Creò l’Estate Romana facendo uscire la città dagli anni bui
GIANNI RIOTTA
(Estratto da La Stampa) - Che fanno stasera a Massenzio?. A metà degli anni
’70 per una generazione di ragazzi la domanda era parola d’ordine per
chiedere: Andiamo al cinema?, Dove mangiamo?, Chi vediamo?, Come finisce
la nottata?
La grande arena cinematografica all’aperto creata nella capitale alla Basilica di Massenzio era l’evento clou dell’Estate Romana, rassegna culturale ideata dall’assessore Renato Nicolini, scomparso ieri, settanta anni portati col piglio da neolaureato. Un’Italia impaurita dal terrorismo, una Roma abituata ai sabato sera illuminati dai roghi accesi da autonomi e neofascisti, si stupivano a vedere ragazzi, anziani, intellettuali e gente comune che, riparandosi con un plaid sulle ginocchia quando arrivava settembre, seguivano la maratona di una pellicola dopo l’altra. Sereni, tranquilli fino all’alba.
Capolavori e cinema trash, Senso di Visconti e Napoleon di Abel Gance, con i Maciste e Godzilla, i classici di Hollywood e le pellicole amate dai raffinati Cahiers du Cinema di cui tutti parlavano e che nessuno aveva mai davvero visto. Ricciuto, sorridente, in apparenza pigro e indolente, in realtà iperattivo, Nicolini è un architetto che ha visto a Roma il 1968 e poi diventa assessore nella giunta del sindaco storico dell’arte, Giulio Carlo Argan. I due sembrano diversi, Argan docente dell’eroe della Resistenza romana Giorgio Labò, autore del Manuale su cui studiano migliaia di ragazzi, severo, austero. Nicolini casual, informale, “americano”. Invece, prima con Argan e poi con il suo successore, il popolarissimo Luigi Petroselli, Nicolini affascina Roma e il mondo. Dalla Francia il ministro della Cultura Jack Lang studia l’Estate Romana e concede a Nicolini la Legion d’Onore. I giornali americani, Newsweek in testa, si appassionano a “Renatow”.
Il metodo di Nicolini è semplice: la scuola di massa ha creato una generazione acculturata e in cerca di lavoro, i turisti non sono solo più da cartolina del Colosseo ma cercano emozioni vere, il lavoro culturale, così caro al suo partito d’origine il Pci, non può svolgersi solo nelle università e nelle scuole quadri come le vecchie Frattocchie. Il nuovo «intellettuale diffuso», mix tra «cultura alta e cultura bassa» praticato dagli americani, nel jazz e al cinema, può creare anche in Italia incontro, lavoro, festa.
L’Estate Romana – presto imitata ovunque - svuota le case e riempie le piazze. La paura della violenza, la solitudine, lasciano il posto a un circo colorato, che è per molti il primo lavoro: chi stacca i biglietti, chi organizza le rassegne, chi l’ufficio stampa, chi porta a Massenzio teglie di pizza, biscotti fatti in casa, incenso indiano, pullover peruviani e avvia un commercio. Storici locali della Roma di oggi, l’enoteca Cul de Sac a piazza Pasquino, nascono allora, su spinta di pochi ragazzi che smettono di chiedere ai passanti a piazza Navona «Scusa che c’hai 100 lire?».
Nicolini si gode il successo dietro gli occhi scettici, parla della sua famiglia, avrà alla fine cinque figli, chiede suggerimenti, spunti. A Roma arriva il papà del regista Coppola a dirigere l’orchestra per la riedizione del capolavoro Napoleon, arriva Lula, futuro presidente brasiliano ancora sconosciuto sindacalista, e parla in una saletta a meno di dieci persone.
La grande arena cinematografica all’aperto creata nella capitale alla Basilica di Massenzio era l’evento clou dell’Estate Romana, rassegna culturale ideata dall’assessore Renato Nicolini, scomparso ieri, settanta anni portati col piglio da neolaureato. Un’Italia impaurita dal terrorismo, una Roma abituata ai sabato sera illuminati dai roghi accesi da autonomi e neofascisti, si stupivano a vedere ragazzi, anziani, intellettuali e gente comune che, riparandosi con un plaid sulle ginocchia quando arrivava settembre, seguivano la maratona di una pellicola dopo l’altra. Sereni, tranquilli fino all’alba.
Capolavori e cinema trash, Senso di Visconti e Napoleon di Abel Gance, con i Maciste e Godzilla, i classici di Hollywood e le pellicole amate dai raffinati Cahiers du Cinema di cui tutti parlavano e che nessuno aveva mai davvero visto. Ricciuto, sorridente, in apparenza pigro e indolente, in realtà iperattivo, Nicolini è un architetto che ha visto a Roma il 1968 e poi diventa assessore nella giunta del sindaco storico dell’arte, Giulio Carlo Argan. I due sembrano diversi, Argan docente dell’eroe della Resistenza romana Giorgio Labò, autore del Manuale su cui studiano migliaia di ragazzi, severo, austero. Nicolini casual, informale, “americano”. Invece, prima con Argan e poi con il suo successore, il popolarissimo Luigi Petroselli, Nicolini affascina Roma e il mondo. Dalla Francia il ministro della Cultura Jack Lang studia l’Estate Romana e concede a Nicolini la Legion d’Onore. I giornali americani, Newsweek in testa, si appassionano a “Renatow”.
Il metodo di Nicolini è semplice: la scuola di massa ha creato una generazione acculturata e in cerca di lavoro, i turisti non sono solo più da cartolina del Colosseo ma cercano emozioni vere, il lavoro culturale, così caro al suo partito d’origine il Pci, non può svolgersi solo nelle università e nelle scuole quadri come le vecchie Frattocchie. Il nuovo «intellettuale diffuso», mix tra «cultura alta e cultura bassa» praticato dagli americani, nel jazz e al cinema, può creare anche in Italia incontro, lavoro, festa.
L’Estate Romana – presto imitata ovunque - svuota le case e riempie le piazze. La paura della violenza, la solitudine, lasciano il posto a un circo colorato, che è per molti il primo lavoro: chi stacca i biglietti, chi organizza le rassegne, chi l’ufficio stampa, chi porta a Massenzio teglie di pizza, biscotti fatti in casa, incenso indiano, pullover peruviani e avvia un commercio. Storici locali della Roma di oggi, l’enoteca Cul de Sac a piazza Pasquino, nascono allora, su spinta di pochi ragazzi che smettono di chiedere ai passanti a piazza Navona «Scusa che c’hai 100 lire?».
Nicolini si gode il successo dietro gli occhi scettici, parla della sua famiglia, avrà alla fine cinque figli, chiede suggerimenti, spunti. A Roma arriva il papà del regista Coppola a dirigere l’orchestra per la riedizione del capolavoro Napoleon, arriva Lula, futuro presidente brasiliano ancora sconosciuto sindacalista, e parla in una saletta a meno di dieci persone.
Non a tutti piace l’Estate Romana. La destra si preoccupa nel vedere i
suoi ragazzi attratti dalla festa. La sinistra classica detesta l’idea
che cultura non sia più patrimonio di pochi mandarini e accusa Nicolini
di culto dell’“effimero”. Ponderosi elzeviri sconfessano l’Estate
Romana, persuasi che «ben altri siano i problemi…» ma senza mai però dir
quali. Dalla parte dell’assessore i giovani del Pci di D’Alema, il
giornale Città Futura di Nando Adornato, L’Espresso di Zanetti, il
Manifesto dei giovani critici Silvestri, Ciotta, Capitta. Il motto è del
regista Wim Wenders «girare un film di Antonioni col ritmo di
Hitchock», trattare la cultura alta con la passione della bassa. Il
Manifesto bolla come «sabbipodi», dai rigattieri di Guerre Stellari che
raccattano relitti spaziali, i critici della sinistra passatista. Il
regista Nanni Moretti si vendica leggendo disgustato una recensione di
Silvestri in una sua pellicola.
Di tutte le stagioni l’estate è quella che passa più in fretta.
Petroselli muore giovane, stroncato dal troppo lavoro, Nicolini va in
Parlamento, Pci, Pds, Pd, assessore di Bassolino a Napoli, candidato
sindaco nel 1983, ostile all’apertura del McDonald’s a piazza di Spagna.
I tempi sono mutati, la festa è finita, conta il lavoro, il business.
Nicolini torna ad insegnare, scrive dell’Estate romana, si ferma per
strada a sentire i ringraziamenti dei passanti «Assessore ho cominciato a
lavorare con lei… Assessore lei mi ha sposato 30 anni fa… Assessore
quanta felicità quelle notti a Massenzio…». Scuotendo il capo scettico
Nicolini sorrideva ciondolando un po’ l’elegante giacca sghemba, ma era
l’ultimo elogio che faceva lui, il mago dell’Estate più Lunga del
dopoguerra italiano, davvero felice.
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