Dopo un’odissea di 80 anni salvi i manoscritti di Verga
(La Stampa) - Sequestrate 36 tra lettere e appunti. Negli Anni 30 il figlio dello
scrittore consegnò il corpus a uno studioso che poi aveva rifiutato la
restituzione
ROMA
Il manoscritto del primissimo romanzo, quell’Amore e
Patria dedicato alla guerra di indipendenza americana che Verga aveva
scritto quando aveva solo sedici anni e che si pensava fosse andato
disperso. Ma anche la prima stesura de I Malavoglia, le bozze di Mastro
Don Gesualdo, de La Lupa, de I carbonari della montagna, le
corrispondenze con Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Benedetto
Croce. Recuperato dai carabinieri dei beni culturali, torna alla luce
dopo un’odissea lunga oltre 80 anni un tesoro di carte autografe del
grande scrittore siciliano stimato almeno 4 milioni di euro. Anche se il
ritrovamento di queste carte - subito rivendicate dal sindaco di
Catania Enzo Bianco - ha un valore in realtà inestimabile per la storia
degli studi.
La storia, lunghissima e ingarbugliata, è di quelle che
hanno dell’incredibile. Tutto comincia negli anni Trenta quando, morto
da poco Verga (1840-1922), il figlio Giovannino affida ad uno studioso
di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) una serie di manoscritti del
padre senza mai più riuscire a riaverli indietro. A nulla valgono le
richieste, le pressioni, gli interventi dei politici, persino le
interrogazioni parlamentari presentate lungo vent’anni, dal 1957 al
1977, per chiedere l’esproprio di questo tesoro di carte in nome della
pubblica utilità.
Nel 1975 il nipote dello scrittore, Pietro, figlio di
Giovannino, in causa da anni con lo studioso di Barcellona, ottiene dal
Tribunale di Catania una sentenza che gli attribuisce il possesso legale
di tutti i manoscritti del nonno. E tre anni più tardi, ancora prima di
entrarne in possesso, Pietro Verga, anche per cercare una sponda dalle
istituzioni, offre in vendita al Comune di Catania l’intero corpo delle
carte del nonno, incluse le opere non ancora notificate. Il Comune ci
sta, investe della questione la Regione Sicilia, che a sua volta accetta
l’offerta di vendita di tutto il fondo e paga 89 milioni di lire. Anche
se di fatto - visto che lo studioso non cede - l’ente locale entra in
possesso solo di una piccola parte del Fondo verghiano, quella che era
nella disponibilità degli eredi.
Da allora, sia il comune di Catania sia la famiglia hanno
continuato la battaglia provandole tutte per riavere le carte dallo
studioso di Barcellona, che si era sempre anche rifiutato di aprire la
sua biblioteca per consentire un inventario e che nel frattempo era
morto lasciando il tesoro in eredità alla figlia.
La svolta arriva qualche mese fa, a dicembre del 2012,
quando la Soprintendenza ai Beni Librari della Regione Lombardia si
accorge di un Fondo verghiano messo in vendita in una casa d’aste di
Pavia proprio dalla figlia dello studioso messinese, A.P., oggi 76enne. A
quel punto, insieme alle indagini, coordinate dalla procura della
repubblica di Roma e affidate al reparto operativo dei carabinieri dei
beni culturali guidato dal maggiore Antonio Coppola, viene disposto lo
spostamento e il deposito temporaneo del Fondo all’Università di Pavia
(dove è ancora custodito dopo il sequestro penale disposto dai
Carabinieri Tpc). Gli investigatori perquisiscono anche la casa della
donna a Roma e lì trovano un’altra parte del tesoro, ancora carte e
manoscritti di Verga, disegni e appunti, scatole e scatole di microfilm
con le riproduzioni di lettere e manoscritti, oltre ad una serie di
reperti archeologici del V-II sec. a. C. provenienti da scavi
clandestini. La donna è stata denunciata con l’accusa di ricettazione ed
appropriazione indebita. E intanto le indagini, sottolineano i
carabinieri, proseguono per capire l’esatta consistenza del fondo ed
arrivare al suo completo recupero. Alla fine, comunque, le carte di
Verga dovrebbero tornare a casa nella disponibilità degli eredi e della
Fondazione Verga di Catania. La città le aspetta, sottolinea l’assessore
alla cultura Orazio Licandro, convinto che il lotto debba essere
ospitato dalla Fondazione Verga. Il comune è deciso: «avvieremo contatti
con le istituzioni competenti a partire dal Ministero dei beni
culturali».
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