Poche persone conservano ancora il potere di stupirmi e tra queste,
da sabato scorso, ci sono le monache di clausura che nel duomo di Napoli
hanno festosamente aggredito e quasi divorato un attonito papa
Francesco, infischiandosene dei rimbrotti in vernacolo stretto del
cardinale Sepe (che meriterebbe un articolo e forse un universo a
parte). Luciana Littizzetto le ha canzonate in tv, dando loro delle
represse. E le sorelle, punte sul vivo, hanno replicato. Su Facebook.
Abbiamo così scoperto che le monache di clausura non solo hanno il
telecomando, ma anche una pagina sui social network. E la usano,
sfoderando battute come questa: «Se avessimo voluto, avremmo scelto ben
altri uomini». Un’allusione che il Papa nella sua immensa misericordia
saprà perdonare, ma che a chi santo non è insufflerà il sospetto che le
suore teledipendenti intendessero fare riferimento a certi naufraghi
particolarmente attrezzati dell’Isola dei Famosi.
Quel che è certo è che la tecnologia ha ammazzato l’idea stessa di
clausura. Che isolamento potrà mai esserci, se si è sempre connessi?
D’altra parte chi non è connesso non si sente più isolato, ma escluso.
Prima di ritirarsi nel deserto, oggi il profeta biblico vorrebbe
accertarsi che ci sia campo anche lì. E l’eremita pretenderebbe una
caverna con il wifi. La comunicazione pervasiva facilita il peccato,
però un po’ lo spoetizza. La prossima monaca di Monza risponderà alle
profferte amorose dello sciagurato Egidio con un sms e forse la cosa
finirà lì.
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