domenica 5 gennaio 2014

LE LANGHE, LE NOSTRE BORMIDE, IL NOSTRO TANARO

1 ottobre, 3 pomeridiane

La mia dolce terra delle Langhe, quasi sconosciuta all'Italia, l'ho sentita, vista, goduta un momento qui, così lontano, su questi greppi di Monte Calvo.
Passavo attraverso quelle vepraie lassù, per quel sentieruolo dove non passò forse mai persona buona ad altro che a patire, sudare e pregare. E mi saltò fuori come di sottoterra un ufficiale tutto sanguinante in faccia e lacero la camicia, con un mozzicone di sciabola in mano. Mi chiamò: O tu, dove vai? - Alla mia compagnia sopra Valle. - E da dove vieni? - Dal quartier generale. - E Bixio? - Trionfa? - Con queste e poche altre parole, mi parve di parlare con uno delle mie parti. - E tu, chi sei? domandai già pieno di gioia per quell'incontro con un mio compatriota, in camicia rossa: - Io sono Sclavo di Lesegno. - Ed io il tale. - E allora ci abbracciammo, ci baciammo. Non ho mai compreso il paese natio come in quel momento. Le nostre Bormide, il nostro Tanaro, le nostre belle montagne, quei borghi, quelle terricciole, dove c'è della gente così modesta, buona, contenta di poco, e semplice! Poi mi narrò come si trovasse là, così solo e maltrattato. Poche ore prima, in uno degli ultimi assalti, rimasto in mano ai Bavaresi, questi se lo trascinavano via caricandolo di oltraggi; ma gli era riuscito di liberarsi, e se ne tornava a quel modo per imbattersi in me suopaesano. Eppure forse non gli passò per la mente che io potrò dir le sue lodi, nelle nostre vallate.

GIUSEPPE CESARE ABBA
Da Quarto al Volturno
pagg. 233-34 di una edizione del 1950

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