E’ l’incubo dei tre cerchi concentrici. Primo cerchio: la famiglia. Un padre e una madre che nella Torino del 2011 costringono la figlia sedicenne a sottoporsi al controllo mensile di verginità. Non stupisce che una ragazza cresciuta in quell’ambientino faccia sesso col fidanzato e poi si inventi di essere stata violentata dai rom, disegnati apposta - da sempre - per il ruolo di capri espiatori. Ed ecco il secondo cerchio: la comunità. Una comunità povera di soldi e di sogni, in preda a un’arrabbiatura perenne e senza anticorpi. La falsa notizia dello stupro si infiltra nel quartiere e scatena gli istinti primordiali. L’emotività dell’orda che vuole vendicare l’affronto con la violenza. Il vendicatore non si sente un razzista, ma un giustiziere. Nel deserto di cultura, anche popolare, l’ultima ideologia che sopravvive è quella dell’ultrà. Il terzo cerchio, il più grande e il più grave: la politica. Dovrebbe mediare gli scontri e trovare le soluzioni. Invece non fa nulla, se non partecipare al piagnisteo collettivo. Qui è simboleggiata dalla dirigente del Pd locale che marcia in corteo con la comunità irritata dalla vicinanza del campo rom. Marcia, cioè, contro se stessa, visto che il suo partito governa Torino da decenni senza aver mai affrontato seriamente la questione, limitandosi a spostarla ogni volta un po’ più in là.
Famiglia, comunità, politica. Tre cerchi concentrici, accomunati dalla stessa impotenza. Per spezzare l’incantesimo esiste una sola formula: più cultura nelle case, più calore nei quartieri, più coraggio nei palazzi del potere.
Famiglia, comunità, politica. Tre cerchi concentrici, accomunati dalla stessa impotenza. Per spezzare l’incantesimo esiste una sola formula: più cultura nelle case, più calore nei quartieri, più coraggio nei palazzi del potere.
MASSIMO GRAMELLINI
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