martedì 25 novembre 2014

L'UOMO CHE SALVO' LA GIOCONDA

La Stampa, martedì 25 novembre 2014
 
Il 25 agosto 1939, sei giorni prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, un eroe dimenticato che si chiamava Jacques Jaujard fece appendere un cartello all’ingresso del Louvre, avvisando i visitatori che il museo sarebbe rimasto chiuso per alcuni giorni a causa di lavori urgenti. Subito dopo avere sbarrato i portoni, decine di uscieri, guide, impiegati, e professori e studenti dell’Accademia diedero inizio in segreto alla più grande operazione di salvataggio dei maggiori capolavori dell’arte, minacciati dal sicuro arrivo dei nazisti e dalle bombe che presto sarebbero cadute su Parigi. In pochi giorni, 3.690 dipinti furono staccati dai muri e imballati in 1.862 casse bianche. Le statue vennero imbottiture prima di essere caricate sui camion. Dal Louvre partirono 203 veicoli, in 37 convogli diretti verso i castelli della Loira o anonimi paesi di campagna, lontani dagli obiettivi di Hitler.

Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi. 
Vittorio Sabadin

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