Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il dolore e la sofferenza emotiva
servivano a ricordarmi che stavo vivendo in contrasto con i miei valori.
Oggi so che questa si chiama autenticità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito quanto fosse offensivo voler imporre a qualcun altro i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama rispetto.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di desiderare una vita diversa
e ho compreso che le sfide che stavo affrontando erano un invito a migliorarmi.
Oggi so che questa si chiama maturità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho capito che in ogni circostanza ero al posto giusto e al momento giusto
e che tutto ciò che mi accadeva aveva un preciso significato.
Da allora ho imparato ad essere sereno.
Oggi so che questa si chiama fiducia in sé stessi.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
non ho più rinunciato al mio tempo libero
e ho smesso di fantasticare troppo su grandiosi progetti futuri.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e felicità,
ciò che mi appassiona e mi rende allegro, e lo faccio a modo mio, rispettando i miei tempi.
Oggi so che questa si chiama semplicità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono liberato di tutto ciò che metteva a rischio la mia salute: cibi, persone, oggetti, situazioni
e qualsiasi cosa che mi trascinasse verso il basso allontanandomi da me stesso.
All’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma
oggi so che questo si chiama amor proprio.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi facendo ho commesso meno errori.
Oggi so che questa si chiama umiltà.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono rifiutato di continuare a vivere nel passato
o di preoccuparmi del futuro.
Oggi ho imparato a vivere nel momento presente, l’unico istante che davvero conta.
Oggi so che questo si chiama benessere.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho imparato a farlo dialogare con il mio cuore,
l’intelletto è diventato il mio migliore alleato.
Oggi so che questa si chiama saggezza.
Non dobbiamo temere i contrasti, i conflitti e
i problemi che abbiamo con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi.
Oggi so che questa si chiama vita.
Charlie Chaplin

venerdì 26 dicembre 2014
mercoledì 24 dicembre 2014
venerdì 19 dicembre 2014
E' MORTA VIRNA LISI, LA SIGNORA DEL CINEMA ITALIANO
roma

Soprattutto quello a Hollywood, la meta agognata di tutte le attrici
del mondo, dove lei arrivò senza sforzo, nel ‘64, per girare con Jack
Lemmon «Come uccidere vostra moglie». Un gran successo, cui seguirono
due film, con Tony Curtis e Frank Sinatra, e una carriera ormai
avviatissima, lontano da casa. Mancavano sette anni di contratto quando
la signora Lisi decise di fare dietrofront, affrontando battaglie legali
e perdite economiche: «Mi proposero di interpretare Barbarella, dissi
di no, spiegai che io con quelle ali
d’oro proprio non mi ci vedevo».
d’oro proprio non mi ci vedevo».
Molto meglio si vide, anni dopo, nei film di Germi, Lattuada,
Comencini, Amelio. Ma soprattutto, pur amando moltissimo il suo lavoro,
si vedeva bene nel ruolo di moglie, madre, nonna. E questo forse le ha
dato la forza di essere l’unica diva che, al di là delle solite
dichiarazioni di facciata, ha vissuto come una liberazione l’apparire
delle prime rughe, come se quei segni le dessero finalmente la
possibilità di mettere bene in luce le sue vere qualità: «Sì, a volte la
bellezza mi ha dato fastidio, mi ha precluso dei ruoli e questo mi ha
addolorata. Essere belle non è sempre facile, soprattutto se si vuol
fare cinema serio».
Addio a Virna Lisi, signora del cinema italiano, la bocca che "può dire ciò che vuole", attrice senza compromessi. Nella sua carriera, oltre cento film con Cavani, Amelio, Comencini (Luigi e Cristina), Zampa, Samperi, Festa Campanile, Lattuada, Risi, Loy, Monicelli. Aveva conquistato anche Hollywood, rifiutando Playboy e Frank Sinatra. Nella sua carriera ha ricevuto sei Nastri d'argento, un premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes e quattro David di Donatello, di cui due alla carriera. Nata ad Ancona l'8 novembre del 1936, nel 1960 ha sposato l'architetto romano Franco Pesci (allora presidente della Roma, morto nel 2013) da cui ha avuto un figlio, Corrado, che l'ha resa nonna di tre nipoti.
giovedì 11 dicembre 2014
OTTANTADUEMILA

L’Italia non attrae più. Né gli italiani né gli stranieri. Perché da una parte viene fuori il volto degli italiani che si sono riscoperti nuovamente migranti, mentre gli stranieri lasciano l’Italia per tornare a casa loro. I dati che emergono dall’Istat parlano chiaro: il 14% degli stranieri se ne vanno dall’Italia. Sono, invece, 82 mila unità (+20,7% rispetto al 2012) gli italiani che lasciano il Belpaese. Regno Unito, Svizzera, Germania e Francia queste le nuove terre promesse per i nostri connazionali che decidono di puntare all’estero per cercare nuove fortune. Si tratta di cittadini che hanno un’età superiore ai 24 anni. Per quanto riguarda le immigrazioni dall’estero nel 2013 sono state, nel 2013, 307mila, 43mila in meno rispetto al 2012. L’immigrazione dall’estero verso l’Italia è la metà preferita dei cittadini romeni, anche se pure loro stanno strizzando l’occhio altrove. Ci sono poi i marocchini, cinesi e ucraini.
La Notizia giornale.it
Un'intera generazione che mancherà all'Italia. Non solo cervelli, ma anche manovalanza bassa. Quella generazione mortificata dalla politica, dalla società, dall'economia. Ognuno di noi ha più di un amico o conoscente che ha fatto questa scelta. Spesso partono da soli, col timore di non farcela, perseguitati dai dubbi, dagli incubi, dall'ansia per via di un cambiamento di vita tanto radicale.
Le generazioni precedenti hanno pensato bene di tutelare i propri interessi. Chi dimentica la stagione delle 'pensioni baby', 19 anni ed a riposo? Ora, i risultati di quelle scelte, le stanno pagando le generazioni successive. L'Italia degli scandali, delle mafie, delle tangentopoli di ritorno, dei paesi e paesini a desertificazione permanente, l'Italia disunita delude e non innamora più nessuno. E' la sconfitta di un intero sistema mangereccio e privo di scrupoli.
martedì 9 dicembre 2014
E I BICCHIERI ERANO VUOTI

e la bottiglia in pezzi
E il letto spalancato
e la porta sprangata
E tutte le stelle di vetro
della bellezza e della gioia
risplendevano nella polvere
della camera spazzata male
Ed io ubriaco morto
ero un fuoco di gioia
e tu ubriaca viva
nuda nelle mie braccia.
JACQUES PRÉVERT
lunedì 8 dicembre 2014
domenica 30 novembre 2014
WOMEN OF VISION
Dal 25 ottobre 2014 all' 11 gennaio 2015, Palazzo Madama a Torino ospita la mostra 'Women of Vision', i grandi scatti del National Geographic. Undici grandi fotografe per 99 fotografie. "Ci sono veterane come Lynn Johnson, Jodi Cobb e Maggie Steber, e talenti
emergenti come Erika Larsen e Kitra Cahana. Ci sono artiste che hanno
dedicato la loro carriera a raccontare la società e la condizione
femminile, altre che hanno immortalato paesaggi onirici, altre ancora
che hanno scelto per missione la conservazione della natura e la tutela
dell’ambiente" (dal sito di Palazzo Madama).
Le fotografe in mostra: Lynsey Addario; Jodi Cobb; Kitra Cahana; Diane
Cook; Carolyn Drake; Lynn Johnson; Beverly Joubert; Erika Larsen;
Stephanie Sinclair; Maggie Steber; Amy Toensing
martedì 25 novembre 2014
L'UOMO CHE SALVO' LA GIOCONDA
La Stampa, martedì 25 novembre 2014
Il 25 agosto 1939,
sei giorni prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, un eroe
dimenticato che si chiamava Jacques Jaujard fece appendere un cartello
all’ingresso del Louvre, avvisando i visitatori che il museo sarebbe
rimasto chiuso per alcuni giorni a causa di lavori urgenti. Subito dopo
avere sbarrato i portoni, decine di uscieri, guide, impiegati, e
professori e studenti dell’Accademia diedero inizio in segreto alla più
grande operazione di salvataggio dei maggiori capolavori dell’arte,
minacciati dal sicuro arrivo dei nazisti e dalle bombe che presto
sarebbero cadute su Parigi. In pochi giorni, 3.690 dipinti furono
staccati dai muri e imballati in 1.862 casse bianche. Le statue vennero
imbottiture prima di essere caricate sui camion. Dal Louvre partirono
203 veicoli, in 37 convogli diretti verso i castelli della Loira o
anonimi paesi di campagna, lontani dagli obiettivi di Hitler.
Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi.
Nessuno aveva ordinato a Jaujard di organizzare questa operazione. Lo decise da solo, convinto che non c’era più tempo da perdere. All’epoca era vicedirettore dei Musei nazionali francesi e un anno prima aveva già aiutato il Prado di Madrid a portare al sicuro in Svizzera i capolavori messi in pericolo dalla guerra civile. Oggi quasi nessuno si ricorda di lui e persino il film «Monuments men» di George Clooney lo ha ignorato, preferendo dare un ruolo più importante a una delle sue eroiche assistenti, Rose Valland. Finalmente, un documentario di Jean-Pierre Devillers e Pierre Pochart, «Illustre et inconnu» (illustre e sconosciuto) ci ricorda che, se possiamo ancora ammirare migliaia di capolavori, lo dobbiamo al coraggio di un uomo solo, circondato da persone fidate. La «Gioconda» di Leonardo fu il primo quadro ad essere portato via. Su ogni cassa era dipinto un cerchio, il cui colore ne indicava il valore: giallo per le opere di pregio, verde per le più importanti, rosso per i capolavori. Sulla cassa della «Monna Lisa» vennero dipinti tre cerchi rossi. La tela andò a Chambord, ma durante la guerra fu spostata per sicurezza più volte: a Louvigny, poi all’Abbaye de Loc Dieu, al Museo di Montauban e infine nel magico castello di Montal, sopra Tolosa.
I dipinti più grandi, come «Le Nozze di Cana» del Veronese, vennero portati via arrotolati e altri, come «La zattera della Medusa» di Géricault, caricati sui camion così com’erano, protetti solo da un lenzuolo. La grande statua della «Vittoria alata di Samotracia» fu l’ultimo capolavoro a lasciare il museo, il 1° settembre, nelle ore in cui i tedeschi invadevano la Polonia.
Jaujard, nel corso della guerra, si prese cura di ogni opera messa al sicuro. Spostava quadri e statue quando pensava che fossero in pericolo, procurava stufette per proteggere dall’umidità quelle più antiche, come lo «Scriba rosso» egizio, un fragile vecchio di 4000 anni. Doveva combattere su due fronti: i nazisti, inferociti per avere trovato al Louvre solo cornici vuote, e il governo collaborazionista di Vichy, altrettanto ansioso di recuperare le opere per regalarle ai nuovi padroni. Ma riuscì a vincere la sua guerra segreta: nel 1944 tutti i capolavori tornarono a Parigi, senza il minimo danno.
Jaujard aveva aiutato anche molti collezionisti privati, i David-Weill, i Jacobson, i Levy e i Bernheim, a mettere in salvo le loro opere. Verso la fine della guerra la Resistenza gli mandò in aiuto uno dei suoi migliori elementi, nome in codice «Mozart», nota attrice francese biondo platino, che aveva recitato con Jean Renoir prima di passare alla clandestinità. Divennero amanti e guardarono insieme dalla finestra i nazisti che lasciavano sconfitti Parigi.
Vittorio Sabadin
BERRETTE E BOLLETTE
Ogni cosa in natura esiste finché ha un senso e soddisfa un
bisogno. In caso contrario scompare. Che senso hanno oggi i partiti? Che
bisogno soddisfano? Ho letto dotte analisi dell’astensionismo alle
elezioni regionali nella rossa Emilia. Alcune faziose, come quella che
attribuisce all’ultimo arrivato Renzi la responsabilità di un fenomeno
in corso da decenni, ma altre ineccepibili: la crisi economica, gli
scandali, il disprezzo per la classe politica e l’istituzione regionale,
l’assenza di un avversario in grado di mobilitare gli elettori sotto la
spinta della paura. Però mi sembrano tutte cause di secondo livello. La
ragione primaria, e più prosaica, della decadenza dei partiti (e dei
sindacati) è che hanno rinunciato a svolgere il loro mestiere di
assistenza dei cittadini.
Nel quartiere di Torino dove sono cresciuto abitavano due vecchiette.
Una votava Pci e l’altra Dc. Se aveste chiesto loro perché, non credo
che avrebbero saputo darvi una risposta «politica». La prima bazzicava
la sezione del Pci per farsi compilare gratuitamente la dichiarazione
dei redditi e ricevere utili dritte su medici curanti e impiegati
comunali a cui rivolgersi per dilazionare il pagamento di una bolletta.
La seconda frequentava gli oratori e cuciva berrette di lana per i
poveri che venivano vendute nelle sagre paesane della Dc. Quei partiti
di massa, di cui ignoravano le basi ideologiche, facevano parte della
loro vita. Podemos, il movimento che promette o minaccia di vincere le
prossime elezioni spagnole, è ripartito da lì: dalle berrette e dalle
bollette. Che non bastano a fare un partito. Ma senza le quali qualsiasi
partito cessa di esistere.
sabato 22 novembre 2014
sabato 8 novembre 2014
CATERINUCCIA MIA, CERCAMO A VIVE
Caterinuccia mia, cercamo a vive',
E amasse sempre quanto se po' amà;
E tutte le linguaccie più cattive
Mezzo bajocco l'êmo da contà.
'R sole, lo sai, se va a corcà la notte,
Ma er giorno doppo pole arivenì:
Noi, 'na vorta ch'annamo a fasse fotte,
Se svejamo cor c.... Caterì!
Mille baci, poi cento, poi artre mille,
Poi doppo cento baci m'hai da dà;
Poi ciarifamo e annamo fino ar mille,
Poi doppo cento, e po' un'infinità.
Allora, quanno se ne semo fatte
Una brava magnata da crepà;
Pe' nun potelli più manco aribbatte,
'Na bona smuscinata je se dà:
Che gnuno possa prennese l'impiccio
De facce i conti addosso, e doppo po'
Ce vienghi a ffà magara l'occhiaticcio,
Quanno sapesse quanti baci so'
(G. Martellotti, Roma, 1892)
E amasse sempre quanto se po' amà;
E tutte le linguaccie più cattive
Mezzo bajocco l'êmo da contà.
'R sole, lo sai, se va a corcà la notte,
Ma er giorno doppo pole arivenì:
Noi, 'na vorta ch'annamo a fasse fotte,
Se svejamo cor c.... Caterì!
Mille baci, poi cento, poi artre mille,
Poi doppo cento baci m'hai da dà;
Poi ciarifamo e annamo fino ar mille,
Poi doppo cento, e po' un'infinità.
Allora, quanno se ne semo fatte
Una brava magnata da crepà;
Pe' nun potelli più manco aribbatte,
'Na bona smuscinata je se dà:
Che gnuno possa prennese l'impiccio
De facce i conti addosso, e doppo po'
Ce vienghi a ffà magara l'occhiaticcio,
Quanno sapesse quanti baci so'
(G. Martellotti, Roma, 1892)
mercoledì 5 novembre 2014
LA PITTURA DI FELICE CASORATI IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE FERRERO DI ALBA

giovedì 23 ottobre 2014
LA TEORIA DELLA RELATIVITA' E L'AMORE
Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono,
e anche quello che rivelerò a te ora,
perché tu lo trasmetta all’umanità,
si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per
tutto il tempo necessario, anni, decenni,
fino a quando la società sarà progredita abbastanza
per accettare quel che ti spiego qui di seguito.
Vi è una forza estremamente potente per la quale
la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.
È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno
che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile
e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo
che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica
il meglio che è in noi, e permette che l’umanità
non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore.
Questa forza spiega il tutto e
dà un senso maiuscolo alla vita.
Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo
non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice
sostituzione nella mia più celebre equazione.
Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo
può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato,
giungeremo alla conclusione che l’amore è
la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo
delle altre forze dell’universo,
che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento
di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva,
se vogliamo trovare un significato alla vita,
se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita,
l’amore è l’unica e l’ultima risposta.
Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore,
un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio,
l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.
Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,
vedremo come l’amore vince tutto,
trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere
ciò che contiene il mio cuore,
che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo,
ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.
Tuo padre Albert Einstein
e anche quello che rivelerò a te ora,
perché tu lo trasmetta all’umanità,
si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per
tutto il tempo necessario, anni, decenni,
fino a quando la società sarà progredita abbastanza
per accettare quel che ti spiego qui di seguito.
Vi è una forza estremamente potente per la quale
la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.
È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno
che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile
e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo
che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica
il meglio che è in noi, e permette che l’umanità
non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore.
Questa forza spiega il tutto e
dà un senso maiuscolo alla vita.
Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo
non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice
sostituzione nella mia più celebre equazione.
Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo
può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato,
giungeremo alla conclusione che l’amore è
la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo
delle altre forze dell’universo,
che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento
di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva,
se vogliamo trovare un significato alla vita,
se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita,
l’amore è l’unica e l’ultima risposta.
Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore,
un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio,
l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.
Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,
vedremo come l’amore vince tutto,
trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere
ciò che contiene il mio cuore,
che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo,
ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.
Tuo padre Albert Einstein
domenica 12 ottobre 2014
venerdì 10 ottobre 2014
FARE IL BENE LA' DOVE SIAMO
domenica 5 ottobre 2014
RICORRE IL BIMILLENARIO DELLA MORTE DELL'IMPERATORE AUGUSTO

Augusto nasce a Roma nel quartiere Palatino il 23 Settembre del 63 a. C. da Azia, figlia minore di Giulia e sorella di Cesare, alla morte del quale (Idi di marzo del 44 a. C.) intraprende la sua carriera politica. Nel 43 a. C. si costituisce il triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Lepido, ma nel 31 a. C. il sodalizio si sfascia e ne scaturisce una guerra civile, che si conclude con la battaglia di Anzio, da cui Ottaviano esce vincitore. Nel 27 a. C. Ottaviano diventa Augusto e dà di fatto inizio all'età imperiale. Attraverso delle campagne militari allarga i confini dell'impero ed inizia anche una serie di riforme politiche, sociali, militari, economiche. Durante il suo governo il Senato decreta per ben tre volte la chiusura del tempio di Giano, a significare che la pace regnava in tutto il suo impero. La morte lo coglie a Nola. Il suo corpo sarà trasportato a Roma ed esposto nella sua dimora sul Palatino, da cui, l'indomani, in un baldacchino d'avorio e d'oro e con una sua effige di cera in abiti trionfali, viene condotto nel foro imperiale, dove è pronunciato il discorso funebre. Una lunga processione lo accompagna fino al Campo Marzio, dove il corpo è bruciato su una pira. Si racconta che durante il rito un senatore abbia visto spiccare dalle fiamme un'aquila in volo, trasportando con sé l'anima di Augusto.
LA RADIO IN ITALIA COMPIE 90 ANNI
La prima trasmissione radiofonica in Italia andava in onda la sera del 6 ottobre 1924, alle ore 21. La speaker era Ines Viviana Donatelli, che annunciò: «Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza
d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e
il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il
concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per
il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da
Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo
Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7
primo e secondo tempo».
L’Uri (Unione radiofonica italiana) era sorta il 27 agosto 1924. Era costituita dalla fusione tra Radiofono (Società italiana per le
radiocomunicazioni circolari) e Sirac (Società italiana radio audizioni
circolari). Nel 1927 la Uri diventa Eiar (Ente italiano audizioni
radiofoniche), la quale nel 1944 si trasformerà in Rai (Radio audizioni
Italia).
mercoledì 1 ottobre 2014
SE SEI CARINA CON ME... PASSI L'ESAME
<!--title='Le iene - puntata del 24 settembre 2014 - golia-se-sei-carina-con-me…-passi-l’esame'
Le iene - puntata del 24 settembre 2014 - golia-se-sei-carina-con-me…-passi-l’esame
sabato 27 settembre 2014
IL MISSIONARIO
Ho conosciuto un medico stile San Giuseppe Moscati, in questo paese di frontiera. E' il marito di uno dei sindaci donna più famosi d'Italia. Per rispetto alla privacy non faccio nomi, ma vi dico solo che personaggio ho conosciuto.
Dopo quattro ore e mezza di attesa, finalmente è il mio turno. Lui è brizzolato, con i capelli di media lunghezza che gli scendono lungo il collo. Porta un grosso crocefisso in oro sul petto. Indosso, il camice bianco. Tanta dignità nell'aspetto di quest'uomo, plurispecializzato, che trasmette al paziente una calma serafica. Tanta professionalità, tanto spirito di abnegazione, che lo porta a fare visite fino alle tre, alle quattro del mattino, dopo avere fatto passare tutti, ma proprio tutti tutti i pazienti della mutua. Le sue visite sono accurate, senza distinzione tra mutuati e paganti. La sua intuizione medica lo porta ad individuare subito il problema ed a suggerire la cura più appropriata.
Nella sua stanza, ed anche nel salottino di attesa, per ore si diffonde la musica che proviene da un impianto stereo. Nella stanza delle visite, per la verità, il volume è più alto. Ma il medico è concentratissimo. Chiedere quanto prende per la visita gli procura una sorta di imbarazzo. Il compenso richiesto - quindici euro -, è più simbolico che effettivo. Come a dire che lui cura per missione, appunto, non per vivere.
E' stato un onore ed un piacere conoscere quest'uomo e sapere che esistono persone così.
Certo, sui giornali ed in tv non fa notizia, perché le copie vendono e l'audience sale solo quando si parla di ladri, corrotti e magnaccia, come direbbe Di Pietro. Ma persone così, per fortuna, esistono. E sono quelle che lasciano un segno nella storia dell'umanità.
Secondo me lo faranno santo. Chi vivrà vedrà.
lunedì 15 settembre 2014
GLI ANNIVERSARI DEI MEDIA
Dunque: nel 2014 ricorrono i 90 anni dalla nascita della radio, i 60 della televisione ed i 25 anni di Internet.
domenica 31 agosto 2014
STAGIONI: 2014-1984

Forse trent'anni fa eravamo più avanti. La crisi non mordeva. Nasceva il primo Mac della storia ed il mouse portava nel vocabolario la parola 'cliccare'. I primi esemplari, a metà strada tra un televisore vecchio modello ed uno scatolone, costavano circa 2500 dollari, non avevano una ventola per evitarne il surriscaldamento, ma si vendevano eccome. Non a caso Steve Wozniak, inventore del personal computer, ebbe a dire un giorno: "Il Macintosh è più di un computer: è uno stile di vita". La designer statunitense Susan Kare inventava le icone del desktop, che rendevano facile l'approccio al mezzo, lanciava le font Geneva e Chicago ed il famoso Mac felice, il computer sorridente che sarà soppiantato dopo un ventennio dalla mela di Steve Jobs.

Ed ancora: Craxi con apposito decreto consentiva alle reti di Berlusconi di riprendere le trasmissioni.
Ah, sempre nell'84 l'Italia usciva vincitrice dalle Olimpiadi di Los Angeles. E l'anno prima, il 1983, si verificava l'estate più torrida dopo decenni nella storia mondiale. Così torrida, appunto, da passare alla storia.
TORINO, A FUOCO LA CAVALLERIZZA


martedì 26 agosto 2014
IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO AI VALDESI E' GIA' STORIA

Sottostimare, schierarsi o giudicare dall'alto in basso.
Tutte tentazioni nelle quali noi esseri umani finiamo facilmente intrappolati di fronte a una crisi. Si tratti di una crisi comunitaria nelle nostre piccole chiese, come le crisi economiche, sociali e politiche che travagliano il nostro mondo.
Ma non Gesù! Lui utilizza un'altra strategia: Chiamatili a sé,
ci dice il testo. Il Signore, consapevole del ruolo della comunità dei
discepoli, sa che bisogna innanzi tutto rinsaldare i nodi che la tengono
insieme. Non sottovaluta la crisi, anche se agli occhi del mondo
secolarizzato e nevrotico di oggi, sembra che decida di perdere tempo.
Ma in quel Chiamatili a sé, c'è tutta la forza della proposta
che il Signore fa ai suoi, ieri e oggi! C'è la formulazione di una
prassi di fede che non può e non deve prescindere dalla comunità
riunita".
A Papa Bergoglio non è mai sfuggita la finezza teologica dei Valdesi, da lui stesso definiti dei "religiosi di prim'ordine" e stavolta ha volut indirizzare ai 180 delegati delle chiese metodiste e valdesi il suo "saluto fraterno" e la sua "vicinanza spirituale". Per la prima volta nella storia.
La comunità valdese è in crescita. Basti pensare che nel 2013 la destinazione dell'8 per milla degli italiani alla loro chiesa è cresciuta del 7%: in 613mila hanno destinato il loro contributo ai valdesi, che ha ottenuto un numero di firme pari a 30 volte la loro consistenza. I 41 milioni che hanno intercettato saranno da loro destinati non al sostentamento del clero, ma per progetti di natura assistenziale, sociale e culturale, tutti documentati su Internet. Quest'anno il 30% dell'importo sarà devoluto a progetti nei paesi in via di sviluppo.
ADDIO AD ADELAIDE RONCALLI, LA VEGGENTE OSTEGGIATA DALLA CHIESA

Alla morte di don Cortesi, nel 1946, la veggente dichiarò che la ritrattazione era falsa. Tuttavia il vescovo di Bergamo nel 1948 affermò "non consta la soprannaturalità", proibendo ogni forma di devozione in quel luogo.
Nel 1949 la piccola Roncalli fu ricevuta da Papa Pio XII, al quale rivelò il segreto che lo riguardava. Il Papa Bergamasco Giovanni XXIII in una lettera al vescovo di Faenza del luglio 1960 scriveva: "Ciò che vale è la testimonianza della veggente: e la fondatezza di quanto ancora asserisce a 21 anni e in conformità alla sua prima asserzione a 7 anni: e ritirata in seguito alle minacce, alle paure dell'inferno fattele da qualcuno".
Adelaide avrebbe voluto farsi suora sacramentina ed a 15 anni ottenne dal vescovo il permesso. Ma dopo la morte dell'alto prelato qualcuno riuscì a strappare l'ordine di farla uscire dal convento. Dopo di questo Adelaide per il dispiacere si ammalò. Oggi si spera in un'indagine seria ed approfondita del suo caso.
sabato 23 agosto 2014
COSI' TI COLTIVO L'ORTO IN CITTA'

Durante il Ventennio, in Italia il Duce raccomandava: "Non un lembo di terreno incolto".
Oggi gli orti sono una realtà diffusa a livello esponenziale lungo tutta la penisola. C'è la crisi che morde, certo, ma c'è anche la voglia di mangiare genuino, di stare insieme e, non da ultimo, di restituire dignità ad aree altrimenti destinate al degrado. Gli orti urbani proliferano su balcone e terrazze urbane, su lembi di terra tra i palazzi delle metropoli. E la gente fa la fila al comune per richiedere la coltivazione di queste aree (con la formula del comodato d'uso). Quindi: city farmer individuali e spazi di proprietà comunale, questi ultimi ad uso collettivo Secondo la Coldiretti nelle sole città capoluogo gli orti urbani coprono una superficie di 3,3 milioni quadrati, ed il fenomeno è in costante crescita. Nelle grandi città le aree verdi sono più di quanto si pensi. Nella sola Torino, come riportato da La Stampa, sono 2 milioni di mq. Le aree verdi sono più estese nelle città del Nord. Nel Mezzogiorno il fenomeno interessa solo Napoli, Andria, Barletta, Palermo e Nuoro.
mercoledì 13 agosto 2014
HA 70 ANNI L'ECCIDIO DI SANT'ANNA DI STAZZEMA
Nel 2004 a La Spezia è stato celebrato un processo per i crimini di guerra di Sant'Anna di Stazzema, che ha dichiarato colpevoli gli ufficiali responsabili dell'eccidio, tutti ultraottantenni.
lunedì 4 agosto 2014
domenica 3 agosto 2014
LA FRANCIA LETTERARIA
"La Francia è il paese letterario per eccellenza. Credo sia l'unico
paese in cui la gente si interessa di problemi letterari. Non si
tratta di una questione di cenacoli o di una divergenza di scuole. Può
darsi che si debba al senso storico dei francesi, all'atteggiamento di
vedere ogni cosa in funzione della storia, il che non succede altrove".
Jorge Luis Borges
giovedì 31 luglio 2014
NAPOLETANI AI VERTICI

ANTOINE DE SAINT-EXUPERY, LETTERA-TESTAMENTO
Il 31 luglio 1944, a soli 44 anni, moriva lo scrittore ed aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry. Poche ore prima della sua scomparsa, egli lasciava la sua ultima, lucidissima lettera, specchio dei tempi nei quali viviamo.
"Ho
compiuto ora un volo sul P.38. E' un bell' apparecchio. Sarei stato
felice di riceverlo in dono per i miei vent' anni. Oggi, riconosco con
malinconia che a quarantatre anni, dopo 6.500 ore di volo sotto tutti i cieli del mondo, non so più provare molto piacere in questo gioco.
E' solo, ormai, uno strumento di spostamento, e in questo caso, di guerra. Se mi sottopongo alla velocità e alle alte quote ad una età patriarcale per questo mestiere, è più per adeguarmi alle maledizioni della mia generazione che non alla speranza di ritrovare le soddisfazioni di un tempo. Forse è un pensiero malinconico, o forse no. Sbagliavo certo quando avevo vent' anni. Nell'autunno del 1940, di ritorno dall'Africa settentrionale dove ero emigrato col gruppo 2/33, riposta in qualche polverosa rimessa la mia macchina esangue, venni a scoprire il biroccino e il cavallo. E con essi l'erba dei sentieri, le greggi e gli oliveti. Quegli oliveti avevano un altro compito che quello di battere il tempo dietro i vetri a 130 chilometri all'ora. Si mostravano nel loro ritmo vero, che consiste nel fabbricare lentamente le olive. Le pecore non avevano per fine esclusivo di abbassare la media. Ridiventavano vive. Facevano pallottole di sterco genuino e fabbricavano lana genuina. Ed anche l'erba aveva un senso, poiché la brucavano.
Mi sono sentito rinascere in quell'angolo unico al mondo dove la polvere è profumata (sono ingiusto, lo è in Grecia come in Provenza). E ho avuto l'impressione di essere stato, tutta la vita, un imbecille.
Tutto questo per spiegarle che questa esistenza da gregario nel pieno di una base americana, l'andirivieni tra i monoposto da 600 CV, i pasti in piedi, frettolosi, in una costruzione isolata dove ci si ammucchia in tre per camera, questo terribile deserto umano insomma, non ha nulla che mi accarezzi il cuore.
Lo so. Come le missioni senza profitto né speranze di ritorno del giugno del 1940, anche questa è una malattia da superare. Io sono ammalato per un tempo sconosciuto. Ma non mi riconosco il diritto di non subire questa malattia. Ecco tutto. Oggi sono profondamente triste e in profondità. Sono triste per la mia generazione, che è vuota di qualunque sostanza umana; che non avendo conosciuto altra forma spirituale di vita oltre il bar, la matematica e le Bugatti, si trova ora impegnata in una azione strettamente gregaria, senza più colore alcuno.
Prendiamo il fenomeno militare di cent'anni fa. Quanti sforzi compiva per dare una risposta alla vita spirituale, poetica o semplicemente umana dell'uomo. Oggi essiccati come siamo più che mattoni, sorridiamo di tali scempiaggini. Costumi, bandiere, canti, musiche, vittorie. Non ci sono più vittorie al giorno d'oggi, nulla che abbia la densità pratica di una Austerlitz. Non vi sono che fenomeni di lenta o rapida digestione. Ogni lirismo suona ridicolo, e gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una vita spirituale qualsiasi. Compiono onestamente una specie di lavoro a catena. Come dice la gioventù americana: noi accettiamo questo job ingrato onestamente, e la propaganda nel mondo intero si batte i fianchi con disperazione. La sua malattia non proviene da assenza di doti particolari, bensì dal divieto di appoggiarsi, sotto pena di apparire pomposa, sui grandi miti refrigeranti. Dalla tragedia greca l'umanità è precipitata fino al teatro di Louis Verneuil. Secolo della pubblicità del sistema Bedau, dei regimi totalitari e degli eserciti senza bandiere, né trombe né messe in suffragio dei loro morti. Odio la mia epoca con tutte le mie forze. L'uomo vi muore di sete. Ah generale, c' è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata quest'epoca di "mestiere necessario e ingrato", non potrei più tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più. Non si può vivere senza poesia, senza colore né amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV secolo per misurare la china percorsa. Nulla resta, se non la voce della propaganda. Due miliardi di uomini sentono il robot, capiscono solo il robot, diventano robot. Tutti gli sconquassi degli ultimi anni non hanno che due fonti: i guasti del sistema economico del XIX secolo e la disperazione spirituale.
C'è un problema, uno solo: tornare a scoprire che esiste una vita dello spirito più alta ancora di quella dell'intelligenza, l'unica in grado di soddisfare l' uomo. Questo supera il problema della vita religiosa, che ne è solamente una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere "unico" è concepito al di sopra dei materiali che lo compongono. L'amore per la casa è già vita dello spirito. E la festa del villaggio, e il culto dei morti...
Ah! che strana sera questa, che strano clima. Dalla mia camera vedo accendersi le finestre di questa costruzione senza volto. Sento le diverse stazioni radio sciorinare la loro musica balorda a questa folla di sfaccendati venuti d'oltremare e che non conoscono la nostalgia. Può accadere di scambiare questa accettazione rassegnata per spirito di sacrificio o grandezza morale. Che errore! I legami d'amore che stringono l'uomo d'oggi agli esseri come alle cose, sono così poco tesi, così poco solidi, che l'uomo non avverte più l'assenza come una volta. E' la parola terribile di quella storiella ebrea: "Te ne vai dunque laggiù? come sarai lontano!" "Lontano da dove?" Il dove che hanno lasciato non era altro che un fascio di abitudini. In quest'epoca di divorzio, si divorzia con la stessa facilità dalle cose. I frigoriferi sono intercambiabili. E le case pure. E la propria donna? E la religione? E il partito? E' ormai impossibile essere infedeli: a che cosa si potrebbe essere infedeli? Lontani da dove e infedeli a che cosa? Deserto dell' uomo".
Antoine de Saint-Exupery
E' solo, ormai, uno strumento di spostamento, e in questo caso, di guerra. Se mi sottopongo alla velocità e alle alte quote ad una età patriarcale per questo mestiere, è più per adeguarmi alle maledizioni della mia generazione che non alla speranza di ritrovare le soddisfazioni di un tempo. Forse è un pensiero malinconico, o forse no. Sbagliavo certo quando avevo vent' anni. Nell'autunno del 1940, di ritorno dall'Africa settentrionale dove ero emigrato col gruppo 2/33, riposta in qualche polverosa rimessa la mia macchina esangue, venni a scoprire il biroccino e il cavallo. E con essi l'erba dei sentieri, le greggi e gli oliveti. Quegli oliveti avevano un altro compito che quello di battere il tempo dietro i vetri a 130 chilometri all'ora. Si mostravano nel loro ritmo vero, che consiste nel fabbricare lentamente le olive. Le pecore non avevano per fine esclusivo di abbassare la media. Ridiventavano vive. Facevano pallottole di sterco genuino e fabbricavano lana genuina. Ed anche l'erba aveva un senso, poiché la brucavano.
Mi sono sentito rinascere in quell'angolo unico al mondo dove la polvere è profumata (sono ingiusto, lo è in Grecia come in Provenza). E ho avuto l'impressione di essere stato, tutta la vita, un imbecille.
Tutto questo per spiegarle che questa esistenza da gregario nel pieno di una base americana, l'andirivieni tra i monoposto da 600 CV, i pasti in piedi, frettolosi, in una costruzione isolata dove ci si ammucchia in tre per camera, questo terribile deserto umano insomma, non ha nulla che mi accarezzi il cuore.
Lo so. Come le missioni senza profitto né speranze di ritorno del giugno del 1940, anche questa è una malattia da superare. Io sono ammalato per un tempo sconosciuto. Ma non mi riconosco il diritto di non subire questa malattia. Ecco tutto. Oggi sono profondamente triste e in profondità. Sono triste per la mia generazione, che è vuota di qualunque sostanza umana; che non avendo conosciuto altra forma spirituale di vita oltre il bar, la matematica e le Bugatti, si trova ora impegnata in una azione strettamente gregaria, senza più colore alcuno.
Prendiamo il fenomeno militare di cent'anni fa. Quanti sforzi compiva per dare una risposta alla vita spirituale, poetica o semplicemente umana dell'uomo. Oggi essiccati come siamo più che mattoni, sorridiamo di tali scempiaggini. Costumi, bandiere, canti, musiche, vittorie. Non ci sono più vittorie al giorno d'oggi, nulla che abbia la densità pratica di una Austerlitz. Non vi sono che fenomeni di lenta o rapida digestione. Ogni lirismo suona ridicolo, e gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una vita spirituale qualsiasi. Compiono onestamente una specie di lavoro a catena. Come dice la gioventù americana: noi accettiamo questo job ingrato onestamente, e la propaganda nel mondo intero si batte i fianchi con disperazione. La sua malattia non proviene da assenza di doti particolari, bensì dal divieto di appoggiarsi, sotto pena di apparire pomposa, sui grandi miti refrigeranti. Dalla tragedia greca l'umanità è precipitata fino al teatro di Louis Verneuil. Secolo della pubblicità del sistema Bedau, dei regimi totalitari e degli eserciti senza bandiere, né trombe né messe in suffragio dei loro morti. Odio la mia epoca con tutte le mie forze. L'uomo vi muore di sete. Ah generale, c' è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata quest'epoca di "mestiere necessario e ingrato", non potrei più tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più. Non si può vivere senza poesia, senza colore né amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV secolo per misurare la china percorsa. Nulla resta, se non la voce della propaganda. Due miliardi di uomini sentono il robot, capiscono solo il robot, diventano robot. Tutti gli sconquassi degli ultimi anni non hanno che due fonti: i guasti del sistema economico del XIX secolo e la disperazione spirituale.
C'è un problema, uno solo: tornare a scoprire che esiste una vita dello spirito più alta ancora di quella dell'intelligenza, l'unica in grado di soddisfare l' uomo. Questo supera il problema della vita religiosa, che ne è solamente una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere "unico" è concepito al di sopra dei materiali che lo compongono. L'amore per la casa è già vita dello spirito. E la festa del villaggio, e il culto dei morti...
Ah! che strana sera questa, che strano clima. Dalla mia camera vedo accendersi le finestre di questa costruzione senza volto. Sento le diverse stazioni radio sciorinare la loro musica balorda a questa folla di sfaccendati venuti d'oltremare e che non conoscono la nostalgia. Può accadere di scambiare questa accettazione rassegnata per spirito di sacrificio o grandezza morale. Che errore! I legami d'amore che stringono l'uomo d'oggi agli esseri come alle cose, sono così poco tesi, così poco solidi, che l'uomo non avverte più l'assenza come una volta. E' la parola terribile di quella storiella ebrea: "Te ne vai dunque laggiù? come sarai lontano!" "Lontano da dove?" Il dove che hanno lasciato non era altro che un fascio di abitudini. In quest'epoca di divorzio, si divorzia con la stessa facilità dalle cose. I frigoriferi sono intercambiabili. E le case pure. E la propria donna? E la religione? E il partito? E' ormai impossibile essere infedeli: a che cosa si potrebbe essere infedeli? Lontani da dove e infedeli a che cosa? Deserto dell' uomo".
Antoine de Saint-Exupery
venerdì 18 luglio 2014
IRANIANE SENZA VELO
Qualche mese fa la giornalista iraniana Masih Alinejad, residente a Londra, ha creato la pagina facebook “My Stealthy Freedom” (La Mia Libertà Clandestina), dove incoraggia le sue compatriote a mostrarsi senza hijab, il velo tradizionale e obbligatorio che copre la testa e i
capelli, usato da donne iraniane come simbolo di modestia quando sono in
pubblico o in presenza di uomini che non sono membri della loro
famiglia. Per rappresaglia il governo iraniano ha mandato in onda un servizio in cui racconta che la giornalista, sotto l'effetto di droghe, si sarebbe spogliata in pubblico finendo per essere poi violentata da tre uomini sotto gli occhi di suo figlio diciassettenne. Alinejad ha denunciato al giornale statunitense “The Washington Post” il tentativo di diffamazione cui è stata sottoposta. Ma la campagna denigratoria non si è fermata qui e su facebook sono volati epiteti pesanti da parte di soggetti di area conservatrice. Sulla rivista statunitense "Time" Alinejad scrive: «Decidere come vestirti è una forma di libertà di
espressione. E questo è un lusso che non esiste in Iran. Ma le “donne
clandestine” volevano mostrare una faccia diversa dell’Iran che è spesso
ignorata dalla media controllata dallo Stato e dai media occidentali». Dopo le denuncie e le minacce la pagina fecabook "La mia libertà clandestina" è divenuta ancora più popolare. Intanto Alinejad citerà in giudizio per danni la televisione di Stato iraniana. La giornalista è appoggiata da centinaia di giornalisti che hanno sottoscritto una petizione a di un’azione legale da parte di Alinejad.
martedì 15 luglio 2014
DA "LA FRAGILITA' DEL BENE" DI MARTHA NUSSBAUMM. LA BUONA DELIBERAZIONE
La "Fragilità del bene", corposo volume che ha reso nota a livello planetario la filosofa statunitense Martha Craven Nussbaumm, analizza "fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca". Attraverso esempi tratti dall'una e dell'altra, la Nussbaumm, docente di Etica e Diritto all'Università di Chicago, sostiene che non è la ragione autosufficiente a porre al riparo dagli eventi esterni, dalla catastrofe e dai rovesci della fortuna, bensì è il riconoscimento della vulnerabilità umana - impulsi, passioni e quant'altro - a garantire la piena realizzazione dell'essere umano. Il discorso esce spesso dall'antichistica e trova numerosi agganci nel dibattito etico e politico contemporaneo.

A pagina 175 del volume, l'indovino Tiresia suggerisce a Creonte quali sono i mezzi per una buona deliberazione. La Nussbaumm accetta il giudizio hegeliano secondo cui Creonte ed Antigone sarebbero due figure con difetti similari: il primo rifiuta la famiglia in nome della città, la seconda rifiuta la città in nome del valore della famiglia. In entrambi si compie quindi un processo di estrema semplificazione del conflitto, anche se, rimarca Nussbaumm, Hegel "commette un errore nel non sottolineare che la scelta di Antigone è chiaramente superiore a quella di Creonte" (la famosa sepoltura data al fratello Polinice, traditore della sua città Ndr).
E veniamo dunque a quanto scrive la Nussbaumm:
"Tiresia sostiene che la buona deliberazione è connessa con il "cedere" (eike, v. 1028), con l'essere flessibili (v. 1027). Questi consigli riprendono quelli dati in precedenza da Emone al padre. Criticando l'omnia deinon di Creonte, la sua dedizione ad un unico ethos, o a un unico principio (vv. 690, 705), la sua ostinazione nel considerare corretta soltanto tale esclusività (v. 706. cfr. 685), Emone chiede un comportamento diverso. Per evitare il vuoto interiore della sua condizione (v. 709), Creonte dovrebbe imparare a non forzarsi troppo (v. 711). L'indovino cita due esempi tratti dal mondo della natura. Sulle rive dei rapidi torrenti gli alberi che si piegano salvano i loro rami, mentre quelli che rimangono rigidi vengono sradicati e distrutti (vv. 712-714). Un timoniere che guida la sua nave diritta contro il vento con tutte le vele tese farà naufragio; ma quello che asseconda i venti e le correnti si salva (vv. 715-717). Sia Emone che Tiresia, quindi, stabiliscono una connessione tra imparare e cedere, tra saggezza pratica e flessibilità".
lunedì 14 luglio 2014
BICENTENARIO DELL'ARMA DEI CARABINIERI (1814-2014)

Il motto dell'Arma è "Nei secoli fedele".
Foto di Alessandro di Marco per Ansa
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