Nessuno di noi avrebbe voluto “tanto”, un simile confronto disumano tra eroi e vili, chiusi in un dramma ch’era di tutti, ormai. Una sola cosa volevamo, che finisse, finisse al più presto. Di quel che succedeva in Russia poco si riusciva a sapere, ma che fosse stato eliminato lo zarismo c’era sembrato un fatto positivo. Erano crollati in marzo, quei bravi signori, però la guerra seguitava sulle linee orientali e continuavano ad esservi impegnate le forze austro-tedesche, che non s’erano quindi spostate in massa sul “nostro fronte. Il solo effetto che da noi si poteva cogliere era che gli scioperi nelle fabbriche si facevano più frequenti e più aggressivi, la parola “rivoluzione” circolava da un pezzo – e mio padre corrugava la fronte. Non gli piaceva, quella parola, era chiaro; e nemmeno che le donne, costrette a sostituire gli uomini e a farsi operaie, si agitassero tanto e andassero per le strade urlando a contestare la guerra, a chiedere pane e pace. A me sembrava giusto, invece, una finestra s’era, per esse, fortunatamente spalancata sul mondo e sulla realtà, ma a lui le donne piacevano a casa, era indubbio; ancora meglio nel letto degli uomini, le “male arti” a loro esclusivo servizio, anche se camuffate nel matrimonio.
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli
Editori, Milano 1976, pp. 184-185
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