“Chi voglia
praticare un’arte sempre più in disuso, e cioè la bocciatura, deve
anch’egli munirsi di un grande coraggio. Bocciare è antieconomico,
quindi la scuola che funziona non deve bocciare. E per funzionare non si
intende insegnare bene ma far quadrare i conti. (siamo di nuovo
scivolati nel libro “Mali e malori della scuola italiana”). L’insegnante
che ingenuamente attua il sillogismo «Questo studente non ha fatto un
cazzo tutto l’anno, quindi va bocciato», si scontra subito con il
preside («non ha fatto niente perché non è stato adeguatamente
motivato»), con i colleghi pietisti («poverino, ha una situazione
familiare terribile»), con i genitori, che già hanno minacciato ricorso
se il caro figlioletto verrà bocciato, poiché era in difficoltà ma la
scuola non ha attivato i corsi di recupero. Dal che si evince che la
colpa del fancazzismo dello studente è nell’ordine: del professore,
della famiglia, della scuola. L’idea che possa trattarsi semplicemente
di buona, sana, vecchia mancanza di voglia di studiare – che per
generazioni è stata efficacemente curata con una buona, sana, vecchia
bocciatura – non sfiora nessuno. Salvo l’ingenuo professore, che viene
sistematicamente messo in minoranza e ammonito di adeguarsi ai tempi che
corrono”.
(Gianmarco Perboni “Perle ai porci” – Rizzoli 2009 – pagg. 60, 61)
(Gianmarco Perboni “Perle ai porci” – Rizzoli 2009 – pagg. 60, 61)
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