L’esimio esponente della Scuola di Francoforte aveva ragione. A fare le rivoluzioni non sono i gruppi di individui integrati nel sistema, quelli che stanno sereni da un punto di vista economico, bensì tutti coloro che ne sono fuori. Quelli che non producono beni e servizi e ne hanno compenso dalla società dei consumi e dei mass media – lui all’epoca pensava a giovani, studenti, donne, cioè proprio i soggetti che fecero il ’68 – oppure, come nel caso odierno, quelli che sono stati espulsi dal sistema.
E’ il caso di migliaia di professori, ata e bidelli precari storici, ormai messi fuori gioco da una politica mangia-cattedre, i quali da Palermo a Benevento proprio in questi giorni hanno organizzato scioperi della fame.
Mica sono i ragazzini che puoi far felici se dai loro l’hi-pod, facebook, la chat, messenger ed i messaggini sms. Che a scuola, invece di entusiasmarsi per la bellezza della conoscenza e per le conquiste del sapere umano, ti dicono distrattamente “che palle”, come se tutto li annoiasse e niente fosse degno della loro applicazione. (Per la cronaca proprio ieri, mentre ero seduta su una panchina col mio portatile, due studentelli delle superiori si baciavano a gogo, ed invece di sacralizzare quei momenti d’amore, da parte della ragazzina era tutto un “che palle” di qua e “che palle” di là. E che palle!).
Sarà, ma io sono alquanto scettica. Se a una classe dirigente non gliene frega niente dell’istruzione figuriamoci delle sofferenze fisiche e morali di altri esseri umani che lottano, soffrono e vanno pure all’ospedale (è capitato anche questo) per reclamare il loro sacrosanto diritto al lavoro.
Come si dice: il sazio non crede al digiuno.
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