(Daniele De Folchi) - Sabato Febbraio 2024 ,noi del gruppo di ricerca ISTRIA ITALIANA commemoriamo il giorno del ricordo,istituito dal senatore Roberto Menia con Legge n.92 del 30 Marzo 2004.
sabato 10 febbraio 2024
GLI STUDI DEL GRUPPO "ISTRIA ITALIANA"
venerdì 9 febbraio 2024
FAUSTA CIALENTE: L’AVVENTURA DI RADIO CAIRO
Per
quanta indignazione potesse sollevare in noi lo spettacolo d’una seconda guerra
mondiale (a poco più di vent’anni dalla fine della prima) che si sarebbe potuta
evitare, con tutti gli orrori a cui ci fece assistere, se la chiara lezione che
ci aveva dato la guerra in Spagna e il trionfo del franchismo fossero almeno
serviti a far intendere agli stati europei, Francia e Gran Bretagna in prima
linea, che non bisognava, per l’eterna paura del “bolscevismo”, proteggere i
fascismi, non mi sentii sperduta come la prima volta. La grossa esperienza non
era stata inutile. Perciò, quando nell’ottobre del ’40, dagli ufficiali inglesi
della propaganda mi venne offerto d’iniziare una trasmissione antifascista alla
radio del Cairo, accettai subito; non con entusiasmo, perché sarebbe stato
difficile averne nelle condizioni in cui mi sarei trovata, già lo sapevo,
collaborando con quello che avrebbe dovuto essere il “nemico ufficiale” e del
cui sincero antifascismo dubitavo assai; ma lo sentii lo stesso come un preciso
dovere. Era un’arma che la sorte mi poneva in mano e con quell’arma, astuzia
aiutando, sul fascismo avrei finalmente sparato anch’io.
Dovetti
quindi trasferirmi da Alessandria al Cairo e in un primo momento non ritrovai
gli entusiasmi che la bellissima città, superbamente adagiata sulle rive del
Nilo, aveva sempre suscitato in me col suo paesaggio, i suoi colori e i suoi
odori – poiché un paese è fatto anche di questi, sopra tutto in Oriente. Il duro
lavoro che avevo accettato, i problemi che dovevo affrontare, mi fecero,
durante anni, in apparenza una solerte e precisa funzionaria; in realtà
svegliarono una persona che non avrei mai supposto di poter essere, con tutta
la malizia, l’arroganza, la capacità d’intrigo e d’aggressione che richiedevano
la quotidiana difesa dell’indipendenza e dell’efficienza del nostro lavoro;
perché non ero sola, evidentemente, avevo i miei bravi e fedeli collaboratori
che per fortuna m’erano stati imposti. Non ero più la “scrittrice”, avevo
perfino dimenticato d’esserlo stata, mi sembrava che non avrei più potuto
perder tempo a “inventare storielle”, la crudeltà della guerra mi faceva vedere
questo come la cosa più inutile del mondo. Avevo torto, ma così è stato.
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 222-223.
(Alle pp. 232-233 parla della morte di Renato
Cialente)
FAUSTA CIALENTE: EQUIVOCO SU MUSSOLINI
Quella
che io avevo creduto intelligenza non era stata altro. Dunque, se non una buona
cultura musicale e letteraria. Incapace oggi ancora di farle intendere come la
sua città stesse già soccombendo a tutti i punti di vista da quando aveva la “fortuna”
di appartenere al regno d’Italia. Naturalmente, non sollevai nessun problema
del genere, nemmeno quello, vergognoso, del razzismo fascista contro gli
sloveni, tanto non avrebbe capito, o, peggio ancora, non mi avrebbe creduta; e
il mio soggiorno a Malborghetto fu piacevole, il clima di mezza montagna mi
aveva presto guarita e con me la zia era gentile e affettuosa.
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 219-220.
domenica 4 febbraio 2024
FAUSTA CIALENTE: LA RICCA CULTURA LEVANTINA
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 211-212
FAUSTA CIALENTE: LA MARCIA SU ROMA. LE COLPE DELLA BORGHESIA
Mi ero sposata qualche anno dopo la fine della guerra e avevo lasciato l’Italia mentre il fascismo, che s’era apertamente messo al servizio d’una miope politica di conservazione, andava facendosi le ossa. La borghesia, fossero gl’industriali del nord o gli agrari del sud, aveva più che mai l’aria di volersi finalmente vendicare sulla massa di tutte le paure sofferte dopo Caporetto – le rivolte, gli scioperi, le settimane rosse – e si proponeva senza ulteriori indugi ad agguantare il potere. Il caso volle che al mio primo viaggio di ritorno dall’Egitto, mio marito ed io assistessimo a Milano alla partenza della “Marcia su Roma”. Una sparuta e scarsa marmaglia in camicia nera e nappe ballonzolanti era radunata in Piazza del Duomo, nel semibuio d’una sera d’ottobre; pochissima gente intorno e dalla Galleria, dove noi eravamo, partirono qualche fischio e qualche applauso, ma nulla di più. Già si sapeva che quei bravi sarebbero comodamente andati in treno e difatti, scendendo poi l’Italia per imbarcarci a Brindisi, li avremmo ritrovati a Firenze, dove per l’ultima volta avrei incontrato la sorridente e affettuosa Myrrhine. Ma, prima di partire, andammo a salutare mio padre e mia madre che abitavano di nuovo a Milano (non si erano ancora separati, come avvenne in seguito), e raccontammo quel che i giornali del mattino avevano annunciato. Mio padre posò il sigaro sul posacenere e guardandoci in viso disse freddamente: «Lo so… ed ora ne avremo per trent’anni».
(Sbagliò di dieci). Io lo guardai esterrefatta, non avevo capito dal suo tono gelido se assistevamo a qualcosa che, secondo lui, si doveva o no accettare, ma, riprendendo il sigaro e dopo averlo riacceso aveva aggiunto con impassibile disprezzo: «Siamo un gran popolo di cialtroni».
Le quattro ragazze Wieselberger, Club degli Editori, Milano 1976, pp. 207-208