Questo l'amaro sfogo di un lettore napoletano a "Il Giornale"
Ci risiamo con l’eterna emergenza, diventata eterna vergogna dei napoletani. Più che al ciclo dei rifiuti, qui siamo al ciclo del rifiuto: un ostinato chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità. Che, va detto, sono soprattutto nostre, di noi napoletani. Il ciclo qui è perverso: le autorità locali dormono, la «monnezza » si accumula nelle nostre strade, lo Stato interviene a risolvere l’emergenza, costretto dalla situazione a rimedi tampone. E allora scattano le proteste, quasi sempre incivili, e i piagnistei contro lo Stato stesso, mica contro chi ha lasciato che si accumulassero quelle montagne di spazzatura. E ieri, non contenti di esser tornati nei titoli dei tg come città della spazzatura e delle proteste, ci abbiamo aggiunto pure le aggressioni agli inglesi. Ma dov’è finito il nostro orgoglio? Non appena entrato nel taxi, il milanese dottor Cazzaniga (film Così parlò Bellavista) deve sorbirsi tutta la poesia Pianefforte 'e notte, declamata con enfasi dal conducente. Salvatore Di Giacomo è il primo a essere tirato fuori, quando i napoletani vogliono farsi vanto dei propri personaggi illustri. Subito dopo si passa a Giambattista Vico, Benedetto Croce, Eduardo De Filippo, e tutte quelle figure storiche e artistiche che hanno dato lustro alla città. Fieri del nostro passato mostriamo la Reggia di Capodimonte, il teatro San Carlo, il Maschio Angioino eccetera e ricordiamo i primati borbonici, che in verità non furono pochi: prima ferrovia d'Italia, primo orto botanico, prima illuminazione a gas di città, prima città per numero di conservatori e teatri, prima flotta mercantile e militare eccetera . Primati che fecero di Napoli la terza città d'Europa. E sta bene. Ma per quanto tempo vorremo campare su questo glorioso passato? Per quanto adagiarci sugli allori? E poi, se vogliamo proprio dirla tutta la verità, anche nei secoli di maggior splendore artistico e culturale (700 e 800) Napoli si mostrava una città semibarbara, colpa soprattutto della plebe, «molto più plebe delle altre» come scrisse Montesquieu. Questa plebe, a Napoli, non è mai scomparsa. Siamo forse l'unica città al mondo dove sopravvive una classe sociale presente a Babilonia, Alessandria o Roma antica. Solo che a quei tempi essa non contava niente, e oggi la fa da padrona (viaggia perfino in Mercedes). La plebe - per dirla con Domenico Rea - ha stravinto. Si è sostituita alla borghesia e ha finito per inghiottirla. Oggi è lei a fare la storia della città. Ed è questa plebe, sono questi lazzaroni eterni che ci stanno facendo mettere lo scuorno (vergogna) in faccia, dando la caccia ai tifosi inglesi, spaccando le vetrine dei negozi, bruciando la bandiera tricolore. Oggi un napoletano intellettualmente onesto, alieno da preconcetti ed obiettivo non può che vergognarsi di appartenere a un popolo che sta dando lezioni d'inciviltà all'Italia e al mondo. Un popolo incapace perfino di individuare il suo Nemico (come sapeva fare un tempo, quando si oppose allo Spagnolo e al Tedesco): Nemico che non sono le forze di polizia (contro cui i dimostranti di Terzigno hanno dato vita a una specie di intifada) o lo Stato, ma la camorra (i rifiuti si accumulano perché la malavita organizzata impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli eccetera) e una sciagurata amministrazione politica locale. Già, l'amministrazione politica locale. Sono quindici anni che a Napoli e provincia c'è l'«emergenza rifiuti ». Come dice Gian Antonio Stella, questo periodo bastò ad Alessandro Magno per conquistare il mondo. Ebbene, da allora Bassolino e poi Iervolino sono stati capaci solo di produrre demagogia, chiacchiere e propaganda. Di recente Berlusconi ha dichiarato: «La colpa di questo ritorno dell'emergenza rifiuti ha un solo nome: Rosa Russo Iervolino ». La quale, qualche anno fa ha dichiarato: «L'emergenza rifiuti è chiusa». Non ci fosse stato l'intervento del premier del Popolo delle libertà, i sacchetti avrebbero superato l'altezza del grattacielo di via Medina. Ma Napoli, invece di prendersela con chi la sta mandando in rovina, se la prende con i tutori della Legge, e scandisce slogan antiberlusconiani. Quale tragico errore e quale insensatezza. Nel frattempo gli intellettuali tacciono (com'è naturale, quando si è stati foraggiati, per anni, dal potere) o levano una voce flebile flebile, tanto per dimostrare che hanno corde vocali. Non agli inglesi dovremmo dare la caccia, ma a quanti stanno affossando Napoli.
Le reazioni a questa lettera sono su
http://www.ilgiornale.it/interni/che_lezioni_dincivilta_ora_mia_terra_mi_fa_solo_vergognare/22-10-2010/articolo-id=481937-page=0-comments=2#1
Ci risiamo con l’eterna emergenza, diventata eterna vergogna dei napoletani. Più che al ciclo dei rifiuti, qui siamo al ciclo del rifiuto: un ostinato chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità. Che, va detto, sono soprattutto nostre, di noi napoletani. Il ciclo qui è perverso: le autorità locali dormono, la «monnezza » si accumula nelle nostre strade, lo Stato interviene a risolvere l’emergenza, costretto dalla situazione a rimedi tampone. E allora scattano le proteste, quasi sempre incivili, e i piagnistei contro lo Stato stesso, mica contro chi ha lasciato che si accumulassero quelle montagne di spazzatura. E ieri, non contenti di esser tornati nei titoli dei tg come città della spazzatura e delle proteste, ci abbiamo aggiunto pure le aggressioni agli inglesi. Ma dov’è finito il nostro orgoglio? Non appena entrato nel taxi, il milanese dottor Cazzaniga (film Così parlò Bellavista) deve sorbirsi tutta la poesia Pianefforte 'e notte, declamata con enfasi dal conducente. Salvatore Di Giacomo è il primo a essere tirato fuori, quando i napoletani vogliono farsi vanto dei propri personaggi illustri. Subito dopo si passa a Giambattista Vico, Benedetto Croce, Eduardo De Filippo, e tutte quelle figure storiche e artistiche che hanno dato lustro alla città. Fieri del nostro passato mostriamo la Reggia di Capodimonte, il teatro San Carlo, il Maschio Angioino eccetera e ricordiamo i primati borbonici, che in verità non furono pochi: prima ferrovia d'Italia, primo orto botanico, prima illuminazione a gas di città, prima città per numero di conservatori e teatri, prima flotta mercantile e militare eccetera . Primati che fecero di Napoli la terza città d'Europa. E sta bene. Ma per quanto tempo vorremo campare su questo glorioso passato? Per quanto adagiarci sugli allori? E poi, se vogliamo proprio dirla tutta la verità, anche nei secoli di maggior splendore artistico e culturale (700 e 800) Napoli si mostrava una città semibarbara, colpa soprattutto della plebe, «molto più plebe delle altre» come scrisse Montesquieu. Questa plebe, a Napoli, non è mai scomparsa. Siamo forse l'unica città al mondo dove sopravvive una classe sociale presente a Babilonia, Alessandria o Roma antica. Solo che a quei tempi essa non contava niente, e oggi la fa da padrona (viaggia perfino in Mercedes). La plebe - per dirla con Domenico Rea - ha stravinto. Si è sostituita alla borghesia e ha finito per inghiottirla. Oggi è lei a fare la storia della città. Ed è questa plebe, sono questi lazzaroni eterni che ci stanno facendo mettere lo scuorno (vergogna) in faccia, dando la caccia ai tifosi inglesi, spaccando le vetrine dei negozi, bruciando la bandiera tricolore. Oggi un napoletano intellettualmente onesto, alieno da preconcetti ed obiettivo non può che vergognarsi di appartenere a un popolo che sta dando lezioni d'inciviltà all'Italia e al mondo. Un popolo incapace perfino di individuare il suo Nemico (come sapeva fare un tempo, quando si oppose allo Spagnolo e al Tedesco): Nemico che non sono le forze di polizia (contro cui i dimostranti di Terzigno hanno dato vita a una specie di intifada) o lo Stato, ma la camorra (i rifiuti si accumulano perché la malavita organizzata impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli eccetera) e una sciagurata amministrazione politica locale. Già, l'amministrazione politica locale. Sono quindici anni che a Napoli e provincia c'è l'«emergenza rifiuti ». Come dice Gian Antonio Stella, questo periodo bastò ad Alessandro Magno per conquistare il mondo. Ebbene, da allora Bassolino e poi Iervolino sono stati capaci solo di produrre demagogia, chiacchiere e propaganda. Di recente Berlusconi ha dichiarato: «La colpa di questo ritorno dell'emergenza rifiuti ha un solo nome: Rosa Russo Iervolino ». La quale, qualche anno fa ha dichiarato: «L'emergenza rifiuti è chiusa». Non ci fosse stato l'intervento del premier del Popolo delle libertà, i sacchetti avrebbero superato l'altezza del grattacielo di via Medina. Ma Napoli, invece di prendersela con chi la sta mandando in rovina, se la prende con i tutori della Legge, e scandisce slogan antiberlusconiani. Quale tragico errore e quale insensatezza. Nel frattempo gli intellettuali tacciono (com'è naturale, quando si è stati foraggiati, per anni, dal potere) o levano una voce flebile flebile, tanto per dimostrare che hanno corde vocali. Non agli inglesi dovremmo dare la caccia, ma a quanti stanno affossando Napoli.
Le reazioni a questa lettera sono su
http://www.ilgiornale.it/interni/che_lezioni_dincivilta_ora_mia_terra_mi_fa_solo_vergognare/22-10-2010/articolo-id=481937-page=0-comments=2#1
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