Intellettuale di riferimento della sua città e della cultura italiana
del Dopoguerra. Testimone imprescindibile di alcuni momenti cruciali
del ‘900, con i suoi testi (tutti pubblicati da Einaudi) ancora oggi
letti, citati, commentati. Nuto Revelli ha vissuto in prima persona e
raccontato: da ufficiale degli Alpini la spedizione in Russia e la
ritirata drammatica nella seconda Guerra mondiale; da combattente e
comandante partigiano di Gl la guerra di Liberazione; da scrittore e
intellettuale ha raccolto e divulgato le storie degli umili, che nella
storia sono solo comprimari e vittime, mai protagonisti.
Revelli è morto i 10 anni fa. A Cuneo era nato nel 1919. Lo
scrittore-partigiano, finchè la salute glielo aveva permesso, andava
nelle scuole di tutta Italia e anche all’estero, per raccontare. Nel
‘95, agli studenti di Marburg in Germania, diceva: “Non è la verità in
assoluto. L’ho sempre gridato: “è la mia verità”. Ve la propongo, voi la
giudicate, poi sentite le altre verità, le confrontate e magari vi
trovate la vostra”.
Nel Dopoguerra ha girato la Langa desolata e le montagne cuneesi,
“armato” di magnetofono, pazienza, voglia di ascoltare. Perché era
capace di dialogare alla pari con i “vinti” e con i grandi
intellettuali. Da quelle 270 interviste ai cuneesi nacque nel ’77 “Il
mondo dei vinti”, uno dei suoi testi più celebri. Parla di fame e
emigrazione, lavoro minorile e questione femminile, arriva allo
spopolamento della montagna e all’arrivo del “nuovo mondo”: industrie in
pianura e turismo. Restano i suoi scritti, le idee sempre attuali, le
testimonianze materiali: l’archivio è conservato nella sua casa di corso
Brunet 1 (sede della Fondazione guidata dal figlio Marco), poi la
borgata di Paraloup di Rittana, dove combattè da partigiano insieme a
Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco. Quella borgata disabitata per
decenni oggi è un originale centro di cultura. (Lorenzo Boratto - Articolo integrale al link de La Stampa sopra segnalato).
"Mi consideravano un cosiddetto colto, ma ero un ignorante. Il fascismo era stato una scuola di ignoranza. A vent'anni dovevo andare in guerra e avvertii che la mia ignoranza era catastrofica". Nuto Revelli
(L.G.) - Un magnetofono e la registrazione delle voci dei contadini in giro per il Piemonte, aiutato dai suoi collaboratori. Un patrimonio immenso, riversato in due libri-capolavoro: Il mondo dei vinti (1977) e L'anello forte (1985). Dando voce alle persone, Nuto Revelli ci regala le storie di un Piemonte duro e amaro, storie di miseria e di 'malora'. Storie di vite che oggi appaiono disumane. Come quelle delle bimbe mandate da pastore sotto padrone a sette anni, lontano da casa. Altre, destinate a lavori di bassa manovalanza, o a raccogliere olive in Provenza. Divenute servette in città come Alba e Torino. Per alcune il grande sogno di riscatto era diventare maestre. Vergogna parlare di mestruzioni in famiglia, e vergogna massima, per la quale si veniva cacciate di casa, rimanere incinte prima del matrimonio. Ragazze perennemente sotto tutela dei fratelli maggiori e matrimoni senza amore, combinati. Dai racconti di tutte emerge che poi tutte si erano adattate ed arrangiate coi mariti, dando almeno una parvenza di serenità coniugale. Preti che nel chiuso delle confessioni esortavano le donne ad avere quanti più figli possibili, perché non averne era segno che la coppia non funzionava o che le mogli si rifiutavano ai mariti. Quaranta giorni dopo il parto le madri erano costrette a presentari al prete per farsi togliere il peccato di avere messo al mondo una nuova creatura. Ripagando il sacerdote con non meno di sei uova, o una forma di formaggio, o qualche cuchet, cioè i bachi da seta. La bieca usanza è rimasta in vigore fino agli anni Cinquanta. Uomini che trovavano moglie grazie all'intermediazione dei bacialè, i sensali. Matrimoni combinati con ragazze del Sud Italia, quasi sempre calabresi, ritenute oneste e lavoratrici. I due si conoscevano tramite fotografie, poi i candidati scendevano al Sud e se con lei si piacevano le pubblicazioni erano bell'e fatte nel giro di tre giorni. L'unica concessione fatta alle donne è che fossero loro a dire di sì.
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