Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola
con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi
l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di
illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango
accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a
vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello
del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del
figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da
rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il
cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa,
possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato;
quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in
nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da
meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca
l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
REPUBBLICA, Cap. VIII
370 a. C.
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