giovedì 24 aprile 2014
lunedì 21 aprile 2014
UMBERTO GALIMBERTI, SEGUITE IL VOSTRO CUORE
(Repubblica) - Oggi la si chiama «resilienza», una volta la si chiamava «forza d'
animo», Platone la nominava «tymoidés» e indicava la sua sede nel
cuore. Il cuore è l' espressione metaforica del «sentimento», una
parola dove ancora risuona la platonica «tymoidés». Il sentimento non è
languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell' anima,
non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che
riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato
tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si
decide, perché in una scelta piuttosto che in un' altra ci si sente a
casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta
che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita. La
forza d' animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da
questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la
salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita
tutti quegli «altrove» della vita che non ci appartengono e che spesso
imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita,
semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. Il bisogno
di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere
strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e
così l' animo si indebolisce si ripiega su se stesso nell' inutile
fatica di compiacere agli altri. Alla fine l' anima si ammala, perché
la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della
devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi,
assolutamente se stessi. Questa è la forza d' animo. Ma per essere se
stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi
ciò che di noi stessi rifiutiamo. Quella parte oscura che, quando
qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo «punti nel vivo». Perché l' ombra è
viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le
sue figure. Accolta, l' ombra cede la sua forza. Cessa la guerra tra
noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi: «Ebbene sì, sono
anche questo». Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d' animo e
la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di
fuga. «Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte», scrive
Nietzsche. Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre
seminate di dolore. Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore
appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore
come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile
contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità
dello sguardo che non vede via d' uscita. Eppure la cerca, perché sa
che il buio della notte non è l' unico colore del cielo. Di forza d'
animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti
da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le
leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell' esistenza e
incerta s' è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita
dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e
incerta. Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino
riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l' abituale
lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come
naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il
mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato. Passiamo
così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà,
confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: «Una
vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la
salute». Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione
quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il «come»
non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s' è perso nel
rumore del mondo. Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime
assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate
da quell' ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona
educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio
del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione,
non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il
cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza,
sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia.
Una storia più soddisfacente.
UMBERTO GALIMBERTI
GOFFREDO PARISE SUL RAPPORTO TRA SCUOLA E TV
La signora Morucchio mi chiede quali libri deve far leggere ai suoi figli, restii alla lettura. Vede, signora, se i suoi figli hanno tanta ripugnanza per la lettura (la cultura umanistica non si forma anche con la lettura?), non cè niente da fare. Non basta l'autorità dei genitori, né quella scolastica, né quella politica. Occorre una autorità reale e attuale che li affascini e li faccia sentire dentro il loro tempo. Forse più tardi, quando saranno già uomini, capiterà loro, per caso, di leggere qualche libro che li interesserà e forse li emozionerà. Per il momento essi sono imprigionati fra due scuole: una ancora umanistica ma estemporanea (il liceo) che li annoia con i suoi programmi decrepiti e soprattutto con la sua inattualità: e un'altra non umanistica (la televisione) che li affascina con i suoi programmi fantasma, tutti attuali, Carosello compreso. La prima scuola si occupa dell'uomo e pure nella sua decrepitudine insegna un lavoro difficile: quello della ragione e della fantasia. La seconda si occupa dell'immagine dell'uomo e, nel suo attualismo, insegna una materia di tutto riposo: l'obbedienza e l'imitazione.
Le due scuole non si integrano affatto. La scuola per così dire classica, tradizionale, nasce lontano e si sviluppa in società che non avevano previsto il consumo di tutto, la televisione nasce invece proprio come scuola di consumo di tutto. Aggiunga che, proprio come scuola, la televisione insegna a guardare (non a vedere), mentre la scuola di Stato insegna a leggere e a scrivere, cioè (cioè a pensare, a scegliere), esercizio lento, molto più lento e faticoso che guardare. Si figuri con quale animo oppresso di noia e di irrealtà i ragazzi (che, come dice lei, stanno tutto il giorno davanti al video) si apprestano a leggere la Divina Commedia o Parini, o Alfieri, o Manzoni, o Carducci, o Pascoli, o chiunque altro che sia esclusivamente da leggere. Come si possono "guardare" questi autori? Anche se i ragazzi impiegassero tutta la loro buona volontà (essendo già dei televisivi cronici), che cosa possono dire loro questi poeti e scrittori del passato, tra l'altro di lettura ogni anno più difficile e, occorre dirlo, inattuale?
I ragazzi hanno imparato a parlare davanti al video, usando quella lingua (didascalica, cioè in sott'ordine rispetto all'immagine); la scrittura la usano poco ed esclusivamente a scuola, dunque devono decifrare, non semplicemente leggere. Nel frattempo la seconda scuola agisce e crea nei ragazzi una profonda dissociazione. La dissociazione tra cronaca e storia, tra ciò che appare e ciò che è. In altre
parole, per essere meno filosofici, i ragazzi sentono che la scuola di Stato nel suo complesso "umanistica" parla una lingua che non si parla più. Automaticamente questo sentimento fa sì che l'autorità che fu della scuola di Stato passi nelle mani della telvisione. Non è colpa della televisione come mezzo se essa emana un'attrazione irresistibile per i ragazzi (e per i grandi, per tutti). Il mezzo non è mai colpevole: è semplicemente fatale, si sviluppa e si modifica seguendo gli sviluppi (fatali) della storia dell'uomo. I bambini di oggi formano la loro prima cultura di base davanti al televisore. Praticamente hanno già guardato tutto il mondo (senza vederlo) a pochi anni. Poi vanno a scuola, alle medie, al liceo. Qui cominciano i guai: a mano a mano che la cultura cosiddetta umanistica si sovrappone a quella di base (televisiva) comincia la dissociazione e il fastidio.
Lo scolaro ha la sensazione di precipitare in un mare di irrealtà, di personaggi, di luogi, situazioni che non riconosce nel mondo che guarda alla televisione e che, di contro, non visualizza attraverso la parola scritta per mancanza di allenamento. Sono due lingue diverse. Lo scolaro è costretto a fare un salto indietro nel tempo, quando il nostro paese aveva come strumenti informativi ed espressivi esclusivamente la lingua parlata o la lingua scritta. Già lo scolaro di allora, quando andava a scuola, doveva lasciar fuori dalla porta la lingua parlata (il dialetto della sua regione) per adattarsi a parlare "in italiano". Figuriamoci oggi che deve lasciar fuori dalla porta la sua cultura di base (i dialetti non si parlano più), quella che gli ha fatto aprire gli occhi sul mondo.
Del resto questa dissociazione, questa frattura così sentita dai ragazzi a scuola è la frattura stessa dell'Italia. Da una parte le testimonianza e le immagini di un vecchissimo passato (l'Italia monumentale, storica e agricola), dall'altra un no man's land senza storia: l'Italia della speculazione edilizia, delle piccole e grandi industrie, delle autostrade all'americana, dei motels, dei snacks. Che cosa ha a che fare tutto questo con la "cultura umanistica" che si insegna a scuola? Non siamo in America, dove non c'è cultura umanistica che affonda nel passato, e dove il paesaggio e la realtà giornaliera coincidono perfettamente con la cultura americana. Questa frattura italina è per il momento insanabile nonostante il velocissimo processo di integrazione in corso.
GOFFREDO PARISE
"Dobbiamo disobbedire"
Edizioni Adelphi
giovedì 17 aprile 2014
L'IGNORANZA DELLA RAI SU LE GOFF
(Gianni Raviele) - E’ morto a Parigi a 90 anni Jacques Le Goff, uno dei più grandi
medievalisti di tutti i tempi, direttore, per lunga durata, degli
Annales, la celebre rivista francese che ha rivoluzionato l’indagine
storica e sociologica. Il contributo di Le Goff alla cultura non solo
europea è stato inestimabile. Lo storico francese non solo ha fondato
una scuola di pensiero, ma è stato anche un maestro di vita e di
cultura. La sua concezione del Medioevo è rivoluzionaria. Egli non
considera questa epoca ristretta al solo Duecento – Trecento, ma la vede
dilatata su un arco temporale vastissimo che va dalla civiltà dei
“secoli bui” sino alla rivoluzione francese. Il Medioevo ha avuto alti e
bassi: il Romanticismo lo ha esaltato, il Razionalismo degli
illuministi lo ha criticato e devastato. In ogni caso l’Età di mezzo
suscita sempre interesse e attenzione e lo storico d’Oltralpe ne è stato
il cantore erudito e appassionato. Questa breve nota serve anche a
sottolineare il grado di incultura della informazione televisiva. Il
Tg1, nella sua edizione principale, si è limitato a dare una notizia di
due righe: nessuna immagine, nessun servizio filmato, nessuna intervista
a storici italiani, nessuna corrispondenza da Parigi. Una vera vergogna
che attribuisco all’ignoranza del direttore e del capo redattore della
sezione culturale. Il silenzio su Le Goff è la riprova che il Tg uno e
la Rai sono caduti proprio in basso.
lunedì 14 aprile 2014
COLOMBA ANTONIETTI, EROINA DEL RISORGIMENTO
Umbra, alta, snella, capelli nerissimi e denti regolari, bianchissimi. Un amore tormentato, un matrimonio segreto, la lotta per difendere la Repubblica Romana del 1849, vestita da bersagliere. Una vita breve ed intensa (muore a soli 23 anni), piena di ideali e di amor di patria. Un'eroina romantica. Questa è Colomba Antonietti, figura del Risorgimento italiano dimenticata dai libri di storia, ma conosciutissima in Umbria. Ne conosco la figura durante una cena longobarda. Al mio tavolo due spoletini, due napoletani trapiantati a Cassino, una bresciana. L'Italia a tavola, che se ne infischia delle divisioni politiche e partitiche e che si arricchisce del reciproco scambio. Belle le diversità di culture, di cadenze nel parlato, di impegno nel sociale. Frutto della lunga storia italiana, del suo secolare mosaico di Stati e staterelli poi diventati Nazione.
Tra un tortellone longobardo ai funghi ed una pollastra in tegame, si materializza la figura di Colomba Antonietti (1826-1849). Nata a Bastia Umbra da genitori panettieri, Michele e Diana Trabalza, che impiantano il loro forno a Foligno, dove ben presto si trasferisce tutta la numerosa famiglia. Qui, appena quindicenne, Colomba si innamora del conte Luigi Porzi, di Imola, ma la cui nobile famiglia è originaria dell'anconetano. Luigi è un soldato del Papa Re: vicino al forno vi è il corpo di guardia della Guarnigione Pontificia. Il loro amore è fatto di sguardi, di furtive parole, di sospiri. Contrastato dalle rispettive famiglie, troppo distanti per estrazione sociale. Scoperti a parlare, ne deriva uno scandalo e Luigi è allontanato a Senigallia. I due si scrivono lettere di nascosto. Col permesso del suo comandante lui chiede la mano di lei. Che gli viene rifiutata. Segue il matrimonio, in gran segreto, nella notte del 13 dicembre 1846 nella Chiesa della Misericordia di Foligno. Sono presenti il sacrestano ed il fratello di lei, Feliciano, che l'accompagna all'altare. Dopo le nozze i due partono per Bologna, ma, giunto a Roma, Luigi viene arrestato per avere contratto matrimonio senza la necessaria autorizzazione, e rinchiuso a Castel Sant'Angelo
con lo stipendio dimezzato. L'intervento di un suo zio, prelato, permette di revocare quest'ultima misura, ma Porzi deve scontare
ugualmente la reclusione, alleviata dalle quotidiane visite della moglie.
Nel 1848 il marito aderisce alla Repubblica Romana e Colomba si taglia i capelli ed indossa l'uniforme da bersagliere per combattere al suo fianco. A Velletri e Palestrina combatte contro le truppe borboniche, meritandosi gli elogi di Giuseppe Garibaldi.
La Repubblica Romana (breve esperimento durato solo 5 mesi), viene proclamata il 9 febbraio 1849. Il 13 giugno, Colomba è raggiunta da una palla di cannone dell'esercito francese inviato da Napoleone III presso Porta San Pancrazio. Spira tra le braccia del marito. Le sue ultime parole sono "Viva l'Italia".
domenica 13 aprile 2014
sabato 12 aprile 2014
PREGHIERA INTERNAZIONALE DELLA FIDAPA
Nata più di 80 anni fa, oggi la BPW è un’ organizzazione dinamica e potente, d’importanza mondiale. La pubblica opinione e la legislazione sono state influenzate dal suo lavoro in moltipaesi. La sua fondatrice Dr. Lena Madesin Phillips volle introdurre la Cerimonia delle Candele in un simbolico abbraccio di tutti i Paesi aderenti.
Al termine della cerimonia delle candele viene recitata la preghiera internazionale. La preghiera recita:
Allontana da noi, Signore, ogni meschinità; aiutaci
ad essere magnanime nel pensare, parlare ed agire.
Fa che superiamo gli interessi personali e che non siamo ipercritiche.
Fa che abbandoniamo le nostre pretese e ci incontriamo a viso aperto senza vittimismi e senza pregiudizi.
Fa che troviamo il tempo per ogni cosa e che possiamo essere serene, calme e gentili.
Insegnaci a tradurre in azione le nostre migliori iniziative onestamente e senza paura.
Fa che comprendiamo che sono le piccole cose a creare
le differenze ma che nelle grandi cose della vita siamo unite.
Fa che ci sforziamo di arrivare a toccare e conoscere il grande cuore umano comune a noi tutte.
E, Signore, non farci mai dimenticare di essere generose.
venerdì 11 aprile 2014
sabato 5 aprile 2014
QUESTIONE DI ALLENAMENTO
Riflessioni che fanno riflettere. La crisi. Non attesa, non voluta, non prevista ed ora esaminata ed indagata nelle sue svariate cause. Tra le varie spiegazioni me ne ha colpita una: quella che riguarda la nostra mancanza di allenamento a superare la difficoltà della vita. Il rimbambimento è stato tale che, senza volerlo, senza saperlo, nella maniera più soft, siamo sprofondati nella crisi planetaria.
Uomini adulti che fanno ancora gli adolescenti in casa dei genitori. Gente assuefatta dal gioco o dal vivere la vita ed i rapporti solo su facebook e Internet. Ragazzi viziati da genitori che danno ai prof la colpa dei brutti voti e della maleducazione dei figli.
Una società che ha deposto le armi, che non combatte, che non sogna...
Mi è venuto da rivalutare la filosofia di Fichte: questo Io infinito, che vive un perenne dinamismo, che vive di gioventù perenne proprio grazie alla perenne lotta contro gli ostacoli che gli si pongono di fronte.
Nell'Italia tra Sette-Ottocento, gli osservatori stranieri notavano che l'affievolimento della morale e l'agiatezza dei prelati, era da collegare al lungo periodo di pace. Al fatto che nella Penisola si era perso il gusto delle armi.
Oggi? La gente chatta, i ragazzi e gli adulti (anche) hanno lo sguardo puntato sugli schermi mentre mangiano in famiglia o al ristorante, mentre passeggiano per la strada. Le baby squillo hanno imparato a fare i soldi facili col sesso, a molti tutto è dovuto senza guadagnare niente, e, come dice papa Francesco, non si dice più "scusa", "grazie", "permesso". La gentilezza: questa sconosciuta.
La gente è obesa perché mangia robaccia e cammina poco. Chi scala una montagna, va al polo Nord in bici, emigra all'Estero per disperazione o perché ha coraggio e tempra, fa notizia.
Ci vuole un fisico bestiale, cantava qualcuno, ma di fatto abbiamo perso l'allenamento nella dura lotta per l'esistenza.
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