martedì 8 marzo 2011

MASOCH ITALY


Dopo Gucci, anche Bulgari avrà l’accento sulla i. L’hanno acquistata i francesi, nonostante la gioielleria italiana più conosciuta al mondo abbia cercato fino all’ultimo di fondersi con qualche altro marchio del made in Italy per «fare squadra». Invano, perché la maggioranza dei nostri imprenditori coltiva una visione degli affari arcaica e meschina. E preferisce regnare sul proprio orticello che condividere il controllo di una foresta. Sul giornale di domenica Mario Calabresi denunciava la nostra inadeguatezza - pratica, ma prima ancora mentale - nell’accogliere il turismo di massa cinese. Anziché per accapigliarci fra borbonici e garibaldini, l’imminente festa nazionale andrebbe utilizzata per discutere di qualcosa che sembra interessarci assai meno: il futuro. Chiederci che Italia vogliamo essere. E, soprattutto, se vogliamo essere l’Italia che gli stranieri immaginano che noi siamo.

La situazione rasenta l’assurdo. Il mondo vagheggia lo stile italiano e ci dipinge come la culla dei piaceri raffinati: sole, paesaggi, storia, cibo, vino, arte, moda, relax. Ma noi, oltre a vivere male e ad abbrutirci davanti alla tv o dietro qualche pacchiano bunga bunga, siamo nelle fauci di una classe dirigente arruffona e arraffona, incapace di avere un’idea dell’Italia e di disegnare un progetto per i prossimi vent’anni che risponda alle richieste del mercato, cioè dei giovani asiatici e dei sempre più numerosi anziani d’Occidente interessati al nostro vero talento: fabbricare qualità della vita. Un talento difficile da imitare ma, lo si è appena visto, facile da comprare.
MASSIMO GRAMELLINI

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