«La morte non ci volle subito. Ci venne a prendere chi sotto una porta, chi sotto uno stipite, chi sotto una scala… Si spezzò la spina dorsale alla terra, e la terra sgranò, precipitò a falde, assieme alla pioggia. Niente rimase più al posto suo. Era una fine del mondo, e un mondo finì».
VINICIO CAPOSSELA, Il paese dei coppoloni
Pubblicato su Gli Stati Generali
Terra di lupi, terra di gente forte e resiliente, l’Irpinia, esattamente quaranta anni fa, viene devastata da una delle peggiori sciagure della storia nazionale: il terremoto del 23 novembre 1980. Domenica. Era sera e la Rai trasmetteva in differita la partita Juventus – Inter giocata quel pomeriggio.
Per essere autunno quasi inoltrato quella giornata era stata insolitamente afosa, di un caldo innaturale. Alle 19:34, senza che ci sia stato un qualche segnale di preavviso, si sente all’improvviso un boato secco ed un rumore assordante. La terra trema per novanta lunghissimi secondi tra Campania e Basilicata. L’epicentro è la verde Irpinia. Basta un secondo e mezzo per radere al suolo interi paesi e per portarsi via tremila vite umane.
La scossa fu fortissima: magnitudo 6,9 della scala Richter, fino al X grado della scala Mercalli. Ad avvertirla furono anche le province di Napoli, di Salerno, del Sannio. In migliaia si riversarono per strada per passare la notte all’aperto. La propria casa non era più un luogo sicuro. Case che si sgretolavano, edifici fatiscenti che venivano giù come niente, altri 30mila che subivano lesioni di lieve entità.
Dopo quarant’anni esatti, in un’Irpinia bellissima che conserva piccole tracce di quella tragedia ed in una Basilicata dove è stato ricostruito il 90% delle abitazioni private, è ancora vivo il ricordo di quegli attimi di terrore e del periodo difficile che ne seguì. Lo Stato non era preparato ad una tragedia di tali proporzioni ed il presidente Pertini dopo due giorni si recava in elicottero nei territori colpiti dal sisma, per poi pronunciare un discorso alle autorità e alla nazione che mobilitava gli spiriti più belli e combattivi del Paese, in una gara di aiuti e di solidarietà che rese epiche le gesta dei tanti volontari accorsi in aiuto, la cui opera fu successivamente riconosciuta con una solenne cerimonia in Campidoglio a Roma.
Il quotidiano Il Mattino il giorno successivo alla tragedia apriva con un titolo memorabile: “FATE PRESTO”. Seguì la ricostruzione, lenta, faticosa, complessa. Furono impiantate nuove aree industriali: sette in Basilicata e tredici in Campania. Molte non ebbero vita facile e dovettero chiudere. Per almeno un decennio centinaia di sfollati dovettero vivere in baracche di lamiera dove era difficile condurre un’esistenza dignitosa.
Il terremoto in Irpinia è una delle grandi catastrofi del XX secolo in Italia, insieme ai terremoti di Messina e Reggio Calabria nel 1908, di Avezzano nel 1915 e del Friuli nel 1976. Per magnitudo è stato uno dei più forti degli ultimi cento anni. È stato quasi eguagliato da quello del 30 ottobre 2016 in centro Italia, con magnitudo 6.5.
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