Storie di sottobottega, dove un sottobosco di “artisti” che non sanno fare nulla vive una poco esaltante vita tra prestazioni sessuali al potente di turno e sniffate di coca nei privé di discoteche milanesi (e così la Yespica e la Ribas si rimpallano le accuse: “E’ lei che fa uso di coca”, “No, è lei”). Dove il transessuale Fabrizia decide -dietro congruo compenso- di parlare a Corona dei particolari piccanti della sua serata con Lapo Elkann, e poi si scopre che non era l’unico trans frequentato dal rampollo Fiat. Dove Flavia Vento, sempre convinta da Corona, rilascia, al solo scopo di farsi pubblicità, un’intervista sulla sua relazione con Totti. Dove Sircana viene colto nell’atto di guardare dalla sua auto un travestito ai bordi del marciapiede, e dove fa capolino la figlia di Berlusconi, in una foto in cui appare accompagnata da un tale, ma che di scandalistico hanno davvero poco. Dove Corona (ed anche Lele Mora) è un santo, vittima di una schifezza di società dove devi fregare prima di essere fregato, Corona che non ha ricattato nessuno per avere soldi e non pubblicare quei materiali compromettenti, ma che è stato spontaneamente contattato dalla Fiat e dagli agenti di sportivi e veline per comprare le foto incriminate. Un solo difetto: “Mi piacciono i soldi, e questo è un modo veloce e sicuro per farli”.
Il magistrato Di Pietro (notevole quel “tu” usato quasi subito rivolgendosi a Corona, quasi a rimarcare la distanza che corre tra inquisitore e inquisito), dice che di fronte a tanto “fecciume”, si “sente depresso”. Non più le grandi inchieste di Tangentopoli dove c’era da stanare criminali di altissimo profilo, ma robetta squallida come i personaggi che ne sono protagonisti. E Gramellini, mentre raccomanda a Corona di fare un po’ di “ecologia linguistica” (“perché se si parla bene si pensa anche meglio”), si rammarica con la sua categoria, quella dei giornalisti, per avere dato tanto risalto ai personaggi di questa vicenda, che non meritano il clamore e la notorietà che in questo modo hanno ricavato.