lunedì 21 aprile 2014

GOFFREDO PARISE SUL RAPPORTO TRA SCUOLA E TV

La signora Morucchio mi chiede quali libri deve far leggere ai suoi figli, restii alla lettura. Vede, signora, se i suoi figli hanno tanta ripugnanza per la lettura (la cultura umanistica non si forma anche con la lettura?), non cè niente da fare. Non basta l'autorità dei genitori, né quella scolastica, né quella politica. Occorre una autorità reale e attuale che li affascini e li faccia sentire dentro il loro tempo. Forse più tardi, quando saranno già uomini, capiterà loro, per caso, di leggere qualche libro che li interesserà e forse li emozionerà. Per il momento essi sono imprigionati fra due scuole: una ancora umanistica ma estemporanea (il liceo) che li annoia con i suoi programmi decrepiti e soprattutto con la sua inattualità: e un'altra non umanistica (la televisione) che li affascina con i suoi programmi fantasma, tutti attuali, Carosello compreso. La prima scuola si occupa dell'uomo e pure nella sua decrepitudine insegna un lavoro difficile: quello della ragione e della fantasia. La seconda si occupa dell'immagine dell'uomo e, nel suo attualismo, insegna una materia di tutto riposo: l'obbedienza e l'imitazione.
Le due scuole non si integrano affatto. La scuola per così dire classica, tradizionale, nasce lontano e si sviluppa in società che non avevano previsto il consumo di tutto, la televisione nasce invece proprio come scuola di consumo di tutto. Aggiunga che, proprio come scuola, la televisione insegna a guardare (non a vedere), mentre la scuola di Stato insegna a leggere e a scrivere, cioè (cioè a pensare, a scegliere), esercizio lento, molto più lento e faticoso che guardare. Si figuri con quale animo oppresso di noia e di irrealtà i ragazzi (che, come dice lei, stanno tutto il giorno davanti al video) si apprestano a leggere la Divina Commedia o Parini, o Alfieri, o Manzoni, o Carducci, o Pascoli, o chiunque altro che sia esclusivamente da leggere. Come si possono "guardare" questi autori? Anche se i ragazzi impiegassero tutta la loro buona volontà (essendo già dei televisivi cronici), che cosa possono dire loro questi poeti e scrittori del passato, tra l'altro di lettura ogni anno più difficile e, occorre dirlo, inattuale?
I ragazzi hanno imparato a parlare davanti al video, usando quella lingua (didascalica, cioè in sott'ordine rispetto all'immagine); la scrittura la usano poco ed esclusivamente a scuola, dunque devono decifrare, non semplicemente leggere. Nel frattempo la seconda scuola agisce e crea nei ragazzi una profonda dissociazione. La dissociazione tra cronaca e storia, tra ciò che appare e ciò che è. In altre
parole, per essere meno filosofici, i ragazzi sentono che la scuola di Stato nel suo complesso "umanistica" parla una lingua che non si parla più. Automaticamente questo sentimento fa sì che l'autorità che fu della scuola di Stato passi nelle mani della telvisione. Non è colpa della televisione come mezzo se essa emana un'attrazione irresistibile per i ragazzi (e per i grandi, per tutti). Il mezzo non è mai colpevole: è semplicemente fatale, si sviluppa e si modifica seguendo gli sviluppi (fatali) della storia dell'uomo. I bambini di oggi formano la loro prima cultura di base davanti al televisore. Praticamente hanno già guardato tutto il mondo (senza vederlo) a pochi anni. Poi vanno a scuola, alle medie, al liceo. Qui cominciano i guai: a mano a mano che la cultura cosiddetta umanistica si sovrappone a quella di base (televisiva) comincia la dissociazione e il fastidio.
Lo scolaro ha la sensazione di precipitare in un mare di irrealtà, di personaggi, di luogi, situazioni che non riconosce nel mondo che guarda alla televisione e che, di contro, non visualizza attraverso la parola scritta per mancanza di allenamento. Sono due lingue diverse. Lo scolaro è costretto a fare un salto indietro nel tempo, quando il nostro paese aveva come strumenti informativi ed espressivi esclusivamente la lingua parlata o la lingua scritta. Già lo scolaro di allora, quando andava a scuola, doveva lasciar fuori dalla porta la lingua parlata (il dialetto della sua regione) per adattarsi a parlare "in italiano". Figuriamoci oggi che deve lasciar fuori dalla porta la sua cultura di base (i dialetti non si parlano più), quella che gli ha fatto aprire gli occhi sul mondo.
Del resto questa dissociazione, questa frattura così sentita dai ragazzi a scuola è la frattura stessa dell'Italia. Da una parte le testimonianza e le immagini di un vecchissimo passato (l'Italia monumentale, storica e agricola), dall'altra un no man's land senza storia: l'Italia della speculazione edilizia, delle piccole e grandi industrie, delle autostrade all'americana, dei motels, dei snacks. Che cosa ha a che fare tutto questo con la "cultura umanistica" che si insegna a scuola? Non siamo in America, dove non c'è cultura umanistica che affonda nel passato, e dove il paesaggio e la realtà giornaliera coincidono perfettamente con la cultura americana. Questa frattura italina è per il momento insanabile nonostante il velocissimo processo di integrazione in corso.

GOFFREDO PARISE
"Dobbiamo disobbedire"
Edizioni Adelphi

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