Non capitava da secoli. Si è parlato molto, in questi giorni, di Ipazia: filosofa e matematica, nonché donna attiva in politica nell'Egitto del IV secolo dopo Cristo - provincia romana che, prima dell'Impero, era stata non a caso governata da una donna, Cleopatra. La memoria di Ipazia è da sempre parte integrante del «pantheon» femminista, ma stavolta il motivo scatenante è un film: Agorà, fuori concorso a Cannes 2009, solo ora sugli schermi italiani. E se da un lato il dibattito filosofico e scientifico ferve, dall'altro l'uscita del film è accompagnata da un assordante silenzio della Chiesa, che ha deciso di boicottare Agorà sui suoi mezzi di comunicazione. Bisogna capirli, poveretti: hanno già troppi problemi, di questi tempi, per commentare un film che per altro racconta un'incontrovertibile verità storica. Ipazia, «pagana» non convertita, fu uccisa dai parabolani, la guardia armata del vescovo Cirillo. Costui, poi fatto santo e tutt'ora venerato come tale, era uno spietato uomo di potere i cui sgherri ammazzavano allegramente tutti coloro che rifiutavano di adeguarsi ai nuovi costumi. Nel film, i parabolani ricordano i talebani, e possiamo capire che per la Chiesa avere simili criminali fra i propri «padri» sia fonte d'imbarazzo.
ORBITE ELLITTICHE
Il film di Alejandro Amenabar (The Others, Il mare dentro) è molto bello. È un raro esempio di film spettacolare e speculativo al tempo stesso. Non date retta a chi lo liquida come un prodotto hollywoodiano: non lo è. Ipazia è interpretata dall'inglese Rachel Weisz, figlia di genitori austro-ungheresi, e la produzione è quasi totalmente spagnola. Negli Usa, per la cronaca, non è nemmeno uscito. Lavorando sulle immagini ricorrenti del cerchio e dell'ellissi (Ipazia potrebbe aver intuito, qualche secolo prima di Keplero, le orbite ellittiche dei pianeti), Amenabar realizza una «falsa biografia» di un'eroina sulla cui vita ben poco sappiamo. Più che di Ipazia, Agorà parla di un'epoca in cui le religioni si combattono con violenza per assicurarsi il dominio sulle menti dei semplici. Ipazia non era una donna semplice. Vedere il film significa aiutarla, ancora oggi, nella sua lotta per la ragione.
Alberto Crespi - L'Unità, 23 aprile 2010
3 commenti:
1. il boicottaggio del film, anche se ci fosse da parte dei "pontentissimi" mezzi di comunicazione cattolici non sarà certo un problema per il film, visto che questi "potenti mezzi" non riescono quasi mai a far arrivare i messaggi alla gente del proprio punto di vista, autentico e senza filtri e non viziato.
2. Bisogna capirli, poveretti: hanno già troppi problemi, di questi tempi, : non abbiamo bisogno di essere commiserati, grazie. Ci basta lo Spirito Santo che vivifica la Chiesa e la rinnoverà certamente di questi peccati commessi nel suo interno, come come auspica il nostro amato Papa Benedetto XVI nel viaggio di questi giorni in Portogallo «la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». Più chiaro di così!
3. La vicenda i Ipazia, le rivalità e le forti tensioni di quel periodo non è taciuta neanche dal sito quasi-ufficale di SantiBeati.it relativa a San Cirillo.
4. Il coinvolgimento diretto di S. Cirillo, per quanto possibile e plausibile, non è dimostrato in modo certo dai documenti storici in nostro possesso.
5. Si vuole con questi film mettere sullo stesso piano le persecuzioni ai pagani (eventi pur storici, ma sporadici e legati a singoli episodi e momenti particolari) facendo vedere che anche i cristiani sono i "cattivi" che perseguitano alla pari di tutti gli altri: peccato che portare un solo caso, pur eclatante come quello di Ipazia, non cambia la realtà storica: che cioè la persecuzione che i cristiani hanno subito (e continuano a subire oggi a subire nel silezio e nell'indifferenza generale) è ben altra cosa da alcuni eventi sporadici di intolleranza perpetuate da gruppi cristiani.
6. I documenti storici vanno analizzati in profondità e presi nella loro globalità. Dalla voce Ipazia di Wikipedia che mi pare ben fornita di fonti, si legge che lo stesso Socrate Scolastico che non è certo tenero con San Cirillo, dopo aver descritto i fatti, tiene a precisare che «Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo» attestando che eventi non erano certo sistematici: la "persecuzione" è tale solo quanto c'è una attività organizzata, sistematica e continuata. Quindi non si tratta di "persecuzioni" ma di eventi, pur gravi, di intolleranza.
7. Bisognerebbe ricordare che la santità (S. Cirillo è anche dottore della Chiesa per l' Occidentale)
non significa e non ha mai significato essere privi di peccati: ogni santo è tale in relazione ad alcune virtù cristiane vissute con particolare intensità: nella venerazione al Santo vengono celebrate queste virtù e non tutta la sua vita. Nel caso di S. Cirillo in particolare si ricorda la difesa della Maternità Divina di Maria in opposizione ai Nestoriani, e la difesa della unità della persona di Cristo (unione ipostatica e incarnazione).
8. Questo "prurito" per i santi così detti "controversi", che tanto piace a un certa cultura laica, è dovuto al fatto che ci si aspetta, per qualche strana ragione, che tutti i santi debbano essere una specie di S. Francesco o di Padre Pio: non è sempre così e non mai stato così. Questa falsa aspettativa della figura del santo è frutto di ignoranza e di pregiudizio. La Santità è un'altra cosa: e questo può non piacere; anche per questo motivo il culto dei Santi è affidato alla libertà del singolo e non obbliga in alcun modo il fedele a questo culto o alla sua venerazione.
Grazie Fab del tuo intervento, sempre mirato e colmo di sapienza.
Effettivamente la Chiesa non ha nulla da temere, visto che questa recensione l'ho trovata proprio in un cinema gestito dagli Oblati di San Giuseppe la sera che sono andata a vedere il film (molto ben fatto e con un ritmo sempre ben sostenuto nell'arco di circa tre ore).
Se hai un blog o altro spazio mi farebbe piacere seguirti.
Ma dietro Oreste c’era Ipazia. Che non era soltanto l’ultima grande filosofa e scienziata antica, dedita alla matematica e all’astronomia, alla direzione della più rinomata scuola di studi accademici della sua epoca. Era anche un’intellettuale che faceva un uso pubblico della ragione. Possedeva, come si vede nel film di Amenábar, e si legge nel bel libro di Gemma Beretta (Ipazia d’Alessandria, Editori Riuniti, 1993, purtroppo fuori commercio), la virtù greca della parrhesìa, cioè la capacità di parlare e agire in pubblico, nella sfera pubblica, e in particolare tra i dignitari e i potenti della città, per discuterne le scelte e le decisioni. «Se non è il cristianesimo, qual è il tuo criterio di giudizio», le chiedono malevoli i funzionari imperiali. «La filosofia», risponde Ipazia, ossia la ragione, la libertà e l’autonomia della ragione da ogni credo, dottrina e dogma religioso. La risposta di Ipazia, che precorre quella famosa di Kant alla domanda Che cos’è l’illuminismo?, è di una modernità straordinaria. Non solo infatti la laicità dello Stato, ma il pensare e il vivere civile dipendono dall’autonomia della ragione, di ciascuno e di tutti, e dal suo uso pubblico e critico contro ogni forma di autoritarismo e assolutismo. Il contrario delle ambizioni teocratiche di Cirillo alessandrino, fanatico e violento assertore dell’assolutezza della Verità e del potere clericale, come poi sosterranno tanti futuri papi e vescovi cirillici, fino ai tempi nostri. Se avesse vinto Ipazia, facile e felice profezia, non avremmo avuto il caso Galilei. E nemmeno il caso Darwin. Né Crociate, Inquisizione, guerre di religione e Concordati. La fede sarebbe rimasta una questione privata dei fedeli. Separata dalle loro libere scelte politiche.
Ipazia studiava e ricercava, parlava e agiva «senza vergognarsi di essere donna». Donna che conta, tra uomini che contano. Anzi, a loro superiore per conoscenza e saggezza. Come osava? Cirillo, malato di misoginia come Paolo di Tarso, non poteva che odiarla. La donna? Un essere inferiore e peccaminoso, l’Eva tentatrice, alleata di Satana. Da zittire e sottomettere al maschio, prima e vera immagine di Dio. O da eliminare. Per Cirillo, ad eccezione della Vergine Maria theotòkos, Mater Dei (fu santificato per la formulazione di questo dogma), l’inferiorità della donna è un dato naturale, indiscutibile. Come lo è nella dottrina e nella struttura della Chiesa. Nella teologia femminista circola la “leggenda di S. Bernardo”: «Si racconta che stesse pregando davanti all’altare della Madonna. Improvvisamente Maria apre la bocca e comincia a parlare. “Taci, taci!” grida disperato S. Bernardo, “le donne non possono parlare in chiesa”» (riportato in nota da Beretta, pp. 266-267). Né in chiesa né fuori, in verità. Perciò Ipazia doveva scomparire. «Sia lapidata a morte!», forse disse Cirillo. Certo, fu il mandante morale dell’assassinio. Su cui il regista del film stende un velo di pietà. Inventando Davos, lo schiavo innamorato, e l’epilogo del soffocamento. Altro dicono le fonti: tirata giù dal carro dai parabalani inferociti, fu denudata e scarnificata viva «con i cocci», gli furono cavati gli occhi, poi fu «fatta a pezzi membro a membro», e infine i resti vennero bruciati al Cinerone. Come i preziosi libri della biblioteca alessandrina del Serapeo. Fanatismo religioso, disprezzo del libero pensiero e rogo di libri proibiti, talvolta con i loro autori, sono stati una costante della passata storia della Chiesa. Che, pur messa alle corde dal moderno processo di secolarizzazione, tuttora continua però a ritenersi, come il suo santo Cirillo, depositaria della Verità di Dio.
In un calendario laico, Ipazia sarebbe la prima martire e santa.
http://avocado.ilcannocchiale.it/cannocchiale.aspx
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