conoscono la nostalgia. Può accadere di scam­biare questa accettazione rassegnata per spirito di sacrificio o grandezza morale. Che errore! I le­gami d'amore che stringono l'uomo d'oggi agli esseri come alle cose, sono così poco tesi, così poco solidi, che l'uomo non avverte più l'assenza come una volta. E' la parola terribile di quella sto­riella ebrea: "Te ne vai dunque laggiù? come sarai lontano!" "Lontano da dove?" Il dove che hanno lasciato non era altro che un fascio di abi­tudini. In quest'epoca di divorzio, si divorzia con la stessa facilità dalle cose. I frigoriferi sono inter­cambiabili. E le case pure. E la propria donna? E la religione? E il partito? E' ormai impossibile es­sere infedeli: a che cosa si potrebbe essere infede­li? Lontani da dove e infedeli a che cosa? Deserto dell' uomo".

                                                                   Antoine de Saint-Exupery

venerdì 18 luglio 2014

IRANIANE SENZA VELO

Qualche mese fa la giornalista iraniana Masih Alinejad, residente a Londra, ha creato la pagina facebook “My Stealthy Freedom” (La Mia Libertà Clandestina), dove incoraggia le sue compatriote a mostrarsi senza hijab, il velo tradizionale e obbligatorio che copre la testa e i capelli, usato da donne iraniane come simbolo di modestia quando sono in pubblico o in presenza di uomini che non sono membri della loro famiglia.  Per rappresaglia il governo iraniano ha mandato in onda un servizio in cui racconta che la giornalista, sotto l'effetto di droghe, si sarebbe spogliata in pubblico finendo per essere poi violentata da tre uomini sotto gli occhi di suo figlio diciassettenne. Alinejad ha denunciato al giornale statunitense “The Washington Post” il tentativo di diffamazione cui è stata sottoposta. Ma la campagna denigratoria non si è fermata qui e su facebook sono volati epiteti pesanti da parte di soggetti di area conservatrice. Sulla rivista statunitense "Time" Alinejad scrive: «Decidere come vestirti è una forma di libertà di espressione. E questo è un lusso che non esiste in Iran. Ma le “donne clandestine” volevano mostrare una faccia diversa dell’Iran che è spesso ignorata dalla media controllata dallo Stato e dai media occidentali».  Dopo le denuncie e le minacce la pagina fecabook "La mia libertà clandestina" è divenuta ancora più popolare. Intanto Alinejad citerà in giudizio per danni la televisione di Stato iraniana. La giornalista è appoggiata da centinaia di giornalisti che hanno sottoscritto una petizione a di un’azione legale da parte di Alinejad.  

REPORTAGES 16 E' IN EDICOLA. LO SFOGLIABILE DEMO


martedì 15 luglio 2014

DA "LA FRAGILITA' DEL BENE" DI MARTHA NUSSBAUMM. LA BUONA DELIBERAZIONE

La "Fragilità del bene", corposo volume che ha reso nota a livello planetario la filosofa statunitense Martha Craven Nussbaumm, analizza "fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca". Attraverso esempi tratti dall'una e dell'altra, la Nussbaumm, docente di Etica e Diritto all'Università di Chicago, sostiene che non è la ragione autosufficiente a porre al riparo dagli eventi esterni, dalla catastrofe e dai rovesci della fortuna, bensì è il riconoscimento della vulnerabilità umana -  impulsi, passioni e quant'altro - a garantire la piena realizzazione dell'essere umano. Il discorso esce spesso dall'antichistica e trova numerosi agganci nel dibattito etico e politico contemporaneo.
Leggere quest'opera è un'esperienza notevole. La Nussbaumm è pubblicata in Italia dalla casa editrice Il Mulino.
A pagina 175 del volume, l'indovino Tiresia suggerisce a Creonte quali sono i mezzi per una buona deliberazione. La Nussbaumm accetta il giudizio hegeliano secondo cui Creonte ed Antigone sarebbero due figure con difetti similari: il primo rifiuta la famiglia in nome della città, la seconda rifiuta la città in nome del valore della famiglia. In entrambi si compie quindi un processo di estrema semplificazione del conflitto, anche se, rimarca Nussbaumm, Hegel "commette un errore nel non sottolineare che la scelta di Antigone è chiaramente superiore a quella di Creonte" (la famosa sepoltura data al fratello Polinice, traditore della sua città Ndr).
E veniamo dunque a quanto scrive la Nussbaumm:
"Tiresia sostiene che la buona deliberazione è connessa con il "cedere" (eike, v. 1028), con l'essere flessibili (v. 1027). Questi consigli riprendono quelli dati in precedenza da Emone al padre. Criticando l'omnia deinon di Creonte, la sua dedizione ad un unico ethos, o a un unico principio (vv. 690, 705), la sua ostinazione nel considerare corretta soltanto tale esclusività (v. 706. cfr. 685), Emone chiede un comportamento diverso. Per evitare il vuoto interiore della sua condizione (v. 709), Creonte dovrebbe imparare a non forzarsi troppo (v. 711). L'indovino cita due esempi tratti dal mondo della natura. Sulle rive dei rapidi torrenti gli alberi che si piegano salvano i loro rami, mentre quelli che rimangono rigidi vengono sradicati e distrutti (vv. 712-714). Un timoniere che guida la sua nave diritta contro il vento con tutte le vele tese farà naufragio; ma quello che asseconda i venti e le correnti si salva (vv. 715-717). Sia Emone che Tiresia, quindi, stabiliscono una connessione tra imparare e cedere, tra saggezza pratica e flessibilità".

lunedì 14 luglio 2014

BICENTENARIO DELL'ARMA DEI CARABINIERI (1814-2014)

L'Arma dei Carabinieri nacque il 13 luglio 1814 a Torino, che ha ospitato una serie di iniziative per ricordare l'evento. Luoghi delle parate e dei concerti dell'Arma sono stati Parco del Valentino, via Po, piazza San Carlo. Re Vittorio Emanuele I di Savoia, subito dopo la caduta di Napoleone, istituì lo storico corpo militare, il Carabiniere Reale. Torino ha deciso di concedere la cittadinanza onoraria all'Arma dei Carabinieri, orgoglio italiano nel mondo. Nella due giorni di festeggiamenti (13-14 luglio) sulla Mole è stato proiettato il logo del bicentenario. Presenti alle cerimonie il Comandante generale, Leonardo Gallitelli, il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino, Piero Fassino.
Il motto dell'Arma è "Nei secoli fedele".



Foto di Alessandro di Marco per Ansa

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