Qualche riflessione su quello che sta accadendo in Italia con la rivolta dei docenti precari licenziati in massa. Protesta partita dalla città di Benevento, dove, dopo secoli, si risveglia l’orgoglio che nel 341 a. C. fece sì che i Sanniti sconfiggessero i Romani nell’episodio delle Forche Caudine. Forse da quei tempi non si assisteva ad un impeto di orgoglio così forte come quello manifestato in questi giorni dai professori sanniti, e soprattutto dalle professoresse che presidiano l’ufficio scolastico provinciale, sfilano nei cortei per la città, urlano le loro ragioni dai megafoni, raccolgono consensi da tutt’Italia, dove la protesta si allarga a macchia d’olio.
Herbert Marcuse, grande teorico ed anticipatore della rivoluzione sessantottina, aveva capito che i moti di rivolta vengono solo da alcune categorie, quali donne e studenti, che sono fuori dal “sistema”, in quanto non produttori di reddito e pertanto fuori da logiche economiche, politiche, clientelari, sociali e di qualsiasi altra risma.
A questa indovinata analisi (il ’68 fu fatto da studenti e donne), alla luce dei fatti odierni, occorrerebbe fare un’aggiunta. La rivoluzione parte anche da ceti – quale quello docente –, che prima erano dentro il “sistema”, ma poi ne sono statio estromessi per qualsiasi ragione, e quindi non hanno nulla da perdere, se non cercare di recuperare la loro dignità.
Una dignità che oggi si vuole negare, proponendo politiche tampone, quale quella del sussidio mensile di 800 euro per docente rimasto senza lavoro. Peggio che un cassintegrato. E poi? E poi la prospettiva di non lavorare più, a vita.
Qualcuno propone: dimezziamo gli stipendi agli onorevoli deputati e senatori e paghiamo gli stipendi agli insegnanti. Gli onorevoli non ne soffriranno certo e forse cinquecento famiglie sannite non resteranno per strada.
Un Paese che non scommette sull’istruzione, che tagliuzza di qua e di là con l’unico scopo di fare cassa, che lascia andare in rovina plessi scolastici e banalizza tutto nella cultura delle veline e delle escort, che non ascolta i giovani e che fornisce loro una preparazione centellinata in base alle esigenze economiche ed alle “riforme” del momento, è un Paese perdente in tutti i sensi, che non regge la competizione ed il confronto con gli Stati più evoluti del mondo.
Berlusconi ha detto, a proposito del caso Boffo: “Con questa stampa, povera Italia!”.
Ma quello di Boffo è un caso privato. Invece, quello di cui parliamo qui, interessa milioni di individui. Per cui, che dire: “Con questa scuola, povera Italia!”.
Herbert Marcuse, grande teorico ed anticipatore della rivoluzione sessantottina, aveva capito che i moti di rivolta vengono solo da alcune categorie, quali donne e studenti, che sono fuori dal “sistema”, in quanto non produttori di reddito e pertanto fuori da logiche economiche, politiche, clientelari, sociali e di qualsiasi altra risma.
A questa indovinata analisi (il ’68 fu fatto da studenti e donne), alla luce dei fatti odierni, occorrerebbe fare un’aggiunta. La rivoluzione parte anche da ceti – quale quello docente –, che prima erano dentro il “sistema”, ma poi ne sono statio estromessi per qualsiasi ragione, e quindi non hanno nulla da perdere, se non cercare di recuperare la loro dignità.
Una dignità che oggi si vuole negare, proponendo politiche tampone, quale quella del sussidio mensile di 800 euro per docente rimasto senza lavoro. Peggio che un cassintegrato. E poi? E poi la prospettiva di non lavorare più, a vita.
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Foto: www.ilquaderno.it
3 commenti:
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