"Giovani come diamanti: accanto al diritto di brillare, c’è il dovere personale di raffinarsi e coltivarsi, togliendo con impegno tutte le scorie dello spontaneismo, dell’improvvisazione, dell’irresponsabilità, del vandalismo."
ALESSANDRA GRAZIOTTIN
Come si può brillare, se non si tolgono chili di scorie, fatte di impreparazione e ignoranza? Che cosa fanno gli oltre due milioni di giovani italiani che, secondo l’ISTAT hanno compiuto l’iter scolastico con diploma o laurea, e non lavorano, non studiano, non fanno apprendistato? Aspettano che il diritto al lavoro si concretizzi, forse per magia? Certo, i tempi sono duri. Il mercato del lavoro è una palude; il vedere come in Italia essere raccomandati sia all’inizio più importante del merito è frustrante e insultante: lo so per vita. Ma ho visto che la preparazione vince. Ecco perché se i tempi sono duri, e il contesto italiano è poco meritocratico, è indispensabile puntare sul dovere di prepararsi al meglio, fin da piccoli. Scriveva Antonio Gramsci, nei tempi difficili del fascismo: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Se vogliamo cambiare le cose, se vogliamo distillare il meglio delle moltissime risorse di questo privilegiato e noncurante Paese, dobbiamo puntare sull’importanza essenziale del principio dei doveri dei giovani e non solo sull’enfatizzazione dei loro diritti. La preparazione, anche alla vita e al lavoro, non si improvvisa. Non si può ciondolare per tutta l’adolescenza, cercare la sufficienza strappata con la complice connivenza di genitori a priori sempre dalla parte dei figli, e pensare che improvvisamente si troverà un magnifico lavoro, solo perché si ha un (deprezzato) pezzo di carta in mano, diploma o laurea che sia. Queste sono illusioni pericolose, che poi alimentano violenza, degrado e distruttività, verso di sé o verso gli altri, e fanno crescere il numero di disoccupati inoccupabili. Basta poco per accorgersi che mancano alcuni fondamentali: la capacità di programmarsi per un compito, di organizzare un lavoro, di pensare in modo costruttivo e orientato all’obiettivo; la capacità di concentrarsi su un discorso o una mansione per più di cinque minuti. E manca spesso quel tocco di educazione per rivolgersi agli altri con garbo e gentilezza (qualità essenziali in ogni rapporto con il pubblico). Se poi il lavoro richiede un minimo di cultura, apriti cielo. L’italiano? Un disastro, anche sui fondamentali (grammatica, sintassi e perfino punteggiatura). Sull’inglese o altre lingue straniere, stendiamo un pio velo. Senza calcolatrice, troppi giovani non sanno più fare nemmeno le addizioni a due cifre. Della cultura generale, nebbia totale. Con qualche eccezione.
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www.alessandragraziottin.it/articoli.php?ART_TYPE=AQUOT&EW_FATHER=8506
Come si può brillare, se non si tolgono chili di scorie, fatte di impreparazione e ignoranza? Che cosa fanno gli oltre due milioni di giovani italiani che, secondo l’ISTAT hanno compiuto l’iter scolastico con diploma o laurea, e non lavorano, non studiano, non fanno apprendistato? Aspettano che il diritto al lavoro si concretizzi, forse per magia? Certo, i tempi sono duri. Il mercato del lavoro è una palude; il vedere come in Italia essere raccomandati sia all’inizio più importante del merito è frustrante e insultante: lo so per vita. Ma ho visto che la preparazione vince. Ecco perché se i tempi sono duri, e il contesto italiano è poco meritocratico, è indispensabile puntare sul dovere di prepararsi al meglio, fin da piccoli. Scriveva Antonio Gramsci, nei tempi difficili del fascismo: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Se vogliamo cambiare le cose, se vogliamo distillare il meglio delle moltissime risorse di questo privilegiato e noncurante Paese, dobbiamo puntare sull’importanza essenziale del principio dei doveri dei giovani e non solo sull’enfatizzazione dei loro diritti. La preparazione, anche alla vita e al lavoro, non si improvvisa. Non si può ciondolare per tutta l’adolescenza, cercare la sufficienza strappata con la complice connivenza di genitori a priori sempre dalla parte dei figli, e pensare che improvvisamente si troverà un magnifico lavoro, solo perché si ha un (deprezzato) pezzo di carta in mano, diploma o laurea che sia. Queste sono illusioni pericolose, che poi alimentano violenza, degrado e distruttività, verso di sé o verso gli altri, e fanno crescere il numero di disoccupati inoccupabili. Basta poco per accorgersi che mancano alcuni fondamentali: la capacità di programmarsi per un compito, di organizzare un lavoro, di pensare in modo costruttivo e orientato all’obiettivo; la capacità di concentrarsi su un discorso o una mansione per più di cinque minuti. E manca spesso quel tocco di educazione per rivolgersi agli altri con garbo e gentilezza (qualità essenziali in ogni rapporto con il pubblico). Se poi il lavoro richiede un minimo di cultura, apriti cielo. L’italiano? Un disastro, anche sui fondamentali (grammatica, sintassi e perfino punteggiatura). Sull’inglese o altre lingue straniere, stendiamo un pio velo. Senza calcolatrice, troppi giovani non sanno più fare nemmeno le addizioni a due cifre. Della cultura generale, nebbia totale. Con qualche eccezione.
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