Prima la notizia: la notte di S. Silvestro, a Roma, l'83,5% dei vigili urbani si è dato malato o comunque si è assentato dal lavoro utilizzando altri tipi di permesso (dalla legge 104 alla donazione di sangue).
Come conseguenza, grande scandalo, governanti di ogni livello e media
di regime scantenati contro i "fannulloni del pubblico impiego" - tutti
insieme, nessuno escluso, come si fa nei pogrom - e richiesta
generalizzata di bastonare i reprobi (il pubblico impiego in generale).
Il premier Matteo Renzi cavalca l'onda con facilità, annunciando che il
2015 sarà l'anno del "cambio di regole nel pubblico impiego" per far sì
che non si ripetano mai più casi come quello della Capitale.
Il
ministro del settore, Marianna Madia, cala per una volta la maschera di
madonnina e tira fuori artigli, ventilando "azioni disciplinari" per
"colpire gli irresponsabili". Il Garante per gli Scioperi -
quell'autorità creata quasi venti anni fa con l'unico obiettivo di
impedire o rendere comunque irrilevanti gli scioperi nei servizi
pubblici (tra precettazioni, "servizi garantiti", sanzioni e
"affollamenti") - ha prospettato sanzioni "fino a 50 mila euro". E
subito emergono le proposte per rendere "più facile il licenziamento
degli statali", il trasferimento all'Inps (invece che alle Asl)
dell'incarico di eseguire i controlli medici sui periodi di malattia,
"commissioni ad hoc" per la valutazione del "rendimento" dei singoli
dipendenti pubblici, la riesumazione delle "norme Brunetta" e via
reprimendo in via preventiva...
* * *
(Dal blog di Carlo Gubitosa) - Matteo
Renzi è stato per due anni consecutivi il sindaco più assenteista
d’Italia (con il 59% di assenze in consiglio comunale nel 2013 e
addirittura l’82% nel 2012), ma adesso che è diventato premier ritiene
giusto che in futuro paghi col licenziamento “un impiegato pubblico che
sbaglia, partendo dai furti e arrivando all’assenteismo a volte vergognoso“, e su questo principio si dichiara “pronto al confronto in parlamento“.
Ma c’è ben poco da confrontarsi: forse Renzi ignora che la legge italiana ha già introdotto da diversi anni la possibilità di licenziamento a seguito di un procedimento disciplinare per i dipendenti pubblici ladri o nullafacenti, che falsificano documenti, dichiarano il falso, riportano condanne penali definitive o hanno una insufficiente valutazione del rendimento nell’arco di un biennio. Il licenziamento non è ancora previsto, invece, per le cariche elettive ricoperte in seno alle istituzioni pubbliche, che consentono ancora di assentarsi a piacimento dal luogo di lavoro, come ha potuto fare il “sindaco d’Italia” quando era ancora sindaco di Firenze.
Del
resto, i licenziamenti senza giusta causa sono appena stati legalizzati
nel settore privato con il crudele sillogismo alla base del “Jobs Act”:
Voglio diritti uguali per tutti. C’è qualcuno senza diritti. Allora
togliamoli a tutti per affermare nobili principi di uguaglianza. In
questo modo la disparità di trattamento tra precari e contrattualizzati è
stata eliminata alla radice: adesso sono tutti licenziabili a
piacimento, fannulloni e stakanovisti. E’ il libero mercato, bellezza,
dove i problemi si possono scaricare dai piani alti fino ai livelli più
bassi della piramide sociale.
Il passo successivo sarà quello di far notare che adesso i dipendenti pubblici hanno più diritti di quelli del settore privato, e in nome dell’uguaglianza bisognerà negare questi diritti con un nuovo livellamento verso il basso, che renderà tutti i lavoratori ricattabili perché nessuno sarà più tutelato da licenziamenti arbitrari, nemmeno chi lavora sodo e si trascina in ufficio anche con la febbre.“la vera vittoria del renzismo - scrive Robecchi - [è] aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale“, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente, di un’ideologia”.
La
“perla” di Renzi sui ladri e i fannulloni, dipinti come inamovibili
anche se è già possibile licenziarli, non è una gemma isolata, ma va
incastonata in quel teatrino della politica dove i “rottamatori dei
diritti” hanno costruito sapientemente nel corso degli anni un ricco
cast di personaggi: i “lavoratori flessibili” di Maroni, da flettere
fino allo schiavismo, i “dipendenti pubblici fannulloni” di Brunetta su
cui far convergere l’odio dei meno abbienti, gli “annoiati dal posto
fisso” di Monti che rifiutano le sfide della modernità, i “disoccupati
schizzinosi” della Fornero che non lavorano per colpa loro, e dulcis in
fundo i “contrattualizzati privilegiati” di Renzi, spogliati delle loro
misere tutele per renderli nudi tanto quanto i precari davanti ai loro
datori di lavoro.
Per
quanto mi riguarda, è palese che lo Stato col pubblico impiego fa
girare l’economia italiana più di quanto non faccia la grande industria,
e che piegare anche il settore pubblico alla logica del profitto (per
alcuni fortunati che resteranno nella macchina statale a prescindere dal
loro rendimento) significa condannare il paese alla miseria (per tutti
quelli che non avranno santi in paradiso e si vedranno licenziati anche
lavorando sodo, perché i bilanci si faranno quadrare coi licenziamenti e
i tagli orizzontali).
A conferma del ruolo centrale del pubblico impiego come motore dell’economia, ci sono i dati di realtà raccolti in una ricerca pubblicata dal Forum PA, da cui risulta che i dipendenti pubblici in Italia sono il 14,8% rispetto al totale degli occupati, e di conseguenza rappresentano una fetta consistente della popolazione lavoratrice, che con il suo reddito e le sue spese aiuta a tenere in piedi l’economia del paese, e in molti casi ne compensa anche le diseconomie, come avviene nelle famiglie in cui il reddito di un dipendente pubblico compensa l’intermittenza di reddito di un familiare precario.
A conferma del ruolo centrale del pubblico impiego come motore dell’economia, ci sono i dati di realtà raccolti in una ricerca pubblicata dal Forum PA, da cui risulta che i dipendenti pubblici in Italia sono il 14,8% rispetto al totale degli occupati, e di conseguenza rappresentano una fetta consistente della popolazione lavoratrice, che con il suo reddito e le sue spese aiuta a tenere in piedi l’economia del paese, e in molti casi ne compensa anche le diseconomie, come avviene nelle famiglie in cui il reddito di un dipendente pubblico compensa l’intermittenza di reddito di un familiare precario.
CARLO GUBITOSA
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