domenica 26 giugno 2011

VOLETE FARE GIORNALISMO? ARRANGIATEVI

(Sanniopress) - Volete praticare il giornalismo? Arrangiatevi. Questa è l’unica risposta seria che si può dare a chi vuole fare – sarebbe meglio dire: essere – giornalista. Se volete la prova di quanto dico potete fare un esperimento. Provate a intervistare dieci giornalisti e ponete loro la seguente domanda: “Come sei diventato giornalista?”. Avrete dieci risposte diverse. Ci sarà chi dirà che tutto è iniziato per caso. Ci sarà quello che dirà che ha iniziato facendo il fattorino. Quello che scriveva per sport di sport. Poi, forse, troverete anche qualcuno che vi dirà che ha frequentato la “scuola di giornalismo”, ma poi ha conquistato il contratto di assunzione pezzo su pezzo, notizia su notizia.

La figura del giornalista è irregolare, da sempre. Volerla sottoporre a delle regole certe non è un’illusione. E’ un’insensatezza. Il caso dell’ennesima “scuola di giornalismo” – la si vorrebbe ad Avellino e sarebbe intitolata alla memoria di Biagio Agnes – ha un merito: non solo mostra l’inflazione delle scuole, ma anche la loro inutilità. Le scuole, come è stato osservato, sfornano disoccupati, ma pretendere che sfornino occupati è anche peggio. Il giornalismo non si impara a scuola. E, per dissipare ogni equivoco, non s’insegna neanche. E’ troppo vicino alla vita. Qualcuno è in grado di insegnarvela? Solo i maestri, ma si sono estinti come i dinosauri.

Se volete una vita lavorativa sicura fate un altro mestiere. Se volete praticare giornalismo – e non è un caso che dica “praticare giornalismo” perché si tratta prima di tutto di un’attività umana e non di un impiego – dovete fare l’unica cosa che vale per un giornale (di qualunque tipo sia): trovare notizie. Ce ne sono di tanti tipi: cronaca, costume, sport, politica, cultura. Il mondo è vario, trovate il vostro posto nel mondo e metteteci dentro interesse, passione, disciplina. E’ vero che il giornalista deve saper scrivere tutto, ma l’idea che debba sapere tutto o non debba sapere nulla è risibile. Un buon giornalista ha quasi sempre una sua specialità: ha fatto studi di giurisprudenza o di lettere o di medicina o di storia. Gli unici studi di cui il giornalista può fare a meno sono gli studi di giornalismo.

Una volta trovata, la notizia va scritta (per me il giornalismo è soprattutto scritto). Per imparare a scrivere ci sono due regole da rispettare: parlare in italiano e leggere chi sa scrivere. Il resto viene da sé. Con la pratica. La pratica genera miglioramento e occasioni. Ogni giornalista ha dietro di sé la gavetta. Il giornalista senza gavetta non esiste o esiste solo nelle scuole di giornalismo, dunque, non esiste. La gavetta dà occasioni. A ognuno è data la propria occasione. Bisogna saperla costruire e afferrarla quando si presenterà.

Sento già la domanda: “Sì, è bello parlare. Ma tu come hai fatto?”. Esattamente come vi ho detto. Ho iniziato cercando notizie. Anche minime, ma notizie. Ho curato un interesse: politica e cultura. Ho fatto la gavetta. Non sono stato mai sfiorato dall’idea di frequentare una scuola. Meglio le redazioni. Anche piccole. Anche scombinate. Ma redazioni. “Già, ma chi ti ha assunto? E perché?”. Mi ha assunto, bontà sua, Vittorio Feltri. Ancora non ho capito bene perché. Erano i primi giorni di vita di Libero. Gli mandai un pezzo. Lo chiamai al telefono e gli dissi: “Ti ho inviato un pezzo. L’hai visto?”. Chiamò la segretaria e se le foce portare. Il giorno dopo lo pubblicò. Era un pezzo sulla scuola e Leo Longanesi. Gliene mandai un altro sull’esilio dei Savoia. Fu poi la volta di un ritratto di Mastella che finì in prima pagina. Mi chiamò Renato Farina e mi disse: “Vieni a Milano che Feltri ti vuole conoscere”. Ci andai. Faceva un gran caldo ma Feltri era vestito alla sua maniera: impeccabile, ma con naturalezza. Parlammo un po’. Sulla scrivania aveva il pezzo che gli avevo mandato qualche giorno prima. Era un articolo su Tonino Di Pietro. Da uomo di mondo qual è mi disse: “Non l’ho messo perché o pubblicavo il mio o il tuo”. Era il 19 agosto 2000. Si meravigliò che non avessi ancora un contratto. Me lo fece lui. Il 1° settembre ero in servizio nella redazione di Roma: piazza Sant’Andrea della Valle. A ognuno è data la sua occasione. Sempre che si lavori per averla.

(L’articolo è finito o ritengo che sia finito e non ho parlato della storia dell’Ordine, di cui è diventato presidente un galantuomo come Enzo Iacopino. Il paradosso è questo: se vuoi fare il giornalista devi essere iscritto all’Ordine ma per iscriverti all’Ordine devi essere giornalista. Non è un problema solo del giornalismo: è l’Italia che è fatta a scatole o corporazioni. Magari, però, ne parliamo un’altra volta).

GIANCRISTIANO DESIDERIO

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