A essere proprio pignoli, in Vaticano non dovrebbero esistere né i gay né gli etero. Non praticanti, almeno. Così impongono le regole che si sono dati da quelle parti: discutibili, discutibilissime. Ma rispettabili, anche se poco rispettate. A essere ancora più pignoli, non dovrebbero esistere neanche le lobby, però questa è un’obiezione retorica: in ogni consesso umano si formano cordate cementate dall’appartenenza a minoranze che si ritengono - spesso a ragione - perseguitate (nei giornali esiste una lobby di tifosi del Toro, potentissima e segretissima, tanto che ne farei parte a mia insaputa). Per quanto lo stupore che ci provoca una notizia «clamorosa» superi ormai di rado il tempo di un ohibò, il Papa che conferma l’esistenza di una lobby gay in Vaticano rientra nel novero degli eventi capaci di fare inarcare le sopracciglia persino a Dan Brown.
Di una cosa invece si può andare abbastanza sicuri. La lobby gay del
Vaticano avrà pure un potere assoluto su conti in banca, nomine in Curia
e scatti di carriera per le guardie svizzere con muscolatura ispirata
alle statue di Michelangelo. Ma quando si tratta di decidere la linea
del Vaticano in materia di unioni di fatto e coppie gay, l’influenza
della lobby misteriosamente evapora.
Mai conosciuta una lobby così distratta. O così egoista: il diritto
di fare quel che gli pare, i prelati gay lo vogliono tenere tutto per
sé.
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