Appunti di viaggio
Mosca. Primi appunti di viaggio. La città è ruvida e maestosa. Umida.
La coltre di acqua rarefatta che qui è cielo rifrange la luce
artificiale ed illumina strade, monumenti, palazzi. Così di notte si
crea un effetto di luce diffusa, morbida, che ti ci puoi tuffare dentro,
che addolcisce ogni profilo, anche i più temibili palazzi della
propaganda di un regime che per fortuna non è più. Si cammina a piedi
sulla Piazza Rossa che ora è come fosse vuota, spaesata, senza più le
sue parate e la sua forza. Il profilo illuminato di un centro
commerciale elegante segna il tempo contemporaneo con tutte le sue
lusinghe.
Mosca è una città priva di energia e creatività. Stanca, spenta, grigia. Sconfitta dal comunismo che le ha tolto speranza e visione di un futuro da segnare in maniera individuale. Non c'è volto che sorride. Le labbra sono rivolte all'ingiù e lo sguardo è scialbo e malinconico, anche quando gli occhi sono cerulei come laghi, ma senza sole. Non vi è un guizzo di gioia tra i giovani che affollano la metro o tra quelli, una scolaresca in gita, che sono ordinatamente in fila con una compostezza triste. Alcune donne sono belle ed in tiro, accanto ad uomini già vinti e calvi e grassi a quarant'anni, mentre loro sono a caccia di un orgasmo occidentale che faccia dimenticare troppe cose. Tutte le altre sono in bilico tra una contadina padana ed una domestica russa assunta in Italia. Le tinture dei capelli sono di cromatina, l'abbigliamento è sintetico, misero, sui toni del grigio-nero-marrone. Sono grasse come matriosche. Il mercato di Izmailovo, tipico per artigianato e prodotti locali, è vuoto, inquietante, in parte lasciato a decadere. È la falsa antitesi dei grandi centri commerciali, tipo Gum, che qui sono assai diffusi. Vuoti, non vi entra più nessuno, con merce in quantità eccezionale e carissima: grandi firme occidentali che nessuno può comprare più, tra la crisi del gas e l'embargo punitivo. La voce nell'altoparlante della Metro è "bellica", le scritte di questa dura lingua sono ostiche a leggersi. Il personale è gentile, sottomesso, servile. Sono i figli di un regime allevato all'ubbidienza. Se mi centro su queste loro vite senza una prospettiva apparente, mi prende un'angoscia esistenziale. Può esserci una vita senza un sorriso? Undici milioni di moscoviti vivono così.
Mosca è una città priva di energia e creatività. Stanca, spenta, grigia. Sconfitta dal comunismo che le ha tolto speranza e visione di un futuro da segnare in maniera individuale. Non c'è volto che sorride. Le labbra sono rivolte all'ingiù e lo sguardo è scialbo e malinconico, anche quando gli occhi sono cerulei come laghi, ma senza sole. Non vi è un guizzo di gioia tra i giovani che affollano la metro o tra quelli, una scolaresca in gita, che sono ordinatamente in fila con una compostezza triste. Alcune donne sono belle ed in tiro, accanto ad uomini già vinti e calvi e grassi a quarant'anni, mentre loro sono a caccia di un orgasmo occidentale che faccia dimenticare troppe cose. Tutte le altre sono in bilico tra una contadina padana ed una domestica russa assunta in Italia. Le tinture dei capelli sono di cromatina, l'abbigliamento è sintetico, misero, sui toni del grigio-nero-marrone. Sono grasse come matriosche. Il mercato di Izmailovo, tipico per artigianato e prodotti locali, è vuoto, inquietante, in parte lasciato a decadere. È la falsa antitesi dei grandi centri commerciali, tipo Gum, che qui sono assai diffusi. Vuoti, non vi entra più nessuno, con merce in quantità eccezionale e carissima: grandi firme occidentali che nessuno può comprare più, tra la crisi del gas e l'embargo punitivo. La voce nell'altoparlante della Metro è "bellica", le scritte di questa dura lingua sono ostiche a leggersi. Il personale è gentile, sottomesso, servile. Sono i figli di un regime allevato all'ubbidienza. Se mi centro su queste loro vite senza una prospettiva apparente, mi prende un'angoscia esistenziale. Può esserci una vita senza un sorriso? Undici milioni di moscoviti vivono così.
BENEDETTA DE FALCO
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