domenica 29 agosto 2010

COSA RIMANE DEL SUD


Su “La Stampa” un anziano preside in pensione, nell’editoriale dei lettori, si chiedeva come mai posti bellissimi del Sud Italia, che potrebbero generare turismo e ricchezza, siano completamente abbandonati a sé stessi. Nello specifico, citava il caso di San Leucio di Caserta, che in epoca borbonica fu rinomato per l’arte della seta e per i suoi preziosi broccati. Si stupiva di come quell’archeologia industriale, inserita in un contesto architettonico di rara bellezza, non servisse ad un emerito nulla, visto che invece di richiamare turisti era un vero e proprio deserto. Si lamentava che non ci fosse un percorso guidato, una guida turistica, un dépliant (e suppongo anche eventi di alcun tipo) e che per raccattare notizie si era dovuto rivolgere ad un volenteroso ma semianalfabeta abitante del posto. Si faceva da sé tanti discorsi storici sul se e sul come questo poteva essere o meno frutto di una rapace politica di casa Savoia ai tempi dell’unificazione italiana. Ma forse la risposta il maturo preside se l’era data da sé: “Dappertutto abbandono, trascuratezza, indolenza, che sono caratteristiche tipiche del Sud”. Dall’Ottocento ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti. L’aver cambiato governi non può essere una scusante per tanta arretratezza. La verità è che nessuno ha amore per il posto in cui vive, orizzonti più ampi del proprio orticello, sentimenti diversi dalla rassegnazione. I politici che rubano, la mala che depreda, i boss che costruiscono i propri palazzi su posti diventati un deserto, i giovani costretti ad andarsene a lavorare altrove, la grettezza e la chiusura mentale di chi non sa nemmeno cosa significhi la parola accoglienza e nelle piccole comunità si guarda in cagnesco con il vicino. Altro che turismo.

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