mercoledì 25 marzo 2015

CLAUSURA 2.0



Poche persone conservano ancora il potere di stupirmi e tra queste, da sabato scorso, ci sono le monache di clausura che nel duomo di Napoli hanno festosamente aggredito e quasi divorato un attonito papa Francesco, infischiandosene dei rimbrotti in vernacolo stretto del cardinale Sepe (che meriterebbe un articolo e forse un universo a parte). Luciana Littizzetto le ha canzonate in tv, dando loro delle represse. E le sorelle, punte sul vivo, hanno replicato. Su Facebook. Abbiamo così scoperto che le monache di clausura non solo hanno il telecomando, ma anche una pagina sui social network. E la usano, sfoderando battute come questa: «Se avessimo voluto, avremmo scelto ben altri uomini». Un’allusione che il Papa nella sua immensa misericordia saprà perdonare, ma che a chi santo non è insufflerà il sospetto che le suore teledipendenti intendessero fare riferimento a certi naufraghi particolarmente attrezzati dell’Isola dei Famosi. 

Quel che è certo è che la tecnologia ha ammazzato l’idea stessa di clausura. Che isolamento potrà mai esserci, se si è sempre connessi? D’altra parte chi non è connesso non si sente più isolato, ma escluso. Prima di ritirarsi nel deserto, oggi il profeta biblico vorrebbe accertarsi che ci sia campo anche lì. E l’eremita pretenderebbe una caverna con il wifi. La comunicazione pervasiva facilita il peccato, però un po’ lo spoetizza. La prossima monaca di Monza risponderà alle profferte amorose dello sciagurato Egidio con un sms e forse la cosa finirà lì. 

QUANDO LA SCUOLA E' IN VACANZA


Proviamo a dire il più brevemente possibile, per tratti essenziali, qual è il quadro della scuola italiana oggi: oltre 9 milioni di alunne e alunni dall’infanzia all’adolescenza e prima giovinezza; quasi un milione di dipendenti pubblici al lavoro come tecnici amministrativi e insegnanti distribuiti in categorie diverse per materie di insegnamento e per tre o forse quattro ordini o gradi o livelli di scolarità; oltre diecimila istituti, sparsi in un numero ben maggiore di edifici in altissima percentuale fuori norma e vetusti; un dedalo di canali di studio mediosuperiori, oltre venti (anche dopo il prosciugamento introdotto da Maria Stella Gelmini); assai diversa efficienza degli apprendimenti nelle diverse regioni del paese e nei diversi livelli, dalla molto buona efficienza delle scuole dell’infanzia e primarie alla mediocrità di risultati delle secondarie superiori; fenomeni persistenti di disaffezione e abbandono degli alunni; natura assai composita e tutta da rivedere nei meccanismi di formazione e selezione dei diversi tipi di insegnanti, a non parlare dei presidi; riduzione del numero e del fondamentale ruolo degli ispettori centrali; carenza cronica di attrezzature bibliotecarie, laboratoriali, sportive e di risorse finanziarie; impatto disordinato degli sviluppi dei campi del sapere sui contenuti degli insegnamenti; scarsa stima sociale per la lettura, lo studio, la cultura intellettuale e, quindi, per gli e le insegnanti; riflessi inevitabili dei bassi livelli di competenza della popolazione adulta (ultima o penultima in Europa) sul cammino scolastico (torniamo a loro) di alunne e alunni.
L’elenco è approssimato per difetto e lascia in ombra il fatto che ciascuno degli elementi elencati ha connessioni multiple e intrecci con gli altri. Dovrebbe bastare però a spingere chi parla di scuola a esser cauto dinanzi a una realtà così complicata prima di avventurarsi in proposte rivoluzionanti questo o quell’aspetto.
Non sembra di questa opinione il ministro Giuliano Poletti. In un convegno organizzato a Firenze dalla Regione Toscana sui fondi europei e la condizione dei giovani italiani il ministro, secondo un virgolettato comune a più giornali, ha detto:
Un mese di vacanze va bene. Ma non c’è obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione… I miei figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali.
Secondo la cronaca di Repubblica queste parole sono state accolte da uno scroscio di applausi. Consensi sono venuti anche da esponenti del governo e della maggioranza, dissensi dal mondo della scuola, presidi, studenti, docenti, da Susanna Camusso e da sindacati. Il rapporto tra gli apprendimenti scolastici e le attività pratiche, operative, di cui anche l’esperienza del lavoro sotto padrone può essere una parte, è un tema serio. Un ministro, specie quello del lavoro, non dovrebbe ridurlo alla vicenda dei suoi figli verdurai in vacanza né al tema delle vacanze. Ma così ha fatto e la cosa ha fatto notizia. L’eccesso di vacanze della nostra scuola è un luogo comune ricorrente. È fondato?
Una pubblicazione della rete europea Eurydice, Le cifre chiave dell’istruzione in Europa (qui il pdf), consente di estrarre un quadro dei tempi scuola nei diversi paesi. Tutti i sistemi scolastici (non la scuola di Barbiana) concordano nell’alternare a periodi di attività periodi di vacanza. Una caratteristica comune è riservare il periodo più lungo di vacanze all’estate. I periodi estivi sono di durata un po’ diversa per inizio e fine, tutti però includono il luglio e in generale anche l’agosto. Mettiamo dunque anzitutto i paesi in ordine decrescente di durata delle vacanze estive misurata in settimane:
13 settimane Lettonia, Lituania, Turchia 12-13 settimane Italia 12 settimane Cipro, Estonia, Grecia, Portogallo 11 settimane Ungheria, Croazia, Spagna 10-11 settimane Finlandia 10 settimane Svezia 9 settimane Austria, Belgio, Irlanda, Regno Unito-Irlanda del Nord, Repubblica Ceca, Francia 8 settimane Norvegia 7 settimane Danimarca 6 settimane Germania, Liechtenstein, Olanda, Regno Unito-Inghilterra e Galles
Le vacanze estive sono le più vistose, ma non le sole. In generale c’è una compensazione tra vacanze estive e vacanze intercalate durante l’anno con modalità diversa a seconda dei paesi. Dopo grandi discussioni la Francia è per ora il paese che ha più sistematizzata l’alternanza di periodi didattici e periodi di vacanze. Oltre che d’estate le scuole si fermano ogni sei, sette settimane per quindici giorni. Per le Petites vacances il paese si divide in tre fasce che di anno in anno alternano i periodi per evitare eccessivi affollamenti nelle località di villeggiatura.
Nel resto d’Europa i periodi di vacanze intercalate cadono in autunno, a Natale (due e anche tre settimane), Carnevale, Pasqua (una settimana in Italia, due nel Regno Unito). Tenendo conto di feste religiose o nazionali di durata minore, decise, a seconda dei paesi, o dagli stati o dai comuni o, come in Inghilterra, dalle singole scuole, il risultato è che nei paesi europei in generale la somma complessiva di giorni di vacanza nell’anno è di 120 giorni circa e quindi circa 185 sono i giorni di scuola. Ma alcuni paesi restringono i giorni complessivi di vacanza e toccano i duecento giorni di scuola: Danimarca, Liechtenstein, Paesi Bassi e Italia.
Ma per valutare il tempo scuola non basta assumere a riferimento la “settimana” come se fosse dappertutto eguale. La settimana scolastica è in generale di cinque giorni con esclusione quindi del sabato, è di quattro giorni in Francia, di sei in Italia e in alcuni Länder tedeschi. Infine un’ultima variabile: anche “ora di lezione” è un riferimento comune, ma, come mostra e avverte Eurydice, l’ora di lezione varia tra i 40 o i 50 minuti nella generalità dei paesi e i 60 minuti in Italia.
Chi ha avuto pazienza di seguire l’esposizione capisce che una cosa non può e non dovrebbe dirsi: che l’Italia si segnali per un eccesso di vacanze scolastiche e per un difetto di durata complessiva del tempo scuola.
Occorre infine fare almeno due considerazioni.
La prima, se si hanno presenti le indagini Ocse sulle competenze di base, si ricava anche da un’occhiata d’insieme ai dati fin qui riportati: non c’è una correlazione positiva diretta tra tempi scuola, del resto tendenzialmente nel complesso poco diversi, e scarti significativi nei livelli di apprendimento di alunne e alunni e di efficienza dei sistemi scolastici.
Lo spiegava tanti anni fa Aldo Visalberghi e, come altri suoi insegnamenti, anche questo merita d’essere ricordato. Il fattore qualità domina sul fattore quantità e il fattore qualità è dato anzitutto dalla qualità degli insegnanti, insegnanti cioè dalla loro adeguata formazione e reclutamento e dalla loro motivazione largamente dipendente dalla stima sociale che vien loro assegnata. Chi blatera sugli insegnanti sfaccendati e privilegiati dalle troppe vacanze non soltanto dice sciocchezze ma, contribuendo ad abbassarne la stima sociale, concorre alla loro demotivazione e danneggia quindi l’intero sistema dell’istruzione.
Seconda e ultima considerazione. Non si spiegherà mai abbastanza che un solido apprendimento non può essere un apprendimento verbalistico, ripetitivo di formule e discorsi, ma deve essere operativo, consistere e mettersi alla prova non nel ripetere, ma nel fare, e possibilmente nel fare in modo nuovo cose nuove e utili.
Su questa via le scuole possono incontrare utilmente anche attività di lavoro purché ciò avvenga all’interno di un progetto educativo. Che hanno ricavato di conoscenze e competenze i ragazzi di Giuliano Poletti dagli spostamenti estivi di cassette del fruttarolo, ortolano, erbivendolo, erbaiolo o come altrimenti si dica?
Negli Itis, gli istituti industriali di stato, ci sono state eccellenti esperienze di integrazione progettuale e regolata (e coperta assicurativamente) tra formazione nelle aule e progetti di collaborazione a imprese o servizi pubblici. Andrebbero considerate con attenzione, riprese negli anni finali di tutti i venti e più canali scolastici, licei classici compresi. Ci aiuterebbero sulla via del trasformare le aule da auditorium in laboratorium.
Probabile che di ciò sappiano avvantaggiarsi anche gli imprenditori, ma se ne avvantaggia soprattutto la qualità degli insegnamenti e del contributo che le scuole danno all’intera vita sociale.

domenica 22 marzo 2015

IL MEGLIO DI UN UOMO



Massimo Gramellini, La Stampa, 21 marzo 2015

IL SANTO E LA SCANDALOSA. RACCONTI TORINESI



 Il giorno di Primavera a spasso per la grande Torino. A sondare la sua anima cosmopolita.
C’è una commemorazione in onore di san Giovanni Bosco, la sera, presso il suo oratorio e la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice. Ed in contemporanea, vicino alla piazza più sabauda d’Italia, c’è la mostra dedicata alla scandalosa pittrice polacca Tamara de Lempicka.

Come a dire: il sacro ed il profano. La santità ed il peccato. Il morale e l’immorale. Anche se non trovo negatività nella pittrice polacca che seduceva uomini e donne, sniffava cocaina, dava lussuosi cocktail party da 400 invitati e la notte frequentava i bordelli in giro per l’Europa. Emblema degli emblemi degli anni del jazz, descritti da Fitzgerald nei suoi romanzi e racconti. Donna dalle sapienti mani e dallo straordinario talento che tanta bellezza ha regalato all’umanità.

La mattina vedi esplodere la vita di centinaia di ragazzini nell’oratorio salesiano, tra canti e suoni di chitarra, consumazioni di merende, giochi all’aperto e momenti di riflessione all’interno del santuario. Il pomeriggio ti viene incontro la pittura colorata, potente e sensuale di una artista eccentrica, che continua a smuovere le folle, visto che per ammirare gli ottanta soggetti in esposizione a palazzo Chiablese ti costa fare una fila di due ore. Ma finalmente gli occhi ti si riempiono di bellezza, l’allestimento museale si lascia ammirare ed i gadget esposti nel book shop si fanno acquistare. E Torino continua a raccontare…

martedì 10 marzo 2015

TORINO CREATIVE CITY

È l’unica città italiana vincitrice del bando di candidature 2014 a cui hanno partecipato 28 città di 19 Paesi (http://www.centrounesco.to.it)
Arriva da Parigi la comunicazione che dal 1° dicembre 2014 Torino è stata dichiarata dall'UNESCO ‘CREATIVE CITY’ per la categoria DESIGN.
“Un riconoscimento – ha detto il Sindaco Piero Fassino esprimendo la soddisfazione della Città - di cui siamo fieri e che rende merito alla capacità creativa e all’energia rigeneratrice di Torino. Un riconoscimento che ci sollecita a fare sempre di più di Torino una città di innovazione e di avanguardia in ogni campo”.
Il tema del design (una delle macrocategorie del Creative Cities Network, quella in cui la città si è candidata) è adatto per la città di Torino che ha fatto di questa una delle chiavi per lo sviluppo industriale e post-industriale e per la quale ha già ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali.
La scelta di proporre Torino in questa rete internazionale è nata da un incontro che si è tenuto all’UNESCO a Parigi nel febbraio 2013, in occasione del quale il vice direttore per la cultura, l'architetto Francesco Bandarini, ha illustrato l’importanza di intraprendere questo percorso di collaborazione per la promozione del motorismo storico a livello mondiale.
La candidatura risponde a una visione del futuro della Città che parte dal suo passato legato all’automobile, da una vocazione essenzialmente industriale ad una aperta all’innovazione nel campo delle tecnologie, della cultura, delle arti e del turismo. I temi sono la valorizzazione della storia e della filiera automobilistica, il design come innovazione creativa, il progresso tecnologico per mobilità e autoveicoli, la rigenerazione e lo sviluppo urbano sostenibile.
Il titolo riconosce a Torino di aver saputo allargare in questi anni le proprie identità, unendo allo storico profilo industriale nuove vocazioni nel campo della ricerca e delle tecnologie, della formazione e del sapere, della cultura, delle arti e del turismo.
Membri dello Steering Committee, coordinato dal Comune di Torino, Centro UNESCO di Torino, Politecnico di Torino, MAUTO, IAAD, Camera di commercio di Torino, Automotoclub Storico Italiano (ASI), Istituto Europeo di Design, Università degli Studi di Torino, SiTI, Fiat Chrysler Automobiles (FCA), Accademia Albertina delle Belle Arti, Regione Piemonte, MiBACT-Direzione Generale per i Beni Culturali del Piemonte, Agenzia Turismo Torino.
Si tratta dunque di un’importante assegnazione che la città ha ottenuto grazie a progetti di arte e design e alle attività realizzate insieme a numerosi partner.
E’ il risultato di un’iniziale proposta dell’ASI, l’Automotoclub Storico Italiano, che da tempo si adopera per un adeguato riconoscimento del motorismo storico come parte integrante del patrimonio culturale dell’Italia e che ha individuato in Torino la capitale, a livello nazionale e internazionale, di questo processo.
Il gruppo di lavoro che ha preparato la candidatura è ricco di importanti realtà pubbliche e private: ne hanno fatto parte, oltre al Comune (promotore ufficiale) e l’ASI, la Regione Piemonte, il Politecnico di Torino, il Gruppo FIAT, il Museo Nazionale dell’Automobile e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte. Già World Design Capital, Torino è stata inserita definitivamente nel Network delle CREATIVE CITIES dell'UNESCO, riconoscimento che fino a oggi è stato assegnato dall’ UNESCO solo a 69 città nel mondo che fanno della cultura e creatività un veicolo strategico per lo sviluppo urbano sostenibile.
Attraverso Creative Cities Network l'UNESCO favorisce la formazione di una rete con lo scopo di promuovere la cooperazione internazionale tra le città che, entrando a farne parte, si impegnano a collaborare e sviluppare partnership con l'obiettivo di promuovere la creatività e le industrie culturali, per condividere le migliori pratiche, per rafforzare la partecipazione alla vita culturale, e di integrare la cultura nei piani di sviluppo economico e sociale. Creative Cities Network mira a trovare e arricchire l'identità culturale di una città membro nel bel mezzo di una crescente tendenza verso l'internazionalismo.
Il progetto si concentra sul prodotto principale di eccellenza di queste città, e trova il modo di mantenere la sua rilevanza nella vita della città, l'economia locale e lo sviluppo sociale. I campi di eccellenza sono classificati tra: letteratura, cinema, musica, artigianato e Folk Art, Design, Media Arts e Gastronomia.
Lanciato nel 2004 "l'UNESCO Creative Cities Network è uno strumento incredibile per la cooperazione, che riflette il nostro impegno a sostenere un incredibile potenziale creativo e innovativo di ampliare le vie di sviluppo sostenibile", ha detto Direttore generale dell'UNESCO, Irina Bokova.
Con Torino sono nuovi membri della rete le seguenti 28 città:
• Bilbao (Spagna) - Progettazione
• Busan (Repubblica di Corea) - Film
• Curitiba (Brasile) - Progettazione
• Dakar (Senegal) - Media Arts
• Dundee (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord) - Progettazione
• Dunedin (Nuova Zelanda) - Literature
• Florianopolis (Brasile) - Gastronomia
• Galway (Irlanda) - Film
• Granada (Spagna) - Literature
• Gwangju (Repubblica di Corea) - Media Arts
• Hamamatsu (Giappone) - Musica
• Hannover (Germania) - Musica
• Heidelberg (Germania) - Literature
• Helsinki (Finlandia) - Progettazione
• Jacmel (Haiti) - Bricolage & Folk Arts
• Jingdezhen (Cina) - Bricolage & Folk Arts
• Linz (Austria) - Media Arts
• Mannheim (Germania) - Musica
• Nassau (Bahamas) - Bricolage & Folk Arts
• Pekalongan (Indonesia) - Bricolage & Folk Arts
• Praga (Repubblica Ceca) - Literature
• Shunde (Cina) - Gastronomia
• Sofia (Bulgaria) - Film
• Suzhou (Cina) - Bricolage & Folk Arts
• Tel Aviv-Yafo (Israele) - Media Arts
• Tsuruoka (Giappone) - Gastronomia
• Torino (Italia) - Design
• York (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord) - Media Arts

La prossima riunione del Creative City Network è prevista per maggio 2015 a Kanazawa (Giappone). 

lc
www.comune.torino.it/ucstampa/2014/article_851.shtml

domenica 8 marzo 2015

ALDA MERINI - CI SONO DONNE

Ci sono donne…
E poi ci sono le Donne Donne…
E quelle non devi provare a capirle,
perchè sarebbe una battaglia persa in partenza.
Le devi prendere e basta.
Devi prenderle e baciarle, e non devi dare loro il tempo il tempo di pensare.
Devi spazzare via con un abbraccio
che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto.
a bassa, bassissima voce. Perchè si vergognano delle proprie debolezze e, dopo
averle raccontate si tormentano – in una agonia
lenta e silenziosa – al pensiero che, scoprendo il fianco, e mostrandosi umane e fragili e
bisognose per un piccolo fottutissimo attimo,
vedranno le tue spalle voltarsi ed i tuoi passi
allontanarsi.
Perciò prendile e amale. Amale vestite, che a
spogliarsi son brave tutte.
Amale indifese e senza trucco, perchè non sai
quanto gli occhi di una donna possono trovare
scudo dietro un velo di mascara.
Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia.
Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a se stesse.
Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro.


Alda Merini

PROSPERINA VALLET, LA BELLA PARTIGIANA DELLA VAL D'AOSTA

RaiNews

Per decenni fu una foto simbolo della lotta partigiana sulle Alpi: una giovane senza nome, armata e con alle spalle dei monti innevati. La sua identità fu scoperta solo nel 2011, grazie a un servizio del Tgr Rai della Valle d'Aosta: era una ragazza valdostana, Prosperina Vallet. Lo scatto resta un'icona di quell'epoca e fino al 31 maggio sarà parte dell'esposizione “Questa è guerra!” 
 
 
Una giovane donna, armata, avanza tra le montagne innevate della Valle d’Aosta. Guarda il fotografo e sorride, nonostante le tragedie che la circondano in quel tragico 1944. Per decenni questa immagine è stata un simbolo della lotta partigiana: conservata all’Imperial War Museum di Londra, era stata anche usata come copertina per libro e una mostra. Un giallo risolto nel 2011 Nessuno, fino al 2011, sapeva però chi fosse quella bella partigiana. Quattro anni fa su iniziativa di Emanuela Rosari, ex giornalista dell’Unità, e di Maria Teresa Zonca, giornalista della sede Rai di Aosta, inizia un’indagine per cercare il suo nome. Un appello su Facebook, poi un servizio al Tgr della Valle d’Aosta. Il giorno dopo la messa in onda all’interno del telegiornale, arriva una telefonata. Una donna rivela: “Quella giovane è mia mamma”. L'identità della partigiana La ragazza della foto finalmente ha un’identità. È Prosperina Vallet, nata nel 1911 ad Aymavilles, non lontano da Aosta. Lo scatto la ritrae tra il 2 e il 6 novembre 1944, quando mentre stava cercando di raggiungere la Francia insieme ad altri partigiani. All’epoca aveva 23 anni. La storia ritrovata Le memorie delle due figlie ancora in vita permettono finalmente di raccontare la storia della bella partigiana. Una donna forte e serena, ricordano. Il suo nome di battaglia era “Lisetta” e con il marito Rino Mion militava nella formazione autonoma Vetrosan. Nei decenni successivi fu cuoca e ristoratrice, fu due volte vedova e perse un figlio. Morì a 87 anni, tra le sue montagne. Fino al 31 maggio esposta a Padova Quella foto, che l’ha resa un’icona della lotta partigiana, continua a parlare di lei e di quel periodo nero nella storia dell’Italia e del mondo intero. In questi giorni, e fino al 31 maggio, l’immagine che la ritrae è esposta a Padova, nel Palazzo del Monte di Pietà, nella mostra “Questa è guerra!”. Tra le oltre 350 fotografie raccontano 100 anni di conflitti armati c’è anche il ritratto di quella coraggiosa ragazza valdostana.

TI PROTEGGERO' AMORE MIO

Ti proteggerò amore mio,
sarò dolcissimo con te e con gli alberi
che abbiamo di fronte,
mi alzerò ogni mattina
per sistemare l'alba
prima che ti svegli,
ti raccomanderò
alle piante ai bicchieri,
ci sarà una lieve, diffusa devozione per te
nella nostra casa.


FRANCO ARMINIO

L'SLANDA AL PRIMO POSTO PER LA PARITA' DI GENERE

(Fonte: Internazionale.it)



giovedì 5 marzo 2015

ERNESTINA PROLA, LA PRIMA ITALIANA PATENTATA

Ernestina Prola, torinese, moglie di un ingegnere delle ferrovie, fu nel 1907, in val Susa (Exilles), la prima donna italiana a conseguire la patente.
Ernestina guidò fino al 1954 quando a settantotto anni si spense nel suo alloggio in piazza Carlo Felice.
"Villa Ernestina", la sua residenza in Val Susa, in stile liberty, è stata restaurata mantenendola splendida come al suo inizio. (Torino Piemonte Antiche Immagini)


QUESTO E' UN UOMO


La cascina Raticosa è un rifugio sui monti sopra Foligno che durante la Resistenza ospitò il comando della quinta brigata Garibaldi. Nei giorni scorsi qualche nostalgico dello sbattimento di tacchi ha rubato la targa commemorativa e disegnato una svastica enorme sul muro. Forse non sapeva che nei pressi della cascina, in una notte di febbraio del 1944, ventiquattro partigiani appena usciti dall’adolescenza erano stati catturati dai nazisti, caricati su vagoni piombati e mandati a morire nei campi di concentramento del Centro Europa. O forse lo sapeva benissimo e la cosa gli avrà procurato ancora più gusto. Però non poteva immaginare che tra quegli adolescenti ce ne fosse uno scampato alla retata. Sopravvissuto fino a oggi per leggere sulle cronache locali il racconto dell’oltraggio.  
Mentre tutto intorno le Autorità deprecavano e si indignavano a mani conserte, il signor Enrico Angelini non ha pronunciato una parola. Ha preso lo sverniciatore, il raschietto, le sue ossa acciaccate di novantenne ed è tornato al rifugio della giovinezza per rimettere le cose a posto. Con lo sverniciatore e il raschietto ha cancellato il simbolo nazista. E dove prima c’era la targa ha appoggiato una rosa.

GIULIA FALLETTI DI BAROLO

Giulia Falletti di Barolo, La ""Santa"" che inventò il Barolo

Su La Morra sono datate 1495 le prime fonti concernenti il vitigno Nebbiolo e 1268 su Rivoli in provincia di Cuneo. 
Il processo innovativo del vitigno Nebbiolo a vino "Barolo", nei primi dell‘800, fu per volere di una donna: la marchesa di Barolo Giulia Colbert Falletti, seguendo la tipologia dei vini secchi prodotti in “Bordeaux”. Per realizzare e raffinare il risultato di questo vino, chiamò il conte Oudar, esperto enologo francese, Il grande risultato ottenuto fu il primogenito “Barolo” di quelli attuali. Sin da subito questo grande vino fu apprezzato e si contraddistinse in tutta Europa come vino che può essere conservato e adatto all’invecchiamento, Nel 1873 a Vienna, durante il più prestigioso concorso dell’epoca, fu premiato con sette medaglie d’oro (G.S.- Torino Piemonte Antiche Immagini )
Giulia (Juliette Colbert di Maulévrier (Maulévrier, 27 giugno 1785 – Torino, 19 gennaio 1864), Rimase orfana di madre a sette anni; all'epoca della rivoluzione, molti fra i suoi parenti furono pubblicamente giustiziati. Il 18 agosto 1806 si unì in matrimonio al marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo e nel 1814 si trasferì a Torino, a Palazzo Barolo, dove ospitò per lungo tempo il patriota Silvio Pellico, reduce dalla prigionia nella Fortezza dello Spielberg. A quei tempi il palazzo era luogo di ritrovo di élite culturale e politica.
Ma il prevalente interesse fu per la beneficenza: Giulia si dedicò all'assistenza delle carcerate e intraprese insieme con il marito iniziative benefiche: scuole gratuite, assistenza ai poveri, donazioni all'erigendo Cimitero monumentale di Torino. Con il marito fondò la Congregazione Generale delle Suore di Sant'Anna. Il suo impegno a favore delle carcerate, con l'istruzione, con la provvista di vitto e abbigliamento decente, con l'igiene, arrivò a tal punto che, presentato al governo un progetto di riforma carceraria, il 30 ottobre 1821 il ministero la nominò soprintendente del carcere. In breve il carcere divenne un istituto modello e redatto un nuovo regolamento interno, lo sottopose alla discussione con le detenute, da cui ebbe approvazione unanime. Nello stesso anno 1821 fondò nel quartiere popolare di Borgo Dora una scuola per fanciulle povere. Nel 1823 fondò al Valdocco l'istituto del Rifugio, per le ragazze madri. Nel 1825 destinò una parte del palazzo in cui abitava ad asilo per i figli dei lavoratori: si trattava della prima opera di questo tipo in Italia. Nel 1833 fece costruire accanto all'istituto del Rifugio il monastero delle Sorelle Penitenti di Santa Maria Maddalena, che si era ampliato per accogliere anche le vittime della prostituzione minorile.Perse il marito nel 1838 a seguito dell'epidemia di colera del 1835 in cui aveva prestato generosamente soccorso a bisognosi. Nel 1845aprì l'Ospedaletto di santa Filomena per bambine disabili.Nel 1847 fondò una scuola professionale presso il proprio palazzo per le ragazze di famiglia operaia; nel 1857 fondò poi una scuola di tessitura e ricamo. Estese le sue iniziative anche fuori città. Ultima sua opera di beneficenza fu la costruzione della chiesa di santa Giulia, nel popolare quartiere di Vanchiglia. Si distinse per la sua brillantezza e per la sua azione a favore dei più deboli. Alla sua morte nel 1864 tra le sue volontà vi fu la costituzione dell'Opera Pia Barolo alla quale lasciò l'intero patrimonio di famiglia. Secondo alcuni documenti, dedicò ad opere di beneficenza, una somma pari al bilancio di uno stato del tempo. Dal 1899 il suo feretro è tumulato nella chiesa di santa Giulia, in borgo Vanchiglia, che lei stessa volle far costruire. La città di Torino le ha dedicato una via
Il 21 gennaio 1991 è stata avviata la causa di beatificazione; attualmente gode del titolo di "Serva di Dio".(wikipedia)

Immagine: Giulia-Barolo-di-Luigi-Bernero-1810-Museo-Giulia-Barolo

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