Un giovane Gustavo Adolfo Wieselberger, dal quadro poi utilizzato come copertina dal romanzo della Cialente
(Trieste News) - 20.01.2024 – 07.01 – La storia di Trieste è ricca di personaggi grandi e piccoli, spesso accantonati ai margini dei libri per i grandi sconvolgimenti novecenteschi. Si smarrisce così la memoria di figure storiche che, nel corso dell’ottocento, erano considerate importanti; e anche tra coloro che vengono menzionati permangono lacune e dimenticanze. La scena letteraria triestina non sembra, per l’ottocento e il novecento, voler andare oltre la sola trinità di Svevo, Joyce e Saba; e tra le figure imprenditoriali di Trieste persino giganti come Pasquale Revoltella non sono stati oggetti di trattazioni accademiche, di biografie scientifiche che, se avessero vissuto in Germania o in Inghilterra, avrebbero abbondato. La cecità saggistica prorompe poi nel caso della storia musicale dove Trieste, nell’ottocento, si distingueva per quantità e qualità dei componimenti. Il Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl, nel suo essere ‘compresso’ tra i pochi piani di Palazzo Gopcevich, nella sua boccheggiante densità di strumenti, spartiti e costumi, restituisce con efficacia quanto viva fosse la Trieste musicale di due secoli addietro.
Tra queste figure – minore, eppure significativa – piace ricordare la storia particolare di Gustavo Adolfo Wieselberger (1834-1910).
Personaggio multiforme, accomunato però dal minimo comun denominatore della passione musicale, Gustavo Wieselberger fu soprattutto un compositore.
Il suo lavoro principale era nel campo della didattica, ma lavorò anche come musicista e ricoprì incarichi nell’amministrazione comunale. Quale invece direttore d’orchestra diresse principalmente l’orchestra della Società Filarmonica di Trieste dal 1873 al 1874. Non mancava un’attività giornalistica quale corrispondente da Trieste per la Gazzetta musicale di Milano, diretta a sua volta dall’amico Giulio Ricordi. Gestiva d’altronde un ampio carteggio con tante personalità musicali del periodo; da Verdi a Puccini.
In campo politico, eletto consigliere comunale, curò nuovamente le attività musicali direttamente correlate al Comune.
Gustavo Wieselberger rimase però soprattutto noto, nella Trieste austriaca, come un compositore in odore di irredentismo. Una sua Sinfonia venne suonata, con successo, al Teatro Grande nel 1865. Scrisse inoltre due Inni, rispettivamente per la Società Ginnastica e per l’associazione Pro Patria. Nel primo caso era una delle tante espressioni della SGT a inizio novecento, a seguito della chiusura delle autorità austriache. I suoi contemporanei però lo associavano maggiormente alle composizioni per i salotti borghesi: i suoi spartiti erano affollati di Lieder, Hausmusik, pezzi per pianoforte e romanze. Il musicologo Giuseppe Radole, all’interno dell’opera ‘Ricerche sulla vita musicale a Trieste, 1750-1950’ (Edizioni Italo Svevo, 1988), definì la sua scrittura come “di maniera, però di buona maniera”.
Gustavo Wieselberger sarebbe stato probabilmente dimenticato, se non fosse stato per la nipote. La scrittrice Fausta Cialente (1898-1994) scelse quale romanzo biografico (e maggiore successo: premio Strega nel 1976) proprio le vicende della famiglia Wieselberger a cavallo tra ottocento e novecento, attraverso lo sguardo delle quattro figlie.
Molti ricorderanno il famoso incipit: “Le sere in cui l’orchestra veniva a suonare in casa la famiglia doveva cenare assai più presto del solito perché la signora e le ragazze, aiutate dalle due domestiche, avessero il tempo sufficiente per sbarazzare la tavola della sala da pranzo e riporre ogni cosa, la grande porta a vetri che la separava dall’entrata sovendo rimaner aperta. Bisognava tenere ben chiusi, invece, tutti gli usci verso la cucina e i “servizi” giacché il padre non voleva sentire durante l’esecuzione – ch’era più che altro una “prova” – gli strepiti delle rigovernature e le chiacchiere, le ciàcole, anzi delle serve. Queste prove si facevano dunque nell’entrata dell’appartamento, ch’era molto ampia e comunicava s’un lato con la sala da pranzo e sull’altro col salotto “buono”, in modo che la sonorità piacevolmente si spandeva e si potevan piazzare le file delle seggiole destinate agli eventuali ascoltatori. I vasi delle piantine ornamentali venivano spinte da parte e si tiravano i tendaggi per dare il maggior spazio possibile agli orchestranti che con le loro sedie e i loro strumenti dovevano stare s’una bassa pedana. Non erano molti, una ventina forse, ma tutto v’era compreso, gli archi, i fiati, gli ottoni; e il padre dirigeva, lui, in piedi s’un basso panchetto posto col leggio di fronte alla pedana, ma un po’ discosto e giusto nel mezzo.”
I salotti musicali della famiglia Wieselberger, rievocati dalla penna della Cialente, avevano tra i tanti ospiti un signore modesto, definito dalla figlia Elsa “molto molto simpatico”. Era un certo “Ettore Schmitz” che, di tanto in tanto, si dilettava nella scrittura.
Fonti: Nel giorno della inaugurazione del monumento a Giuseppe Tartini in Pirano, ristampa anastatica del 1992 del Centro di ricerche storiche di Rovigno.
Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, Mondadori, 1976
[z.s.]
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