Nella frase «Calderoli dà dell’orango alla ministra
Kyenge», la parola più nauseante è Calderoli: per la sua recidività.
Sono vent’anni che l’Italia si deve occupare delle bizze razziste dei
leghisti da bar, vent’anni che molti cittadini non ancora del tutto
imbarbariti schiumano d’indignazione, vent’anni che viene loro risposto
che si tratta di battute innocenti e che chi non ride a crepapelle è un
buonista o un ipocrita. Vent’anni, un surplace infinito, fatto di
canottiere, ombrelli, diti medi, deodoranti spruzzati sui treni,
tricolori umiliati, incitazioni allo stupro. Non c’è mai un orlo in
questo bicchiere che continua imperterrito a ingoiare porcate.
Ogni volta ci si stupisce come se fosse la prima, ogni
volta la si rimuove come se fosse l’ultima. E invece tornerà, perché
torna sempre, e fra un mese o un anno ci sarà un altro orango, un’altra
canottiera, un altro rutto mediatico per il quale indignarsi invano.
Ci fu un tempo in cui questi spregiatori indefessi del buongusto
avevano i voti. Ora nemmeno quelli. Solo una manciata di nostalgici e un
potere spropositato: la presidenza delle tre regioni più grandi del
Nord. Ma non sanno che farsene, perché su una cosa i padani sono
identici al popolo con cui confinano (gli italiani): nel coltivare il
demone dell’immobilismo e dell’impotenza. Vent’anni ed eccoci ancora qui
a parlare di oranghi. Per tacere dei giaguari.
P.S. Il 16 luglio 2007 cinque operai morirono nell’esplosione del
Molino del Cordero, a Fossano. Si chiamavano Valerio Anchino, Marino
Barale, Antonio Cavicchioli. Massimiliano Manuello e Mario Ricca. Hanno
lasciato undici orfani. Il Buongiorno di oggi è dedicato a loro.
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