lunedì 26 maggio 2008

Cottolengo e l’abbandono nella Divina Provvidenza

Pochi giorni fa la superiora di un convento mi ha messo tra le mani la biografia di San Giuseppe Cottolengo, il fondatore dell’omonima istituzione ospedaliera che si occupa del ricovero di storpi, paralitici, deformi, svantaggiati mentali, ammalati gravi, derelitti, orfani e dimenticati di tutto il mondo. Una missione che richiede un carisma particolare, e che è praticata amorevolmente dalle suore della Divina Provvidenza, la cui casa madre – com’è noto – si trova a Torino.
Devo dire che questa lettura mi ha fatto bene. Anche io quando parlo di Aristotele ai miei giovani e vispi alunni mi preoccupo di ricordare loro che il Dio dei cristiani è diverso dal Dio greco, perché non è un’entità lontana ed estranea alle cose del mondo, ma è Provvidenza e Amore. Questo è ben evidente nella vita di questo santo, che ha vissuto profondamente l’abbandono nell’aiuto di Dio, e che si diceva “ottimamente assistito dalla protezione della Vergine e dalla Provvidenza Divina”.
San Giuseppe Cottolengo dice: «La Piccola Casa è aperta per soccorrere gli abbandonati. Chi ha raccomandazioni non può considerarsi abbandonato. Se accettiamo chi non ha nessun appoggio umano, la Provvidenza è obbligata ad intervenire in loro aiuto». In un momento di difficoltà afferma: «Non ho confidato abbastanza nella Provvidenza, e così mi trovo in strettezze: il Signore mi castiga».
Ed ancora: «Non registrate quello che la Provvidenza ci manda. Essa sa tenere i registri meglio di noi. non cercate nemmeno di conoscere il numero dei ricoverati. Non immischiatevi negli affari della Provvidenza. E non affannatevi, perché essa non ha bisogno di voi»; «Nelle sue opere la Divina Provvidenza adopera non già continui miracoli, ma per lo più mezzi umani».
E la sua Piccola Casa lo sperimentò quotidianamente, con elargizioni inattese che arrivavano quando si raschiava il barile e si profilava il rischio chiusura.
Una vita eroica, che andrebbe fatta leggere ai giovani credenti o non credenti, ma ansiosi di vivere eroicamente.

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