giovedì 26 agosto 2010

RICORDI DI UNA GIORNALISTA


Anni fa, quando ero una giovane squattrinata in cerca di impiego e con un’insana passione per il giornalismo, ebbi l’idea di presentarmi per un colloquio ad una redazione di provincia, sede distaccata di un prestigioso quotidiano nazionale.

Era inverno. Il redattore capo mi disse che potevo andare, capii che mi avrebbe fatto un rapido colloquio e così presi l’automobile, mezz’oretta di viaggio e arrivai.

Le strade erano piene di neve, avevo proceduto adagio ma tutto, avrei fatto tutto pur di realizzare il mio sogno.

Di lì a poco mi ritrovai davanti il redattore capo, con alle sue spalle un’altra eccelsa “penna” della provincia in aspetto dimesso e servile, sguardo basso sulla scrivania, nessuna intromissione nel discorso.

Il redattore capo, che tra l’altro era fratello di un collega che insegnava diritto nella mia scuola, il quale sistematicamente a colazione si faceva comprare il Duplo dagli studenti che confessavano di non poterne più di questa riverenza, evidentemente mancava di signorilità per un fatto di famiglia. Oltre a non farmi accomodare da nessuna parte, oltre ad avermi fatto andare con tutta quella neve per nulla, oltre ad usare un tono sgraziato tutto il tempo, mi tenne lì questi cinque minuti per dire che la redazione non aveva bisogno di altri collaboratori o corrispondenti, che loro “erano arrivati”, che lì si timbrava il cartellino, bla bla bla, così tolsi le tende e me ne andai.

Le vie del Signore sono infinite, e così, di lì a poco, mi ritrovai per il mio lavoro di docente a girarmi i posti più belli e turistici d’Italia, cosa che il redattore capo ed i suoi servili collaboratori non hanno visto in trent’anni di carriera e da uomini “arrivati”.

Non mi ci volle quindi molto per archiviare l’episodio, ma oggi, essendomi capitato di rivedere dall’esterno quella redazione, mi viene da pensare: poverini… Hanno passato la vita a fare gli scribacchini di provincia senza nessuna soddisfazione se non quella di leccare culi ai politici locali.

Non avrei voluto fare la loro vita, neanche se mi avessero pagato a peso d’oro.


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