mercoledì 7 agosto 2024

LA FESTA DEL SANTO PATRONO

 


Questo magnifico scatto è della docente e antropologa visuale Annalisa Cervone.
Le luminarie, la cassa armonica, la banda musicale, il piccolo pubblico attento e l'anziana donna di paese, vestita, appunto, a festa, che in quella festa ritrova il senso della propria comunità, oltre che della sua propria identità.
Il senso della radicamento alla terra ed alla comunità di nascita è qui magistralmente colto, ricordandoci che il momento della festa paesana, tra bevute, mangiate, preghiere al santo e stornelli che ricordano la fatica contadina, quel radicamento, insomma, è ciò che va mantenuto vivo più che mai, proprio nell'epoca in cui il mostro della globalizzazione fagocita e distrugge identità, differenze, sapienze millenarie. 
E' proprio disintegrando e sradicando le varie culture, nella bellezza delle loro differenze, che il livellamento verso il basso e l'infelicità individuale e collettiva è pronta per essere servita. Anche gli emigranti che ritornano una volta all'anno proprio per quella festa hanno bisogno di ritrovare lo spirito comunitario della loro infanzia e della prima giovinezza.
Pertanto, la festa diventa molto più che un momento di unita offerta al Santo Patrono: diventa il modo per sentire di "appartenere" ad un contesto comunitario, anche se lo si è lasciato da anni. Diventa il recupero dell'orgoglio delle radici, senza le quali è difficile, se non impossibile, costruirsi come persona e progettarsi come futuro.

Eloquente, è questa riflessione di un accademico sannita, il professor Pier Luigi Rovito: 

La foto di Annalisa Cervone esprime al meglio il valore della musica portata in piazza dalla banda, nella festa del Santo patrono. A sera dopo la processione. Poi, a conclusione, gli ultimi squilli di tromba sugli spari che illumineranno il cielo dell' addio. L'atteggiamento assorto della donna, l' abito della festa, i capelli bianchi, le vecchie luminarie, le sedie vuote attorno al palco, raccontano di letizia e di tristezza al tramonto della società comunitaria che un tempo sorreggeva queste feste. Ora divenute le sagre dei restanti e dei ritornanti al vecchio ovile. Per respirarne qualche refola d'aria, forse l' ultima. Siamo sul ciglio di un burrone sul nulla: paesi abbandonati, terre del pane invase dagli sterpi, desertificazione. È questo scenario ad imporre la necessità che i brandelli sempre più pallidi della tradizione, siano conservati con cura, vezzeggiati, proposti con testardaggine. Nella consapevolezza che senza queste radici svaniranno anche le speranze di futuro. Inesistente per le comunità disperse. Né potrà il vento sostituire i tocchi sferzanti di flicorni e tamburi nei giorni di festa. Poco importa se un po' scalcagnati.

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