(Targatocn) - Com’è finanziato il Festival?
Abbiamo qualche sponsor e i soci si autofinanziano. Ognuno di noi mette dei soldi per poter fare il Festival. E’ un periodo molto duro economicamente ma riteniamo che se chiudiamo le luci davanti a questa crisi la cosa finisce male. Né il direttore artistico, né i ragazzi dell’accoglienza, nessuno di noi è pagato. Il Festival è retto dal volontariato. Questo ci permette di avere più budget per poter pagare la tecnica dei palchi, i voli, etc. Riteniamo che sia giusto farlo perché in questo territorio c’è bisogno di una manifestazione che sappia parlare un po’ a tutti e che ricostituisca il senso della comunità. Altrimenti la cultura diventa sinonimo di elitarismo, di distinzione sociale. I festival devono essere più parenti della scuola che non dei circoli Lions.
Com’è nato il Festival Collisioni? Un’idea che avevi in testa, pensavi di realizzare questo sogno e il sogno si è realizzato o è andato oltre le aspettative?
Lavoro nel settore della cultura, dell’editoria, dello spettacolo da più di quindici anni. Non è la mia prima iniziativa nell’ambito, per professione ho sempre fatto questo. Collisioni è stata una grande sfida. Quando ci siamo trovati e abbiamo deciso di farlo c’era un profondo malessere nel mondo dell’associazionismo e nel mondo delle persone autentiche che erano i miei amici di Alba e quelli espatriati da Alba. C’era il modello del Premio Grinzane Cavour, abbiamo fatto Collisioni nell’ultimo anno del Premio di Soria. Abbiamo lavorato in antitesi a quel modello. Non ci piaceva, lo trovavamo sbagliato, vecchio, legato agli anni’80. Quel modello l’avevamo vissuto anche sulla nostra pelle essendo io albese come Piero Negri Scaglione, come Sergio Dogliani che è di Cherasco ed ora dirige gli ‘Idea Store’ di Londra, come il pittore Valerio Berruti. Il Premio Grinzane ci aveva lasciato l’idea che il libro fosse qualcosa di estremamente noioso, vecchio.
E quindi?
Abbiamo lavorato in antitesi. Prima di tutto non bisogna pensare che i giovani vadano educati tout court ma bisogna riconoscere alla cultura dei giovani una propria dignità. Ci può essere uno scambio tra generazioni, i giovani possono insegnare molto. Poi, volevo fare un festival dove io sarei andato a 17 anni, mi sarei appassionato e avrei visto gli scrittori in una luce diversa, non ingessata, da cerimonia, dall’idea che siano inavvicinabili. Con Collisioni abbiamo cercato di spiegare che gli scrittori sono persone come noi che amano dialogare con il pubblico, disponibili, non nelle teche di vetro, adorati e fotografati, quello fa parte del mestiere ma non è quello un momento autentico in cui incontri un autore. Lo incontri quando c’è un dibattito, quando si scaldano le emozioni. L’idea nostra era creare un Festival dove i giovani non dovevano partecipare perché deportati con i pullmini scolastici e arrivati per scaldare sedie, ma per loro scelta. E non è un caso che la maggior parte delle migliaia di giovani partecipanti a Collisioni 2010 avessero meno di trent’anni. Giovani che hanno scelto di partecipare ad un festival culturale, letterario piuttosto che andare in discoteca. Questo ha decretato il successo. (Gisella Divino)
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