martedì 4 giugno 2013

MASSIMO CACCIARI A BENEVENTO SU 'IL POTERE E IL PROSSIMO'



Massimo Cacciari
Il potere che frena – Lectio Magistralis
Cinema San Marco – Benevento – 2 giugno 

 
DEFINIZIONI DEL TERMINE ‘POTERE’

Kràtos, con l’infinito kràsein (perficere). Indica il realizzare qualcosa fino in fondo. Per i Greci, tuttavia, tale capacità o potenza del fare fino in fondo è solo degli dei, o meglio, di Zeus. Fare quello che si vuole. ‘Vuolsi così colà dove si vuole ciò che si vuole’.
‘Ciò che voglio posso’: non si può immaginare un potere più di questo.
“Kraft” in tedesco ha forse attinenza con “kràtos”.

Dìnamis: potere che ha il timbro di ‘possibile’, della possibilità. ‘In potenza’ è diverso da ciò che è ‘in atto’ (energhèia). Possibile quel fare perfetto. Opero in quella direzione, ma incontro tanti casi, ho a che fare con la fortuna, l’accidente, o, per dirla con Machiavelli, “tempestates”, per cui nel potere stesso devo tenere presente questi accidenti e questi condizionamenti. Mai dimenticare il limite intrinseco all’idea di potere. Non avrò mai il ktràtos.

Potestas: da questo termine deriva il nostro ‘potere’. Da esso deriva anche la parola “pater”. Nel nostro linguaggio indichiamo un “potere patrio”: “potestas patrae” e l’immagine non casuale dei patrizi, cioè l’assemblea dei padri che nell’antica Roma ha il potere legislativo. Il potere esclude la dimensione femminile. Non è possibile pensare una ‘potestas matriae’. Bisogna allora pensare ad una volontà di riformare e contraddire lo stesso linguaggio sul potere femminile. Rivoluzione del linguaggio e relativa rivoluzione antropologica. Si tratta di pensarla su tempi molto lunghi. Ciò che è sedimentato si incarna nel nostro stesso linguaggio.
La rivoluzione del potere?
Non è possibile pernsare solo alla potestas patriae perché dobbiamo introdurre la figura femminile. Ecco allora:

Auctoritas: qui non c’è il ‘padre’. Qui c’è la radice ‘augeo’, ciò che fa crescere, che genera, sviluppa, che dà vita. Quindi si avvicina ad un’idea femminile.
Il ‘genitor’ è colui che genera, ma può anche non avere ‘potestas’. “Auctoritas” è invece sinonimo di generatrice. Ne ‘Il Principe’ scritto nel 1513, e di cui quindi quest’anno si celebra l’anniversario (500 anni), è detto: “E’ ben diverso tenere una città che conquistarla”. E’ necessario un saldo potere per guidare ad una meta, e quindi è superiore alla stessa “potestas”, che significa “contenere” e “tenere”. Potere non è soltanto conservare uno Stato sotto una patria potestà: ha senso solo se “genera”, e la donna, appunto, genera.
Combinando i termini: il potere è tale se ha auctoritas, se apre, se libera, e cioè si approssima. Chi è il prossimo? Sono se mi approssimo all’altro, se vedo che sta male perché non è libero, se è angustiato, soffocato, e quindi mi approssimo per liberarlo.
Un potere è legittimo nella misura in cui è auctoritas, fuori dalla “potestas patriae” e quindi ci mette di fronte a quell’eterno femminino che è ciò che genera e libera. “Liberarci dalla “potestas patriae” e dal suo timbro conservatore. Questo per me è il potere” (Massimo Cacciari).
Possiamo associare il potere a un’immagine: la parabola del buon samaritano. Dove il samaritano si approssima ad un uomo angustiato ed usa il suo potere (ha potere perché è libero, ha soldi finanche per pagargli l’osteria) per liberare quell’uomo. Per liberarlo, non per diventarne il padrone. E lasciarlo andare. Libero qualcuno quando lo lascio andare. Occorre creare le condizioni perché ognuno vada per conto proprio e non abbia più bisogno di padri, padrone e senza nessuna ‘auctoritas’. Non è l’auctoritas solo un servizio, ma è collegata all’idea di libertà. Libero l’altro perché vada, proceda, produca. “E povera l’idea di servizio rispetto all’idea di auctoritas” (Massimo Cacciari).
“Il samaritano ebbe misericordia. Il suo cuore andò in frantumi”.
Ecco allora le condizioni dell’agire politico: avvertire le condizioni di angustia e pensare a liberarle. L’alternativa a questo è il compromesso, la mediazione, le tattiche. Tutte cose, beninteso, che fanno parte anch’esse della politica.
La tattica è un agire bene ordinato. Ma nella direzione di liberare un ferito a morte. Ogni tattica è subordinata alla visione del ferito a morte, alla sua condizione intollerabile.
Così l’agire politico non è soltanto autoreferenziale, cioè potestas politica, ma è sùn-patèia, soffrire con l’altro. Prima questo, poi la tattica. E le due cose vanno combinate, altrimenti è solo pietà umana o fredda azione che non libera e non va in nessuna direzione.
L’idea di potere deve coniugarsi all’idea di prossimità. Questo è l’invito di Cacciari.

Il Cristianesimo non è solo la religione della potestas patriae. La Madre di Dio, teotocòs, è centrale nel Cristianesimo. Nel femminile è collocata l’idea della Santissima Trinità, esattamente nella colomba dello Spirito Santo.
Il Lògos = il Verbo. Traduciamolo con Parola.
I confratelli di San Francesco lo chiamavano ‘mater sanctissima’

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