Lavoravano otto ore al giorno, ferendosi, urlando di dolore, cadendo feriti, perdendoci la vita. Manovali italiani, reclutati dall'impresa che doveva costruire la ferrovia della Jungfrau. Nel centenario della costruzione, li ricorda in un libro di cui è coautore Peter Krebs, evidenziando come i manovali italiani erano rinomati per la loro resistenza fisica ed il loro essere senza pretese. Infatti venivano pagati pochissimo ed alloggiavano in baracche mal riscaldate, al cui interno la temperatura scendeva sotto i 7 gradi. Nel corso di un'ispezione del 1901, racconta Krebs, la società ferroviaria della Jungfrau constatò che "i letti erano in un
pessimo stato e in numero insufficiente: c'erano fino a tre operai che
dovevano condividere un letto". Pessime le condizioni igieniche. Si ebbero lievi miglioramenti subito dopo questa ispezione.
La ferrovia della Jungfrau è la più alta d'Europa. Un capolavoro che toglie il respiro. Al capolinea, la stazione dello Jungfraujoch, situata a 3'454 metri di
altitudine, una targa commemorativa rende omaggio al "padre" di
quest'opera, l'imprenditore zurighese Adolf Guyer-Zeller, mentre tante
persone che permisero la realizzazione della sua idea, invece, sono
finite nell'oblio.
Tra l'800 e il 900 furono in molti ad emigrare dal Veneto e dalla Lombardia in cerca di lavoro in Svizzera. I lavori della Jungfrau sono durati 16 anni (invece dei 7 previsti) per un ammontare complessivo di 16 milioni di franchi.
Nel 1899 ebbe luogo il primo sciopero degli operai, perché la società
Jungfraubahn aveva imposto il riposo domenicale. "Gli operai non ne
volevano sapere perché se non lavoravano non guadagnavano nulla.
Preferivano perciò lavorare la domenica e guadagnare qualcosa perché ne
avevano bisogno", spiega Krebs. La rivendicazione operaia fu rapidamente
soddisfatta.
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