domenica 26 aprile 2015

DIETRICH BONHOEFFER, IL TEOLOGO CHE SFIDO' HITLER

Figura dimenticata dai libri di storia, è possibile conoscerla parlando con qualche teologo o docente di religione, che ti parlerà di Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante, di come avesse compreso immediatamente chi fosse Hitler e della sua opposizione al Nazismo, che gli costò l'mpiccagione nel campo di concentramento di Flossenbürg, a metà strada tra Norimberga e Praga, il 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine del regime a cui egli si era così strenuamente opposto.
Mente brillante e poliedrica, Bonhoeffer  (Breslavia, 4 febbraio 1906 – Flossenbürg, 9 aprile 1945) è figlio di un eminente psichiatra di origine berlinese e di una insegnante, di famiglia alto borghese e molto rispettabile. Dopo aver pensato di seguire le orme paterne, abbraccia invece la carriera ecclistica, divenendo pastore protestante. A soli 21 anni consegue un dottorato a Berlino. Viaggia molto, poi torna in Germani ed a soli due giorni dalla presa di potere da parte di Hitler, pronuncia una conferenza via etere dove afferma: «Se il capo permette al seguace che questi faccia di lui il suo idolo, allora la figura del capo si trasforma in quella di corruttore... Il capo e la funzione che divinizzano se stessi scherniscono Dio». 
Bonhoffer si oppose duramente alla politica antisemita di Hitler, e perseguitato in patria dal Nazismo, nel 1939 dovette trasferirsi negli Stati Uniti, ma con lo scoppio della  seconda guerra mondiale decide di tornare e condividere il destino del suo popolo. Partecipa alla congiura del gruppo Oster, Dohnanyi, Müller, per fermare Hitler prima dello scoppio della guerra, ma senza esito. Tenta poi una seconda congiura, d'intesa con l'ammiraglio Canaris, ma, scoperto, viene arrestato e portato cnel arcere di Tegel, nei sobborghi di Berlino, in regime di prigionia stretta. La fine è nota.
In carcere Bonhoffer compose delle lettere che alcuni teologi considerano come l'inizio di una nuova epoca teologica.

DELLA STUPIDITA'

Su questo tema Bonhoffer riflette in alcune lettere,
Tra le altre cose, scrive:

La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta sempre con se il germe dell'autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso di malessere nell'uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. 

Per sapere come possiamo accostarci alla stupidità, dobbiamo cercare di capirne l'essenza. Per ora è appurato che essa non è un difetto intellettuale  ma un difetto umano. Ci sono uomini di straordinaria agilità intellettuale, che sono stupidi e altri, molto lenti e incerti intellettualmente, che sono tutt'altro che stupidi. Con nostra sorpresa facciamo questa scoperta in occasione di determinate situazioni. In questi casi non si ha tanto l'impressione che la stupidità sia un difetto innato, ma che in determinate condizioni gli uomini sono "resi" stupidi o, in altri termini, si lasciano istupidire. Constatiamo inoltre che le persone chiuse, solitarie, denunciano meno questo difetto che le persone o i gruppi sociali inclini o condannati alla socievolezza. Sembra dunque che la stupidità sia forse meno un problema psicologico che sociologico. Essa è una forma particolare dell'effetto provocato sugli uomini dalle condizioni storiche, un fenomeno psicologico che riflette determinate situazioni esterne. A un'osservazione più attenta, si vede che ogni forte manifestazione di potere esteriore, sia di carattere politico che di carattere religioso, investe di stupidità una gran parte degli uomini. Si, sembra proprio che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell'uno ha bisogno della stupidità degli altri. Il processo attraverso cui ciò avviene  non è quello di un'improvvisa atrofizzazione o sparizione di determinate doti dell'uomo - nel caso specifico, di carattere intellettuale - ma di una privazione dell'indipendenza interiore dell'uomo, sopraffatto dall'impressione che su di lui esercita la manifestazione della potenza, tanto da fargli rinunciare - più o meno consapevolmente - alla ricerca di un comportamento suo proprio verso le situazioni esistenziali che gli si presentano.

Queste riflessioni sulla stupidità hanno in sé un elemento di consolazione, nel senso che non accettano affatto il presupposto che la maggioranza degli uomini sia stupida in ogni condizione di fatto. Il problema vero è dunque se i potenti si aspettano di più dalla stupidità o dall'autonomia interna e dall'intelligenza degli uomini.
Dietrich Bonhoeffer - Resistenza e resa  pag. 62  -  Bompani 1969

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