sabato 31 gennaio 2015

TROPPE ORE DI SCUOLA, ATTENZIONE ALLA SALUTE DEI RAGAZZI



Secondo recenti studi, i bambini e gli adolescenti italiani passerebbero troppo tempo a scuola, in confronto alla media europea, con detrimento per la salute, e fenomeni di depressione ed obesità, legati allo stravolgimento dei ritmi veglia-sonno. Al troppo tempo passato a scuola è da imputare la mancanza di concentrazione, distrazione e disordini alimentari.
Lo affermano con sicurezza il professor Yvan Touitou, un cronobiologo professore alla Faculté de médecine de la Pitié Salpêtrière, ed uno studio della American Academy of Pediatricians (AAP), intitolato Let them sleep (lasciamoli dormire.
Il paese dove i bambini restano di meno a scuola è la Finlandia, eppure i risultati raggiunti sono i migliori a livello globale, come rivela l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Al contrario, le performance degli studenti italiani sono ancora al di sotto delle medie.
Il che equivale a dire che, magari, l'attuale orario scolastico, dalle otto del mattino, alle due del pomeriggio, andrebbe rivisto. 

venerdì 30 gennaio 2015

IL VAGONE DELLA DISCORDIA A PIAZZA CASTELLO, TORINO






Il vagone che portò i deportati dei nazisti nei campi di concentramento resterà al suo posto per tutto il tempo della mostra dedicata a Primo Levi ("Il mondo di Primo Levi", vedi sul blog fotografico).
Effettivamente, il soprintendente Luca Rinaldi, figlio di un partigiano, ha avuto un'idea geniale. Il vagone, piantato davanti palazzo Madama a Torino, al centro dell'elegante Piazza Castello, ha un effetto potente sulla psiche di chi si sofferma a guardarlo. E' un monito: nel cuore della civile Europa, di cui l'eleganza della piazza è anch'essa espressione, è successo anche questo. Quel vagone rende immediatamente l'idea di quello che tante innocenti persone hanno dovuto subire dai loro disumani aguzzini. E si avverte anche una sorta di dolore fisico... anche se alcuni hanno la brillante idea di farsi immortalare in pose davanti al vagone dove esseri umani venivano trasportati come capi di bestiame, anzi, peggio. Il carro è un monito. Vale più di cento mostre messe assieme e di fiumi di parole sull'argomento.

AUSCHWITZ - FRANCESCO GUCCINI


giovedì 29 gennaio 2015

LA PAROLA VIGLIACCA

MASSIMO GRAMELLINI

Quando i messaggi in Rete divennero di uso comune, noi fanatici della scrittura vivemmo un momento di rivalsa. L’oralità trionfante cedeva sorprendentemente il passo a una comunicazione meno spudorata, che avrebbe consentito anche ai timidi e ai riflessivi di fare sentire la propria voce nella piazza dell’umanità. Mai previsione è stata più stropicciata dalla realtà. Che si parli della malattia di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria - per limitarsi agli ultimi giorni - sul web si concentra un tasso insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa, oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia. 
Non mi riferisco al merito dei commenti. Nell’Occidente di Charlie ciascuno è libero di esprimere le opinioni più urticanti, purché rispettose della legge. No, è la forma dei messaggi che corrompe qualsiasi contenuto. Una radiografia di budella, una macedonia di miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se stessi. Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la strada per le corde vocali. Nessuno di quelli che per iscritto augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio. La solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una dimensione così allucinata, almeno. Per noi innamorati della parola scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche certezze. Per la prima volta guardo il tasto «invio» del mio computer come un nemico. 

domenica 25 gennaio 2015

50 ANNI FA MORIVA WINSTON CHURCILL, L'UOMO CHE INVENTO' LA LIBERTA'


STREET ART A ROMA, COMPLETATO IL MURO DI PORTO FLUVIALE

grenme - Ci troviamo a Roma, esattamente in via del Porto Fluviale, dove dopo due anni di intenso lavoro l'artista di strada Blu, ha completato la sua ultima opera di street art. Il murale copre l'intera facciata dell'ex magazzino militare, trasformando le finestre in volti e le pareti in un caleidoscopio di volti colorati, definiti con una miriade di dettagli. Grazie alla sua abilità ed alle tecniche utilizzate le linee sagomante e i colori sfumati creano l'illusione dei materiali e della profondità.
L'opera di street art nell'ex magazzino militare, costruito nel 1910, è il lavoro più esteso di Blu, artista che si è affacciato sulla scena nel 1999 ed è diventato famoso anche per i contenuti politici e sociali della sua opera. Il murale si estende su tre piani, in cui le quasi cinquanta finestre diventano gli occhi dei personaggi, donando un tocco di vitalità al paesaggio urbano circostante.
Il progetto è stato realizzato senza alcuna autorizzazione ufficiale, ma è stato interamente finanziato dai residenti. L'edificio infatti è attualmente occupato.
 
 

giovedì 8 gennaio 2015

IN EDICOLA A BENEVENTO 'REPORTAGES' NUMERO 18

 
In questo numero da collezione, tra gli altri servizi:
Intervista in esclusiva mondiale alla filosofa Martha Nussbaumm;
Alla scoperta del monastero del Goleto;
Patrimoni Unesco, dalle Langhe al Sannio;
Letteratura: Beppe Fenoglio e ‘Gocce d’Irpinia’;
Costume: 1984-2014;
Storie di donne: Adelaide del Balzo, Lucrezia d’Alagno, Annie Leibovitz, Graziella da Procida.
Clicca qui per il promo video: https://www.youtube.com/watch?v=ADkt7n8_gIg

domenica 4 gennaio 2015

LA PICCOLA ANGELINA ROMANO, MARTIRE DELL'UNITA' D'ITALIA



La piccola Angelina Romano, martire dell’Unità d’Italia

di Valerio Rizzo - Oggi si narrerà una storia triste, drammatica, una storia che se per un verso è assimilabile a tantissime altre, per un altro contiene qualcosa di talmente scomodo, da essere stata volutamente tenuta nascosta e sottaciuta. Si narrerà di ciò che successe in un paese siciliano, Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, ad una bambina di soli 9 anni.
Gli artefici di questa crudele vicenda sono coloro che nella storia “ufficiale” vengono definiti “liberatori”e la brutalità con cui si sono svolti i fatti dovrebbe far scaturire le stesse sensazioni di quelle narrazioni televisive, a cui oggi siamo tanto abituati, e in cui purtroppo i bambini sono protagonisti in negativo. E’ passato più di un mese da tutta quella patetica retorica risorgimentale messa in scena il 17 marzo scorso, o da quello spettacolo retorico fatto da Benigni sul palco dell’Ariston in cui si è elogiato il Risorgimento come una rivoluzione di popolo, ma che la realtà storica ha dimostrato, in più occasioni, che fu solamente una evento voluto da pochi e a causa di interessi, soprattutto economici.
Ma torniamo alla nostra bambina di 9 anni. Era l'inverno del 1862, e già dall'anno precedente il neo governo sabaudo-piemontese aveva mandato in Sicilia il generale Covone dandogli poteri “speciali”, tra cui quello di emanare la legge marziale e proclamare lo stato d'assedio. Il primo atto di questo generale fu quello di dare ordine ai soldati piemontesi di avere “libero arbitrio” nel decidere della vita o della morte dei siciliani. Proprio in questo clima di ostilità accaddero fatti gravissimi che coinvolsero la città di Castellammare del Golfo. Ivi il malcontento verso gli oppressori sabaudi era molto forte, ma la scintilla che fece esplodere la rivolta fu l'introduzione della leva militare obbligatoria, provvedimento sconosciuto sotto i Borbone.
Tale legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 30 giugno 1861, comportava l’allontanamento per sette lunghi anni di tanti giovani dalle loro famiglie e dalle loro terre.Per scappare da questa norma ingiusta tantissimi ragazzi si nascosero nei boschi e nelle colline intorno alla città, ma non potendo vivere a lungo in quelle condizioni disagiate, il 2 gennaio 1862 decisero di insorgere contro i piemontesi.
Così, alle 14 di una gelida giornata invernale, più di 450 giovani, armati di qualsiasi cosa avessero trovato per le strade, entrarono nella città di Castellammare e diedero l'assalto alla sede del commissario di leva Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso. I piemontesi risposero immediatamente e da Palermo furono mandati interi battaglioni di bersaglieri coadiuvati da ben due navi da guerra che approdarono nel porto della città.
Il corpo di spedizione era comandato dal generale Quintini, famoso per essere tra i più crudeli e spietati nell'isola, e invase immediatamente il paese. Gli insorti furono costretti a fuggire e tornarono a nascondersi nei boschi, mentre centinaia di popolani, abitanti del posto, cercarono rifugio in campagna. Proprio in quel momento avvenne uno degli episodi più drammatici di tutta la storia risorgimentale: mentre i bersaglieri perlustravano i dintorni di Castellammare, nella contrada Falconiera, trovarono un gruppo di cittadini, tra cui il parroco del paese, che si erano rifugiati lì per paura, e il generale Quintini dopo un interrogatorio sommario, diede ordine di fucilare tutta quella gente, senza processo e con l'accusa di essere parenti degli insorti.
Nel frattempo, i soldati udirono i pianti di una bambina che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nelle vicinanze, la presero di peso e la posero, ancora col viso bagnato dalle lacrime, di fronte al plotone di esecuzione. Era il 3 gennaio del 1862, il vento spazzava le lustri divise e faceva svolazzare le “penne” dei bersaglieri, in quel momento chissà quali furono i pensieri di quella bambina che si era trovata per caso di fronte a uomini con strani cappelli pennuti che le puntavano i fucili e che parlavano in una strana lingua. Chissà se in quel momento si rese conto di stare vivendo i suoi ultimi attimi, e se con matura consapevolezza riportasse alla memoria quando giocava per i prati o quando aiutava la madre a cucire.
Ma a Quintini questi pensieri non interessavano e ordinò senza remore: “puntate, sparate, fuoco!”.
Tale episodio potrebbe ricordare gli eccidi che le SS naziste hanno fatto in Europa, invece stiamo parlando dei “Padri della Patria” e la rabbia che oggi cresce sempre di più e che sale nelle vene sta nel fatto di volere ancora e tutt'ora nascondere queste verità brutali. L'unità d'Italia fu una guerra di conquista a sfondo razzista avvenuta nel Sud Italia con le stesse modalità del nazismo: interi paesi rasi al suolo, brutalità gratuite contro i civili, istituzione di lager; e solo quando questo Paese avrà il coraggio di guardare in faccia i suoi “scheletri nell'armadio” forse potrà pensare al futuro.
Resta il fatto che oggi solo nell'archivio storico militare, ma in nessun libro di storia, troviamo scritto: “Castellammare del Golfo, 3 gennaio 1862, Romano Angelina, di anni 9, fucilata, accusata di Brigantaggio”.

Le altre sette persone fucilate quel giorno:
* Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote
* Mariano Crociata, di anni 30
* Marco Randisi, di anni 45
* Anna Catalano, di anni 50
* Antonino Corona, di anni 70
* Angelo Calamia, di anni 70

LA VERSONE DEL VIGILE URBANO

Dal blog di Alessandro Gilioli

Un vigile urbano di Roma, visto il post di ieri e un po’ di polemiche che ne sono nate qui e sui social, mi ha inviato la sua versione sui fatti di Capodanno. Per timore di ritorsioni, mi ha chiesto di mantenerne l’anonimato. Qui si è naturalmente più che disponibili a pubblicare versioni diverse, se il sindaco o altre autorità vorranno contraddire questa interessante ricostruzione.


Gentile Alessandro Gilioli,

chi le scrive è uno dei circa 6000 agenti di Polizia municipale di Roma, non sindacalista. La ringrazio se attraverso il suo blog è possibile far sapere qualcosa di più su quanto avviene e avvenuto a Roma.

Il contesto.
È in atto a Roma un braccio di ferro tra il Comune e i propri 24.000 dipendenti. Oggetto della vertenza, il nuovo contratto decentrato che il Comune ha voluto imporre e che porterà tra le tante cose a perdite medie sugli stipendi comprese tra i 100-200 e i 400-500 euro. Parliamo di stipendi mediamente da 1200-1600 euro.
Questa rivoluzione contrattuale è stata ispirata alla legge Brunetta del 2009, che prima era rimasta inapplicata.
Le proteste dei dipendenti, tra cui il primo sciopero unitario della loro storia, ne hanno solo rallentato l’iter ma alla fine il piano è partito. A dicembre il livello dello scontro sui tavoli sindacali è diventato durissimo, ed è stato vissuto con trepidazione sui posti di lavoro: il Comune vuole, in sintesi, modificare le norme contrattuali in modo da imporre maggior flessibilitàe disponibilità oraria, pagandola però molto meno. La controproposta dei sindacati, per una volta tutti uniti tra loro, è rimasta del tutto inascoltata. Sui posti di lavoro l’assenza di una reale trattativa ha generato un crescente malcontento.

I vigili.
Per portare a termine il suo fine ultimo, il Comune ha dovuto prendere saldamente in pugno la situazione soprattutto per quel che concerne i vigili, il contingente più numeroso e significativo (anche economicamente, sia in entrata che in uscita) tra i suoi dipendenti. La nostra battaglia è diventata il vero fulcro di tutta la questione contrattuale romana, che è poi in realtà nazionale (si noti a tal proposito i continui interventi di Renzi e della Madia).
Marino ha tra l’altro imposto il controllo politico totale del Corpo portando da subito alle dimissioni l’ex comandante Buttarelli, esponente interno della Polizia Municipale, per sostituirlo con il carabiniere Liporace (candidatura poi saltata per assenza dei requisiti) ed infine con l’ex Polizia di Stato Raffaele Clemente, che costa circa 170 mila euro.
La Polizia Locale a Roma dovrebbe avere 9.400 dipendenti e siamo meno di 6000. E alle proposte di diminuire gli stipendi sono state affiancate l’eliminazione delle indennità di disagio notturno e festivo; dunque lavorare di più e peggio per guadagnare meno.

Capodanno.
Nessuno ha sufficientemente spiegato come funziona normalmente il servizio di Capodanno per la Polizia Locale: necessitano infatti circa 700 unità, che di solito vengono reperite in forma esclusivamente straordinaria (comunque ben pagata, tant’è che mai simili problemi si erano verificati).
Il recente innalzarsi dei toni sui tavoli sindacali ha avuto come risultato da parte dei sindacati la decisione, quest’anno, di non iscriversi agli straordinari nel periodo compreso tra il 20 dicembre e il 15 gennaio: così quasi nessun vigile ha dato la propria disponibilità a lavorare inquel periodo al di fuori dei propri turni ordinari, con conseguente rinuncia ad una buona remunerazione aggiuntiva.
È un risultato del tutto nuovo: mai in passato i sindacati sono stati così uniti, e mai una forma di protesta di questo tipo (che incidesse cioè sul salario del dipendente, come la rinuncia ai turni straordinari) ha avuto adesioni così massicce.
Ad ogni modo, non garantire del lavoro straordinario è un diritto garantito da tutti i contratti collettivi.
In questa tesissima partita a scacchi è parso fin da subito evidente che fulcro decisivo sarebbe stato rappresentato dalla notte di Capodanno, in quanto reperire il numero di vigili necessario a garantire gli eventi organizzati dal Comune sarebbe stato impossibile in assenza del lavoro straordinario, date le carenze d’organico del Corpo.
La contromossa del Comune/Comando al rifiuto degli straordinari è stata su due binari: per via mediatica (cercando di far ricadere sull’irresponsabilità degli addetti al Corpo un eventuale disorganizzazione in qualche evento festivo), con articoli su tutta la stampa locale e nazionale, dai toni duri e talvolta apocalittici; e sui posti di lavoro, sabotando la corretta informazione sull’organizzazione dei servizi e facendo terrorismo psicologico sull’ipotetico utilizzo/abuso di chi fosse stato in servizio nei giorni clou.

I sindacati hanno tentato di scardinare tale meccanismo indicendo un’assemblea per il giorno 31 dicembre, con orario 21.00/03.00 e sperando in un’adesione massiccia: l’intento, palese, era di mettere in luce in una delle situazioni logisticamente più delicate per la città quanto i vigili fossero necessari al Comune, al contrario di quanto dimostrato dall’ente in sede di trattativa. Era una minaccia, forse un bluff, per costringere il Comune a recedere per primo almeno in parte dalle proprie posizioni.
Gli ultimi giorni di dicembre hanno visto così procedere senza sosta due treni messi l’uno di fronte all’altro sul medesimo binario: sui posti di lavoro era dura comprendere chi avrebbe frenato prima, e se qualcuno lo avrebbe poi realmente fatto o se si sarebbe realmente arrivati al violento scontro frontale.

Il Comando, anziché fare mezzo passo indietro, ha lavorato coi propri giuristi per rintracciare ogni limite contrattuale e di legge e obbligarci a fare in ordinario ciò che in straordinario non sarebbe stato coperto. Sono arrivate diffide dalla Prefettura (con forti richiami all’ordine pubblico da garantire); una lettera della commissione di Garanzia per gli scioperi, stimolata dal Comune; e altri interventi intimidatori per farci fare lo straordinario, sebbene questa non sia una prestazione dovuta.
Così alla fine i sindacati hanno rinunciato all’assemblea, anche in seguito a una minacciosa circolare del Comando in cui, citando le porzioni di legge a proprio favore, se ne chiedeva uno spostamento e si minacciavano sanzioni disciplinari pesanti a chi vi avesse aderito: sebbene legalmente non fosse chiaro quanto e se fosse davvero nel giusto, i sindacati hanno deciso di non fare l’assemblea, insomma hanno “frenato per primi”.
A quel punto, senza assemblea, i vigili sono rimasti fermi a capire come il Comune volesse comunque organizzare le cose, a Capodanno, viste le scarsissime adesioni allo straordinario.
La risposta è stata questa: oltre il 50 per cento di chi era di turno il giorno 31 o il giorno 1, anche se come propria turnazione era previsto di mattina o di pomeriggio (e in base a questo avesse organizzato la propria esistenza), si è ritrovato improvvisamente spostato in orario 17-24, 18-01 o 23-06.

Un abuso? Probabilmente sì, specie perché accompagnato da telefonate intimidatorie al personale poche ore prima (del tipo: “Se non ti presenti sarai punito disciplinarmente, anche i malati saranno denunciati” ecc).
Il risultato è stato che, in maniera del tutto spontanea e slegata da qualsiasi proposta sindacale, molti vigili hanno iniziato per conto proprio a studiare il proprio contratto e hanno scoperto di aver diritto da contratto, per esempio, a donare sangue in un giorno di lavoro o ad assistere il proprio parente infermo o a effettuare una visita medica: tutti istituti contrattuali regolari, previsti, ovviamente da esercitarsi con giustificativo a norma di legge.
Dunque, quale che sia la motivazione con cui questi diritti sono stati usufruiti (fosse anche vero l’intento di voler smascherare il Re Nudo), essi rappresentano un legale esercizio delle proprie facoltà, proprio quelle norme opposte impugnate a proprio favore dal Comando sulla base del medesimo dettato contrattuale per impedire l’assemblea e per spostare i turni.

E i malati? Ammalarsi falsamente, è chiaro, è invecereato (reato anche per il medico che scrive il falso, s’intende); dunque chi ha fatto esercizio di un simile pretesto per non andare a lavorare lo ha fatto non usufruendo di un proprio diritto ma “delinquendo”.
Aggiungo tuttavia che la maggior parte dei malati ha ricevuto regolare visita del medico fiscale.
E, soprattutto, veniamo ora ai numeri reali, quelli non detti dal Comune.
I vigili a Roma sono circa 6000, di questi la stragrande maggioranza (oltre 4000, forse quasi 5000) erano già assenti il 31 dicembre perché in precedenza regolarmente autorizzati (si fa perlopiù riferimento ai piani ferie e riposi che ogni dirigente vaglia, modifica e sottoscrive come in ogni posto di lavoro); io stesso ero in ferie e dunque assente giustificato.
Dei circa 1000 e spiccioli rimanenti, con cui il Comune/Comando sperava di fare “le nozze coi fichi secchi”, circa 800 erano gli assenti per altre ragioni al di fuori dalle ferie di cui sopra: il dato del cosiddetto «83% di assenteismo» deriva quindi da questo calcolo.
Di questi 800 circa, i dati circolati parlano di meno della metà di malati (tutti gli altri hanno usufruito di diritti contrattuali di altra natura), e più d’uno da ben prima che il 31 dicembre venisse imposto il “servizio coatto” in centro: il numero degli ipotetici fannulloni quindi scende in modo vertiginoso. Tra l’altro, se invece di limitarsi al dato del 31 dicembre ci si sposta a verificare il lavoro del primo gennaio, si scopre che degli oltre 300 previsti a lavorare nella fascia oraria fino alle 6 di mattina solo 115 sono venuti a mancare per le ragioni già spiegate (siamo intorno al 30-35% del totale, e circa la metà significa una cifra tra il 10 e il 20% di malati, cifra in linea con la stagione e con la situazione meteorologica cui sono stati costretti gli agenti a fine dicembre).
Un ultimo dato significativo a cui è stato dato pochissimo risalto: il ricorso all’istituto della reperibilità dal Comando per coprire i servizi del 31 dicembre.
Si tratta di un istituto per cui i dipendenti, suddivisi in squadre lavorative, devono farsi eventualmente trovare pronti ad intervenire quanto prima in caso di estrema necessità. Il dipendente riceve un’indennità a tal proposito, e viene poi pagato (ad ore, diciamo con le stesse modalità dello straordinario) nel caso in cui venga chiamato effettivamente a prestare servizio. E’ un istituto da usarsi solo per estreme emergenze, molto costoso una volta attivato per il Comune, e utilizzato in tempi recenti solo per una delle nevicate romane degli ultimi anni con Alemanno (ma non, per esempio, per l’alluvione del 31 gennaio 2014). E’ corretto averne fatto uso per un evento ampiamente programmabile e meglio gestibile, non di certo una calamità, come un concerto in piazza? O è stato costosamente utilizzato per far fronte alla disorganizzazione per cui si era fatto affidamento su lavoro non dovuto dei dipendenti, si erano sbagliati i piani ferie, il personale è sotto organico ecc?
Comico, poi, il fatto che siano stati erroneamente contattati anche dipendenti in pensione, trasferiti in altro Comune o addirittura deceduti: si è perso tempo che sarebbe stato prezioso nel caso di un’emergenza vera a causa di elenchi mal aggiornati, responsabilità imputabile a chi dirige il Corpo.

Cordiali saluti.
 
 
 
 
 


SI SONO ACCORTI CHE ESISTONO ANCHE I VIGILI URBANI

Prima la notizia: la notte di S. Silvestro, a Roma, l'83,5% dei vigili urbani si è dato malato o comunque si è assentato dal lavoro utilizzando altri tipi di permesso (dalla legge 104 alla donazione di sangue).
Come conseguenza, grande scandalo, governanti di ogni livello e media di regime scantenati contro i "fannulloni del pubblico impiego" - tutti insieme, nessuno escluso, come si fa nei pogrom - e richiesta generalizzata di bastonare i reprobi (il pubblico impiego in generale). Il premier Matteo Renzi cavalca l'onda con facilità, annunciando che il 2015 sarà l'anno del "cambio di regole nel pubblico impiego" per far sì che non si ripetano mai più casi come quello della Capitale.
Il ministro del settore, Marianna Madia, cala per una volta la maschera di madonnina e tira fuori artigli, ventilando "azioni disciplinari" per "colpire gli irresponsabili". Il Garante per gli Scioperi - quell'autorità creata quasi venti anni fa con l'unico obiettivo di impedire o rendere comunque irrilevanti gli scioperi nei servizi pubblici (tra precettazioni, "servizi garantiti", sanzioni e "affollamenti") - ha prospettato sanzioni "fino a 50 mila euro". E subito emergono le proposte per rendere "più facile il licenziamento degli statali", il trasferimento all'Inps (invece che alle Asl) dell'incarico di eseguire i controlli medici sui periodi di malattia, "commissioni ad hoc" per la valutazione del "rendimento" dei singoli dipendenti pubblici, la riesumazione delle "norme Brunetta" e via reprimendo in via preventiva...

 *  *  *
(Dal blog di Carlo Gubitosa) - Matteo Renzi è stato per due anni consecutivi il sindaco più assenteista d’Italia (con il 59% di assenze in consiglio comunale nel 2013 e addirittura l’82% nel 2012), ma adesso che è diventato premier ritiene giusto che in futuro paghi col licenziamento “un impiegato pubblico che sbaglia, partendo dai furti e arrivando all’assenteismo a volte vergognoso“, e su questo principio si dichiara “pronto al confronto in parlamento“.

Ma c’è ben poco da confrontarsi: forse Renzi ignora che la legge italiana ha già introdotto da diversi anni la possibilità di licenziamento a seguito di un procedimento disciplinare per i dipendenti pubblici ladri o nullafacenti, che falsificano documenti, dichiarano il falso, riportano condanne penali definitive o hanno una insufficiente valutazione del rendimento nell’arco di un biennio. Il licenziamento non è ancora previsto, invece, per le cariche elettive ricoperte in seno alle istituzioni pubbliche, che consentono ancora di assentarsi a piacimento dal luogo di lavoro, come ha potuto fare il “sindaco d’Italia” quando era ancora sindaco di Firenze.
Del resto, i licenziamenti senza giusta causa sono appena stati legalizzati nel settore privato con il crudele sillogismo alla base del “Jobs Act”: Voglio diritti uguali per tutti. C’è qualcuno senza diritti. Allora togliamoli a tutti per affermare nobili principi di uguaglianza. In questo modo la disparità di trattamento tra precari e contrattualizzati è stata eliminata alla radice: adesso sono tutti licenziabili a piacimento, fannulloni e stakanovisti. E’ il libero mercato, bellezza, dove i problemi si possono scaricare dai piani alti fino ai livelli più bassi della piramide sociale.


la vera vittoria del renzismo - scrive Robecchi - [è] aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale“, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente, di un’ideologia”.
Il passo successivo sarà quello di far notare che adesso i dipendenti pubblici hanno più diritti di quelli del settore privato, e in nome dell’uguaglianza bisognerà negare questi diritti con un nuovo livellamento verso il basso, che renderà tutti i lavoratori ricattabili perché nessuno sarà più tutelato da licenziamenti arbitrari, nemmeno chi lavora sodo e si trascina in ufficio anche con la febbre.
 La “perla” di Renzi sui ladri e i fannulloni, dipinti come inamovibili anche se è già possibile licenziarli, non è una gemma isolata, ma va incastonata in quel teatrino della politica dove i “rottamatori dei diritti” hanno costruito sapientemente nel corso degli anni un ricco cast di personaggi: i “lavoratori flessibili” di Maroni, da flettere fino allo schiavismo, i “dipendenti pubblici fannulloni” di Brunetta su cui far convergere l’odio dei meno abbienti, gli “annoiati dal posto fisso” di Monti che rifiutano le sfide della modernità, i “disoccupati schizzinosi” della Fornero che non lavorano per colpa loro, e dulcis in fundo i “contrattualizzati privilegiati” di Renzi, spogliati delle loro misere tutele per renderli nudi tanto quanto i precari davanti ai loro datori di lavoro.
 Per quanto mi riguarda, è palese che lo Stato col pubblico impiego fa girare l’economia italiana più di quanto non faccia la grande industria, e che piegare anche il settore pubblico alla logica del profitto (per alcuni fortunati che resteranno nella macchina statale a prescindere dal loro rendimento) significa condannare il paese alla miseria (per tutti quelli che non avranno santi in paradiso e si vedranno licenziati anche lavorando sodo, perché i bilanci si faranno quadrare coi licenziamenti e i tagli orizzontali).
A conferma del ruolo centrale del pubblico impiego come motore dell’economia, ci sono i dati di realtà raccolti in una ricerca pubblicata dal Forum PA, da cui risulta che i dipendenti pubblici in Italia sono il 14,8% rispetto al totale degli occupati, e di conseguenza rappresentano una fetta consistente della popolazione lavoratrice, che con il suo reddito e le sue spese aiuta a tenere in piedi l’economia del paese, e in molti casi ne compensa anche le diseconomie, come avviene nelle famiglie in cui il reddito di un dipendente pubblico compensa l’intermittenza di reddito di un familiare precario.

CARLO GUBITOSA

CUSANO MUTRI

Dalla pagina facebook di Franco Arminio, paesologo

CUORE DI DONNA

Ci sono donne che camminano controvento da una vita.Ci sono donne che hanno occhi profondi e sconosciuti come oceani. Ci sono donne che cambiano pelle per amore..Ci sono donne che donano il loro cuore, per poi ritrovarsi a raccattarne i cocci da sole…Ci sono donne che in silenzio fanno ballare la propria anima su una spiaggia al tramonto…Se ti fermi un istante le puoi sorprendere, mentre lottano contro il proprio istinto…Mentre fanno passeggiare il proprio dolore a piedi nudi, affrontando onde che ad ogni mareggiata sono sempre più minacciose…Ci sono donne che chiudono gli occhi, ascoltando una musica lenta,che rende ancora più salate le loro lacrime…Ci sono donne che con orgoglio ma con il nodo in gola, rinunciano alla felicità…Ci sono donne che con i loro occhi fotografano quegli splendidi ma così fugaci attimi in cui si sentono abbracciate dall’amore,sperando di mantenerli vivi e colorati per sempre…Se apri gli occhi un istante le puoi osservare, mentre disseminano briciole di se stesse lungo il percorso verso quel treno che le porterà via, mentre urlano la loro rabbia contro vetri tremolanti di una casa diventata prigione…mentre sorridono di disperazione a chi le vorrebbe far tornare alla vita di sempre…Ci sono donne che non si fermano davanti a nulla… perché non troveranno mai la fine di quel filo…Ci sono donne che hanno fatto un nodo per ogni loro lacrima,sperando che arrivi qualcuno a scioglierli… Non fermare il cuore di una donna, niente vale di più. Non far piangere una donna, ogni lacrima è un po’ di lei stessa che se ne va… Non farla aspettare da sola ed impaurita seduta sul confine della pazzia e se la vuoi amare, fallo davvero,con tutto te stesso! Stringila e proteggila… lotta per lei, uccidi per lei, piangi con lei, donale il più bel raggio di sole, ogni giorno tieni sempre accesa quella luce nei suoi occhi,quella luce è speranza, è amore, è puro spirito. É vento, è la più bella stella di qualsiasi notte…
VINICIO CAPOSSELA

venerdì 2 gennaio 2015

BERTOLD BRECHT, ELOGIO DELL'IMPARARE

Impara la cosa più semplice! Per quelli
il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
Impara l’abbiccì: non basta, è vero,
ma imparalo! Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te prendere la direzione.

Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara sessantenne! Tocca a te prendere la direzione!
Frequenta la scuola senza tetto!
Procurati sapere tu che hai freddo!
Affamato, impugna il libro: è un arma.
Tocca a te prendere la direzione.

Compagno, non temere di chiedere!
Non far credito a nulla,
controlla tu stesso!
Quello che non sai di tua scienza
In realtà non lo sai.
Verifica il conto:
tocca a te pagarlo.
Poni il dito su ogni voce,
chiedi cosa significa.
Tocca a te prendere la direzione.
BERTOLD BRECHT

***
Solo chi è in basso non pensa
alla bassezza
mai potrà
venire in alto
BERTOLD BRECHT
(da Poesie di Svendborg, 1936) 

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