domenica 5 giugno 2011

NON SOLO RABBIA

Quel che sta accadendo coi referendum sancisce in modo definitivo, io credo, il tramonto dell’egemonia televisiva. Certo ci vorrà del tempo, ma la fine è cominciata. Chi ha più di sessant’anni, o più di settanta come il premier, continuerà a dire come ha fatto ieri che la colpa è dei Tg, dei programmi di Rai Tre, di Annozero. Ma non è più così. I quattro, cinque, sei milioni di spettatori di un programma di approfondimento giornalistico non sono la maggioranza dei cittadini e neppure degli elettori. Sono tanti, sei milioni, ma sono sempre quei sei milioni lì. Semmai sono i programmi del mattino, quelli del pomeriggio - è il loro silenzio sulle grandi questioni, il loro cicaleccio continuo programmato per distrarre - quelli che orientano e determinano le scelte di decine di milioni di persone. Ma anche qui: è solo questione di tempo, finirà. Chi ha in casa ragazzi fra 15 e 25 anni sa che nella loro vita adulta non hanno mai usato la tv come la usiamo noi. Pochissimi di loro sanno in quale giorno e a che ora va in onda un dato programma, su quale rete. Noi sì, lo sappiamo: cosa c’è il lunedì, cosa il martedì, cosa il giovedì. Loro vedono la tv sul computer: non tutto il programma, ma lo spezzone che gli interessa. Quello che gli ha consigliato, con un link, un amico per posta o su Facebook. Lo vedono in qualunque momento, e soprattutto vedono moltissimo più di quello che vediamo noi in tv: show stranieri, videoclip, molta, moltissima satira, informazione in pillole che arriva da ogni parte del pianeta e che spesso producono da soli. Lo schermo grande, quello della tv, lo usano come uno schermo, appunto: qualche volta per vedere dvd, qualche volta per cercare la serie di culto - registrata, spesso - dal satellite. I ragazzi, e ormai anche moltissimi adulti che hanno imparato da loro, attingono le informazioni essenziali per la loro giornata (uno spettacolo, un evento, un concerto, una mobilitazione) da Internet. Sui referendum, sanno tutto da Internet. La tv tace, con rare eccezioni, la propaganda politica fino a ieri pure. E’ impressionante al contrario la quantità di notizie di video e di mail che arrivano on line. Artisti che si mobilitano, cantanti e insegnanti, classi intere, gente comune che si filma mentre dorme e poi si alza e va in bagno a lavarsi, file di persone che bevono alle fontanelle, appelli virali, simboli autoprodotti che viaggiano a catena e poi l’incessante attività dei comitati, decine di manifestazioni in tutta Italia. Piccole, non pubblicizzate dai giornali nè dalla tv: passaparola in rete. E’ già successo qui e altrove - per Obama, per le rivoluzioni nordafricane, per Grillo - ma ora anche da noi è diventata la norma. La moltitudine dei cittadini si è impadronita del mezzo, ha imparato a usarlo. Una sorta di esproprio proletario della tv ingessata e monopolizzata, e lo dico nel giorno dell’assalto ad Aiazzone: esproprio di quel che ritieni ti spetti. E’ come se la gente, in rete, andasse a prendersi quel che gli è stato sottratto: il diritto ad essere informati, a sorridere, ad appassionarsi, a mobilitarsi per qualcuno e per qualcosa. Non è antipolitico tutto questo, al contrario. E’ profondamente politico. Leggete i commenti alla battuta di Grillo su Pisapippa: non glielo perdonano. Perchè finirà anche, sta finendo, il tempo della rabbia sola, del risentimento di chi ce l’ha col mondo intero e sa solo dare calci in bocca. Di nuovo: le persone sono oltre, si muovono, misurano le parole sulle cose e vogliono determinare il cambiamento. Fare, esserci. Vincere è più difficile che perdere. Essere in maggioranza comporta più responsabilità che protestare in minoranza. Ecco, coi referendum - definitivamente - la Rete costruisce informazione, produce cambiamento. Diventa adulta dunque, come a volte capita, responsabile.
CONCITA DE GREGORIO
L'Unità, 2 giugno 2011

Nessun commento:

Lettori fissi