Massimo Gramellini
La notizia plana in redazione come un’intrusa,
posandosi sopra i piagnistei indignati di qualche ladrone e l’ennesima
baruffa politica fra Chissaramai e Chissachì. Narra di un furgoncino che
batte le strade di Alessandria per ritirare dai negozi, a fine
giornata, i prodotti freschi rimasti invenduti e farne dono alle mense e
agli ostelli dei poveri. L’iniziativa promossa dalle associazioni
locali di volontariato si chiama «Recuperiamoci, ridiamo vita al cibo».
Sembrerebbe l’opera estemporanea di un consesso ristretto di anime
caritatevoli, ma nelle stesse ore scopro che domenica prossima un’amica
metterà in vendita a prezzi simbolici metà del suo guardaroba e che
un’anziana benestante, senza parenti e con un orizzonte limitato di
futuro, ha imprestato ai vicini di casa le eccedenze del suo conto in
banca.
E’ un filone comunitario che cresce sottotraccia, una delle prime
risposte alla crisi epocale che ha cambiato per sempre le nostre vite,
restituendoci quel senso della misura la cui sconsolante mancanza rende i
potenti così insopportabili. Esaurita l’era dell’accumulazione
nevrotica e compulsiva, chi ha qualcosa di cui non sa che farsene sente
il bisogno di darlo a chi ne ha più bisogno di lui. Può trattarsi di
cibi, di vestiti, di libri già (o mai) letti. Ma anche di un bene
altrettanto prezioso e forse ancora più scarso: il tempo. Per ascoltare
chi non ha orecchie a cui rivolgersi. Per parlare a chi è in cerca di
consigli. Per amare senza condizioni né aspettative, che poi resta
l’unico modo di uscire veramente dal tempo e sentirsi, nonostante tutto,
persino felici.
(La Stampa, 3.10.2012)
2 commenti:
Ma bello!
;-)
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